sabato 15 novembre 2014

Il Gioco d'azzardo patologico


Il gioco d'azzardo (il termine azzardo deriva dall'arabo az-zahr, che significa dado: infatti i più antichi giochi d'azzardo si facevano utilizzando dadi scommettendo sul numero che sarebbe uscito), consiste nello scommettere beni, per esempio denaro, sull'esito di un evento futuro. La letteratura ha prodotto giocatori d'ogni tipo, tutte le diverse incarnazioni del mito dell'alea. Dall'autoritratto di Dostoevskij nel suo Il giocatore al quasi meccanico ufficiale di Schnitzler di Gioco all'alba, passando attraverso Bukowsky, Dickens, Maupassant, Wodehouse. 

In Dickens, per esempio, il gioco assume le sembianze di una parabola psicologica nella figura del signor Micawber che non fa che rilanciare la posta: tutta la sua vita è il suo tavolo verde, con dietro le spalla signora Micawber ad incitarlo a rischi sempre più assurdi. Ma il giocatore per antonomasia è quello di Dostoevskij. Dietro la maschera dell'esiliato dalla grande madre Russia, il prototipo del vero "gap", il giocatore d'azzardo patologico, di cui lo scrittore offre la prima, dettagliata diagnosi letteraria e poetica. 

Secondo un approfondimento del 30.05.2014 condotto da Matteo Iori, a Reggio nell’Emilia, presidente dell’Associazione Onlus ‘Centro sociale Papa Giovanni XXIII’ e di Conagga, coordinamento nazionale gruppo giocatori d’azzardo, in Italia nel 2013 sono stati "persi" 17 miliardi di euro. Le statistiche mettono l’Italia al 4° posto nel mondo per spesa in gioco d’azzardo. Approfondendo il discorso e aggiungendo qualche criterio, però, si delinea una situazione ben diversa, addirittura peggiore, che fa salire l’Italia al 2° posto. Lo studio parte da un numero: 84,7. Sono i miliardi giocati nell’azzardo nel 2013 secondo il Libro blu dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Di questi, 67,6 sono ritornati ai giocatori sotto forma di vincite; 17 definitivamente persi, andati parte all’Erario, parte alla filiera del gioco d’azzardo. Concentrandoci solo sui soldi persi: secondo i risultati del più autorevole report internazionale sul fenomeno (quello di H2 Gambling Capital), sono solo 10, al mondo, i Paesi nei quali gli abitanti perdono oltre 10 miliardi di dollari all’anno. Davanti a tutti, Stati Uniti (119 miliardi), seguiti da Cina, Giappone e poi Italia, con quasi 24 miliardi di dollari (ovvero i 17 miliardi di euro citati prima). “Ho fatto un passo successivo: ho diviso queste cifre per il numero di abitanti dei vari Stati, neonati inclusi, per capire quale fosse la spesa pro-capite. Così facendo, l’Italia sale al 2° posto, con 400 dollari persi a testa all’anno nel gioco d’azzardo. Davanti solo gli australiani, con 795 dollari pro-capite” In Veneto, nei primi dieci mesi del 2014, sono stati spesi per videolottery e slot machine oltre 3,3 miliardi di euro, con una spesa pro-capite di 670 euro (nell’interno Paese il fatturato del gioco d’azzardo nel 2013 ha fatto segnare i 90miliardi di euro). Il gioco d’azzardo patologico, che in Italia coinvolge circa 800mila soggetti, fa segnare proprio nel Nord-Est il suo record di penetrazione, registrando il 38% dei giocatori a rischio di dipendenza (dati CONAGGA, Coordinamento nazionale gruppi per Giocatori d’Azzardo). Sono cifre e percentuali impressionanti, che indicano come la nostra regione sia l’osservato speciale numero Uno di questo comportamento patologico dei nostri tempi. Questi dati sono purtroppo seguiti una constatazione: nonostante sia a così forte rischio di “contagio”, il Veneto è ad oggi una delle poche regioni senza una legge regionale di riferimento e contrasto, nonostante sia stata la primissima ad aver registrato (già nella primavera del 2013) proposte legislative in merito. Sono ormai otto gli enti locali sul territorio italiano che hanno legiferato in materia di gioco d’azzardo e contrasto alla diffusione della patologia ad esso legata. La spinta a produrre delle leggi regionali in materia, che hanno finito per non limitarsi solo alla ludopatia, ma ad introdurre profonde differenze sul gioco in territori anche molto vicini. Il primo legislatore in ordine di tempo è stata la provincia autonoma di Bolzano, il cui provvedimento originario risale addirittura al 1992 e l’ultimo al 2010. Dopo sono venuti tutti gli altri interventi: nel 2012 la Liguria, mentre nel 2013 in ordine sono venute Emilia-Romagna, Lazio, Toscana, Lombardia, Abruzzo e ultima la Puglia che è in attesa di promulgare la propria legge a breve. Si parla dell’esistenza di una “riserva statale” per la volontà del legislatore centrale che fosse strettamente governato a livello centrale; in origine per preservarlo dalle infiltrazioni criminali, e ora più che mai per tutelare le fasce più deboli e la salute dei cittadini. Quello che accomuna le leggi citate è la volontà di disincentivare l'introduzione di nuovi apparecchi in risposta soprattutto ai sindaci che chiedono con sempre maggior forza, anche attraverso l’ANCI, voce in capitolo su orari e dislocazione dell’offerta di gioco, in particolar modo di Slot e VLT, sia all'interno degli esercizi commerciali esistenti, che rispetto all’apertura di nuove sale dedicate. Per questo quasi tutti si sono ispirati ad uno dei punti cardine stabiliti dal Decreto Balduzzi nel 2012 e cioè la distanza dai luoghi ritenuti sensibili perché frequentati dalle categorie tradizionalmente più deboli come minori e anziani. Questo ha posto gli apparecchi ad una distanza considerata di sicurezza di 300/500 metri da scuole, oratori, ospedali, chiese e altro. Non solo questo tema è stato traslato dal decreto citato: capitolo a parte merita la pubblicità per la sua capacità di indurre al gioco, e quindi alla patologia, ma rovescio della medaglia anche per la sua funzione “necessaria” di informare correttamente il giocatore sulle reali probabilità di vincita di ciascun gioco. Molti enti hanno previsto il divieto di pubblicizzare l’apertura di nuove sale, ma progressivamente anche di ogni altra attività correlata al gioco, seppur lecito. E sono pesanti le sanzioni decise, dove spicca la Regione Lazio con un massimo di 15 mila euro. Previsti anche sgravi su tasse comunali e regionali per chi decidesse di dismettere gli apparecchi e apporre un marchio no slot che è stato mutuato dalla protesta di area cattolica contro la penetrazione dell’offerta di gioco sul territorio. Ultima grande innovazione sono i corsi di formazione per i gestori e una massiccia pubblicizzazione dei rischi legati al gioco, alla stregua di quanto è avvenuto nel nostro Paese ad esempio con il tabacco. Tutta la legislazione quindi mette al primo posto la salute e la tutela del cittadino, anche con l’istituzione di Osservatori Regionali che si stanno attrezzando). Una delle conseguenze, però, di una legislazione a macchia di leopardo è senza dubbio il rischio di alterare il funzionamento del mercato del gioco lecito, favorendo inevitabilmente la ripresa del mercato illecito. 

Mentre si discute sulla moltiplicazione delle slot machine , sul dilagare del gioco d’azzardo e della ludopatia come malattia sociale succede una cosa paradossale. Il Comune di Isernia perde (provvisoriamente) la sua battaglia contro un locale di Eurobet collocato in via Erennio Ponzio, esattamente di fronte al Servizio per le tossicodipendenze e a pochi metri da due scuole medie. Dunque, Isernia diventa un simbolo. Con l’augurio che vinca la sua battaglia, nel solco di altre Regioni «virtuose» del Paese: come l’Emilia Romagna, che ha aperto servizi per le cure in tutte le città, e la Lombardia, che ha appena approvato un programma per prevenire e ridurre il rischio della dipendenza dal gioco.

giovedì 23 ottobre 2014

A casa di Molly


Il matrimonio fra persone dello stesso sesso, inteso come fenomeno sociale di massa, in Occidente è un fenomeno storicamente nuovo e recente, ed è stato reso possibile solo dal passaggio della concezione della famiglia intesa come organizzazione che ha per scopo la gestione di un patrimonio e di una prole a quella di un luogo di soddisfazione di affetti personali reciproci, di condivisione e di cura della prole. In Italia, nel 1897 il criminologo Abele De Blasio, tra i discepoli di Cesare Lombroso, dava alle stampe il suo Usi e costumi dei camorristi con un capitolo interamente dedicato a O spusarizio masculino (il matrimonio fra due uomini, ndr.):

« Il luogo del sacrifizio è quasi sempre qualche lurida locanda, dove in giorno ed in ora stabilita si fa trovare l’amante, qualche sonatore di organetto e chitarra ed una schiera di ricchioni, che fan corona alla timida... fanciulla [De Blasio usa il femminile con intento denigratorio ma sta parlando di un femminello, ndr.]. Dopo un balletto erotico, il più provetto della... materia augura alla felice coppia la buona notte; ma la sposina [si legga "lo sposo", ndr.], prima di lasciar partire gl'invitati, distribuisce loro i tradizionali tarallucci e vino. Il giorno dopo, 'o ricchione anziano, accompagnato da un caffettiere ambulante, porta agli sposi due piccole di latte e caffè e poi fa nel talamo un'accurata rivista per accertarsi se il sacrifizio fu compiuto in tutta regola »
Nel 1902 un fatto di cronaca nera, con la scoperta del cadavere “orrendamente mutilato” a Pianezze di Marostica nel vicentino, porta alla luce un “auto-matrimonio” tra due donne. Il cadavere apparteneva al marito di Angeli Celli, la donna, che si era sposata simbolicamente in chiesa con l'amante Libera Battaglin aveva narcotizzarono e ucciso l’uomo.
Da esattissime informazioni assunte ci risulta che queste due donne - le quali nell'assenza durata sei mesi del marito della Celli si erano date alle più raffinatamente perverse azioni sessuali - si amavano d’un amore così tenace e terribile da oscurare per esse qualunque altro affetto, tanto che la Marinella era giunta a dire questo: Io voglio così bene ad Angela, che per essa rinnegherei tutti, padre, madre, sorelle… la religione stessa!.
Il 12 aprile 1904 la polizia suonò alla porta d'un bordello clandestino nel rione Vasto a Napoli, gestito da un individuo soprannominato "la Signora", che aveva al proprio servizio "una schiera di ruffiani deputati a girare per i caffè e per le vicinanze degli alberghi ed accaparrare l'elemento attivo". All'interno del bordello furono trovati: « alcuni giovanotti vestiti da donna, che si scambiavano carezze coi loro amanti ed avventori. (...) Busti di sera e scarpini ricamati in oro stavano accantonati sopra una sedia a sdraio. Ciascun piano di toletta era ricco di ninnoli contenenti profumi, polvere di cipria, rossetto e lapis pel trucco degli occhi. In un armadio stavano attaccati abiti maschili di gran lusso, destinati alle feste per simulare la celebrazione del matrimonio. Questo avveniva nella prima congiunzione carnale cui si assoggettava qualche ragazzo, ed in quest'occasione la... pudibonda fanciulla non mancava di coprirsi con un lungo velo e di adornarsi di gioie e di fiori d'arancio. Fra la profusione di dolci e liquori non veniva dimenticato il sacchetto coi rituali confetti di nozze. » Quanto al movimento gay italiano, fin dalla sua nascita non aveva dubbi: il matrimonio era un'istituzione borghese e soffocante, da abbattere per tutti e non certo da allargare. Un "matrimonio gay" sarebbe stato semplicemente uno "scimmiottamento" d'uno stile di vita che ormai stava stretto agli stessi eterosessuali, come dimostravano le battaglie per l'introduzione del divorzio anche in Italia. Le notizie di richieste di accesso al matrimonio venivano perciò considerate, con divertimento, come manifestazioni folcloristiche di frange marginali ed ultraconservatrici, attardate in un passato ormai superato (cosa che in parte effettivamente erano). Il film Il vizietto sembrò a lungo il "manifesto programmatico" di questo tipo di coppie.

Effettivamente, prima della riforma del Diritto di Famiglia nel 1975 e della laicizzazione del matrimonio, in Italia il matrimonio fu davvero questo, sancendo l'ineguaglianza dei coniugi e la preminenza del marito sulla moglie. Ci sarebbero quindi voluti due decenni di cambiamenti prima che il matrimonio, ormai trasformato, diventasse "interessante" anche per le coppie dello stesso sesso. Ma già a partire dagli anni Settanta la pratica del matrimonio simbolico tra omosessuali sarebbe diventata più comune, dapprima in limitate frange conservatrici e fortemente marcate dalla visione religiosa della vita, che soffrivano di fronte all'esclusione dall'unione religiosa, ma col tempo e sempre di più anche al di fuori di questo àmbito, fino a diventare un fenomeno di costume. Tra i primi atti pubblici di questo tipo è annoverato quello del 2 settembre 1976 a Roma, nella sede d'un piccolo gruppo di militanti, l'Mpo (Movimento politico degli omosessuali, poi Ompo's) con Massimo Consoli che celebrò una sorta di "matrimonio laico" per alcune coppie di persone dello stesso sesso. Nel 1975 due cronisti del settimanale "Il Borghese" avevano chiesto un rito cattolico di benedizione matrimoniale a don Marco Bisceglia, prete del dissenso (che di lì a pochi anni avrebbe fondato Arcigay). Il loro scopo era comprometterlo, e infatti dopo la pubblicazione del loro articolo venne sospeso a divinis. Ma quante altre coppie all’epoca avranno contratto un matrimonio grazie al sacerdote consenziente? A queste cerimonie puramente simboliche si contrappose nei primi anni Ottanta l'azione di Doriano Galli, che sia pure in un contesto ancora immaturo tentò una prima, rudimentale "via giudiziaria".Nella sua battaglia per registrare l'unione con il suo compagno, Galli tentò la strada di sostenere che nessuna legge stabiliva per iscritto che per il matrimonio fosse necessaria la differenza di sesso tra i coniugi. Il dato risultò vero, ma il tribunale gli diede torto egualmente facendo riferimento alle "intenzioni del legislatore", rese esplicite dal fatto che nelle leggi si parla di "prole". Ad ogni modo, Galli riuscì ad ottenere il 30 dicembre 1981 il primo stato di famiglia tra due uomini conviventi more uxorio, in base alla legge 182, art. 8, del 23 marzo 1956, con i conseguenti diritti legali. Venne aiutato in ciò dall'avvocatessa Simonetta Massaroni, dall'On. Adele Faccio (Radicale) e dall'allora sindaco di Roma, Ugo Vetere. Doriano Galli avrebbe proceduta a una seconda registrazione con un nuovo partner il 21 gennaio 1988, ma a un terzo tentativo, compiuto il 30 giugno 2005, la cancelliera del tribunale rifiutò di registrare l'atto notorio, forse perché preavvisata il giorno prima da un articolo di quotidiano che annunciava il gesto. Galli ha poi sporto denuncia per omissione d'atto d'ufficio e abuso d'autorità. Interessante rilevare come Galli, il giorno prima che gli venisse rifiutata la registrazione, avesse criticato il movimento gay italiano e soprattutto Arcigay per la sua insistenza sull'ottenimento dei Pacs, quando in Italia la legge esisteva già, bastava solo richiederne l'applicazione. Evidentemente, le cose non erano tanto semplici quanto da lui prospettato. Nel 1980 Pina Bonanno, nel corso della battaglia per diritto a cambiare sesso anagrafico condotta dal Mit, chiese le pubblicazioni per il matrimonio con un'altra donna, sostenendo a ragione che per l'anagrafe risultava Giuseppe Bonanno, di sesso maschile. Si trattava però di un'azione tesa a dimostrare le assurdità create dall'assenza di una legge per la riattribuzione anagrafica, e non di una vera richiesta di matrimonio: in effetti la Bonanno una volta ottenuto quanto richiesto si sarebbe sposata sì, ma con un uomo, e in chiesa. Nel 1983 attirò la curiosità dei cronisti un finto matrimonio, che aveva intenti dissacratori, tra femminelle napoletane. Nel 1986 una lettrice del mensile gay "Babilonia" andò con la compagna a Parigi, dove il pastore protestante Pierre Doucé celebrava "benedizioni dell'amicizia". Ancora nell'estate del 1988, a Riccione, fu celebrato un matrimonio gay con tanto di pranzo di nozze; la manifestazione aveva lo scopo di stimolare l'approvazione di una proposta di legge riguardante i diritti delle coppie di fatto, che veniva discussa proprio in quel periodo in Parlamento. Di più forte impatto politico fu l'iniziativa del Centro d'Iniziativa Gay e di Paolo Hutter, consigliere comunale gay a Milano, per l'allora PDS, che unì il 27 giugno 1992 dieci coppie gay e lesbiche in piazza della Scala: Si noti però che all'epoca l'obiettivo non era ancora la richiesta di vero e proprio matrimonio, ma "solo" di una qualche forma di riconoscimento delle "unioni civili" in Italia (inutile aggiungere che da allora non è stato concesso né l'uno né le altre). Negli ultimi tempi, ai tentativi simbolici di unire coppie gay, si aggiunge la richiesta di celebrazione di rito matrimoniale religioso celebrato da sacerdoti consenzienti. Don Franco Barbero, ad esempio, celebra riti di questo tipo per coppie di gay e lesbiche. Questo rito ha ovviamente un valore esclusivamente morale e simbolico per le persone che lo celebrano, non essendo riconosciuto né dalla Chiesa cattolica né dallo Stato italiano. Con il XXI secolo inizia in Italia la battaglia per il riconoscimento delle unioni celebrate all'estero, tra le quali figurano anche unioni matrimoniali, dato che numerosi Paesi stranieri si sono dotati di questo istituto mentre l'Italia no. Il 28 giugno del 1993 in piazza Pretoria a Palermo Massimo Milani e Gino Campanella si uniscono simbolicamente in matrimonio. Il 21 marzo 1994 Ettore Brondolo e Filippo Meda Bernareggi si presentano con parenti e amici all'Ufficio dello stato civile di Nepi (Viterbo) chiedendo di potersi sposare. Secondo la cronaca, già nel 1998 si sposarono Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti, rendendo pubblica la loro unione.Fino alla presentazione nel 2002 della proposta di legge 2982 di Franco Grillini ed altri, che è volta a regolare le "unione affettive" ma avanza anche la richiesta d'estensione del matrimonio civile alle coppie gay, il matrimonio fra persone dello stesso non entra nell'agenda. Le cose cambiarono radicalmente con l'approvazione del matrimonio gay in Spagna, il 30 giugno 2005, che dimostrò che è perfettamente possibile che un Paese cattolico approvi leggi di questo tipo, con la conseguenza che la richiesta dei Pacs fu subito tradotta nella contro-offerta dei Dico, che ne erano un annacquamento, poi ulteriormente ridotta a quella dei Didore (priva di conseguenze concrete), per arrivare infine alla proposta di riconoscimento di non meglio specificati "diritti individuali dei partner della coppia", concludendo con il nulla di fatto. Allo stato attuale, due persone aventi lo stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio in 19 nazioni: Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Portogallo, Islanda, Danimarca, Francia, Regno Unito (le coppie dello stesso sesso possono contrarre matrimonio in gran parte del Paese), Lussemburgo (a inizio 2015 le celebrazioni dei primi matrimoni tra persone dello stesso sesso nello Stato), Canada, Stati Uniti (le coppie dello stesso sesso possono contrarre matrimonio nella capitale e in 32 Stati della federazione), Messico (le coppie dello stesso sesso possono contrarre matrimonio nella capitale e in 2 Stati della federazione), Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica e Nuova Zelanda. Inoltre in Israele, in Aruba, in Curaçao e in Sint Maarten, pur non essendo consentito alle persone aventi lo stesso sesso di accedere all'istituto del matrimonio, vengono registrati i matrimoni fra persone dello stesso sesso celebrati altrove. In vari Paesi si può accedere a ufficializzazioni diverse dalle nozze; le persone omosessuali, aventi o meno la possibilità di contrarre matrimonio, hanno spesso accesso a questa tipologia di unioni civili. Il 3 aprile 2009 il Tribunale di Venezia ha emesso, su ricorso di una coppia omosessuale, un'ordinanza di remissione alla Corte costituzionale con cui si chiede alla Corte di valutare se l'interpretazione corrente e sistematica del codice civile che esclude le coppie omosessuali sia costituzionale. Il Codice civile italiano, pur non prevedendo nulla a proposito della diversità di sesso degli sposi, in alcuni articoli contiene le parole "moglie" e "marito"; ed è su questa previsione, secondo la corte di Venezia, che si fonda l'impossibilità di celebrare un matrimonio omosessuale. A questa prima ordinanza, che lamenta la violazione degli articoli 2, 3, 29 e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana oltre che della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, se n'è aggiunta una seconda, emessa dalla corte d'appello di Trento nell'agosto 2009. Analoghe ordinanze sono state in seguito emesse dalla Corte d'Appello di Firenze e dal Tribunale civile di Ferrara. Il 14 aprile, con la sentenza n. 138/2010, la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi del Tribunale di Venezia e della Corte d'appello di Trento come inammissibili (in riferimento agli artt. 2 e 117 della Costituzione), poiché la questione non rientra nelle competenze della Corte, e infondati (con riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione), "in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio". Successivamente, con l'ordinanza n. 276/2010 del 7 luglio 2010 e l'ordinanza n. 4/2011 del 16 dicembre 2010, sono stati respinti con motivazioni analoghe anche i ricorsi della Corte d'appello di Firenze e del Tribunale di Ferrara. L'11 giugno 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme dell'ordinamento italiano che disciplinano l'automatico scioglimento del matrimonio in seguito al cambiamento di sesso di uno dei coniugi laddove non consentono ai coniugi stessi, dopo lo scioglimento del matrimonio, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore. Il 15 marzo 2012, la Corte ha emesso una sentenza da più parti definita storica in cui, pur esprimendosi negativamente sulla richiesta da parte di una coppia dello stesso sesso italiana sposatasi all'estero di vedere riconosciuto il proprio matrimonio in Italia, ha dichiarato che nell'ordinamento giuridico italiano la diversità di sesso dei nubendi non è presupposto indispensabile, naturalistico, del matrimonio. Oggi la battaglia si apre tra il Ministero dell’Interno ed il sindaco di Roma, ciò che rileva giuridicamente è che le trascrizioni presso i registri comunali della capitale non hanno alcuna validità giuridica ma solo simbolica ed opinionista. All’abrogazione del DOMA, il Presidente degli Stati Uniti, Obama, ha affermato: “quando tutti gli statunitensi sono trattati equamente, a prescindere dalla persona che amano o che li ama, siamo tutti più liberi”.

mercoledì 1 ottobre 2014

Danny Crane!!



Giro sul web come giro per la mia città in bicicletta, di fretta ma curiosa ed è così che trovo pagine e pagine di consigli per scegliere un buon avvocato per la vostra causa. Sull’argomento ne scrivono giudici, clienti, ex clienti ed opinionisti: gli avvocati, stranamente, tacciono; meglio non risultare antipatici o supponenti. Secondo i più, giudici esclusi, in giro è pieno di bravi avvocati, tranne poi fermarsi al bar e sparlare della categoria,  ma quali sono le migliori caratteristiche che i malcapitati dovrebbero avere per guadagnarsi il titolo vero e proprio di “Ottimo Avvocato”? La prima dote che deve avere, secondo il web, un buon avvocato per farsi strada è la conoscenza di tutte le leggi o di una buona parte di esse, perché questo gli permetterà di capire subito il problema che gli viene posto dal cliente. Un buon avvocato deve avere una buona dialettica per esporre  la sua tesi in maniera convincente e persuasiva, tanto da farla apparire l’unica verità al cospetto degli altri. Tra i cinque talenti biblici deve possedere l’intuito, utilissimo in una causa per prevenire le mosse dell’avversario e per capire, sempre, se si è di fronte alla menzogna oppure alla più scontata delle verità. Un buon avvocato deve essere sempre disponibile e rispettare i clienti, ascoltarli e indicargli la giusta strada da seguire. In pratica dire la cosa giusta al momento giusto e quello che il cliente si vuole sentir dire. Questo piccolo rotocalco non tiene conto della nostra arguzia, del nostro coraggio, della nostra professionalita’, della nostra compassione né della nostra passione
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la nostra professione l’essere esercenti di un pubblico servizio. Innanzitutto il lavoro di un avvocato comporta una responsabilità d’immagine di tipo etico e morale che si traduce nella sua professionalità, intesa come preparazione formativa ma allo stesso tempo nella sua capacità d’improvvisare; una caratteristica un po’ teatrale. Non è la” tuttologia” un po’ remissiva compiacente ed un po’ sudicia sopradescritta che caratterizza la nostra professione. No! Più di tutte è la passione, sì la passione insieme alla dedizione ed alla costanza. La passione quella descritta da La Rochefoucauld: l'unico oratore che spesso persuade. Inoltre, non è l’intuito che sa risponderci e predirci se il cliente dice la verità, non è chiromanzia la nostra professione. Cerchiamo di  affermare una verità processuale non assoluta. L’avvocato è  un partigiano. Chi vive veramente la professione di avvocato non può non parteggiare. L'indifferenza è la fatalità; su cui non si può contare che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti. Serve l’abilità di vedere  chiaro nelle cose, di prospettare soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. L’importante è che queste soluzioni siano animate da una luce morale;
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti un po’ come, ugualmente ma diversamente, affermava Antonio Gramsci

mercoledì 24 settembre 2014

Quanti anni hai, stasera?!



Le recenti riforme stanno agitando le burrascose acque del processo penale. La richiesta sempre più pressante e motivata da parte dell’opinione pubblica  ha portato all’introduzione della legge n. 10 del 2014, sulle misure urgenti per l’adeguamento del sistema sanzionatorio alle indicazioni della Corte europea dei diritti umani tracciate nella sentenza pilota Torreggiani contro Italia.
Sulla scia persistente di questa ondata che richiede certezza della pena, inasprimento delle pene per la maggior sicurezza di tutti, non si scordi infatti l’acceso dibattito sull’introduzione dell’ omicidio stradale, su questa scia dicevo si incardina una decisione della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, la sentenza 13 giugno 2014, n. 25443,dalla quale emerge che in caso di somministrazione di alcolici a un minorenne anche il barista risponde della contravvenzione ex art. 689 c.p.

Il caso vedeva un barista somministrare alcolici ad un infrasedicenne all'interno di uno stabilimento balneare. Secondo la difesa dell'imputato, il reato di cui all'art. 689 c.p. doveva comportare la responsabilità solo dell'esercente, mentre il barista era un semplice dipendente. Tale soluzione deriverebbe dalla previsione della pena accessoria della sospensione dell'esercizio, la quale non potrebbe ricadere su un soggetto diverso dal titolare. Di diversa opinione gli ermellini, secondo i quali, nella previsione normativa de qua "non rientra solo il titolare della licenza di esercizio di osteria od altro pubblico spaccio, ma anche chi gestisce per lui, legittimamente o abusivamente. Lo stesso dipendente può essere chiamato a rispondere dell'illecito, in concorso col titolare della licenza ovvero, se abbia agito di sua esclusiva iniziativa, come rappresentante di fatto dell'esercente, acquistando la qualità di costui" .

Preme ricordare le principali norme di riferimento e comportamento cui è buona norma attenersi.

Vendita per il consumo sul posto
La somministrazione di bevande alcoliche può essere effettuata dagli esercizi in possesso delle seguenti autorizzazioni: autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande prevista dalla legge statale 25 agosto 1991, n. 287 o dalle specifiche leggi regionali sulla somministrazione (permanenti, stagionali o temporanee); autorizzazione per attività ricettive (alberghi, campeggi, ecc.) prevista dalla legge statale 29 marzo 2001 n. 135 e dalle specifiche leggi regionali limitatamente alle persone alloggiate, ai loro ospiti ed a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di manifestazioni e convegni organizzati; autorizzazione per l’esercizio di attività agrituristica prevista dalla legge statale 29 febbraio 2006, n. 96 e dalle specifiche leggi regionali; cantine ed enoteche  presenti sulle strade del vino limitatamente alla presentazione, degustazione e mescita  di prodotti vitivinicoli (art. 1 legge 27 luglio 1999, n. 268). 

Cessione per  asporto
La vendita di bevande alcoliche può essere effettuata dagli esercizi in possesso delle seguenti autorizzazioni: autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande prevista dalla legge statale 25 agosto 1991, n. 287 o dalle specifiche leggi regionali sulla somministrazione (permanenti, stagionali o temporanee vedasi); autorizzazione per la vendita al minuto previste dagli articoli 7, 8 e 9 (esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita) del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114; vendite effettuate da produttori agricoli di generi di propria prevalente produzione  (decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228); vendite di alcolici di propria produzione  (es. infusi e distillati) effettuata da artigiani nei locali dell’azienda (legge quadro sull’artigianato); dichiarazione del produttore di vino prevista dall’articolo 191 del regolamento di esecuzione del TULPS. Parimenti deve ritenersi vietata la vendita e la somministrazione con distributori automatici di alcolici.
 

Divieti e limitazioni
il già richiamato art. 689 del codice penale sulla somministrazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente vieta la vendita per asporto e la somministrazione di  bevande alcoliche a minori di anni 16; persona che appaia affetta da malattia di mente; persona che si trovi in condizioni di manifesta deficienza psichica  a causa di altra infermità. Il ministero dell’Interno, con una recente nota, ha chiarito, nel solco della dottrina, che il divieto non riguarda la sola somministrazione, ma anche la vendita per asporto e pertanto  le bevande alcoliche non possono essere consegnate nemmeno in confezione a chi ha meno di 16 anni. In ordine all’accertamento dell’età del cliente la Corte di Cassazione con una recente sentenza, ha ritenuto che in caso di incertezza sull’età del ragazzo sia necessario richiedere un documento, non essendo sufficiente basarsi sulle dichiarazioni dell’interessato e pertanto commette il reato previsto dal medesimo articolo l’esercente che serve o vende alcolici ad un minore di anni 16 anche se questi, o chi lo accompagna o ne ha  la patria potestà,  dichiari di avere una età superiore. La condanna importa, nel caso di pubblici esercizi, la perdita dei requisiti di onorabilità (art. 92 TULPS) in capo al reo alla quale segue la revoca delle licenza se trattasi del titolare, nonché la sospensione dell’esercizio fino ad un massimo di due anni anche se il reato è commesso da un dipendente, mentre  se trattasi di cessioni effettuate dalle altre categorie commerciali la pena accessoria è la sospensione dell’esercizio  fino a due anni. Trattandosi di responsabilità personale  per configurarsi il reato  è necessario che sia l’esercente a consegnare la bevanda alcolica al minore  non ritenendosi che il servire una bottiglia di vino ad un tavolo occupato da maggiorenni e minorenni possa configurare una fattispecie delittuosa.  Diverso il caso in cui al medesimo tavolo  si ordini un numero di consumazioni alcoliche pari a quello delle persone presenti. In tal caso scatta il divieto di servire chi non dimostra (o con l’aspetto o con i documenti) di avere più di 16 anni.


Somministrazione di alcol a persone in stato di manifesta ubriachezza
L’articolo 691 del Codice pensale punisce chiunque somministra (o comunque fornisce) bevande alcoliche  ad una persona in stato di manifesta ubriachezza.  Se il colpevole è un esercente la condanna comporta la sospensione dell’esercizio fino a 2 anni, la perdita dei requisiti di onorabilità alla quale segue la revoca della licenza. Per aversi la ubriachezza manifesta, il comportamento in pubblico del soggetto attivo deve denunciare inequivocabilmente l’ubriachezza in modo che questa sia percepita da chiunque, con sintomi del tipo: alito fortemente alcolico, andatura barcollante, pronuncia incerta o balbettante. Da tenere presente che l’articolo 187 del regolamento di esecuzione del TULPS , che impone agli esercenti di non rifiutare le proprie prestazioni a chi si offra di pagarne il prezzo, prevede in modo esplicito che tale obbligo non vale per i casi disciplinati dagli illustrati articoli del Codice Penale.







venerdì 19 settembre 2014

Filo di Scozia



La Scozia ha deciso di restare nel Regno Unito e milioni di inglesi che temevano la dissoluzione della Gran Bretagna hanno tirato un enorme sospiro di sollievo. I “No” hanno vinto il referendum sull'indipendenza con il 55% e il “Sì” di conseguenza si è fermato al 45%: dieci punti percentuali di distacco, 2.001.926 voti contro 1.617.989. Poco meno di quattrocentomila elettori - la differenza tra i due schieramenti - hanno stabilito che l'Inghilterra rimarrà una nazione unita e senza “mutilazioni”. A Glasgow, la città più popolosa, i separatisti hanno vinto. Ma Edimburgo, le Highlands, le Isole Ebridi, il Galloway, l'Abeerdeenshire - la Scozia rurale, silenziosa e vagamente “magica” che vive tra la brughiera e il Mare del Nord - ha pensato che fosse più saggio mantenere il matrimonio plurisecolare con Londra.
Il referendum sull’indipendenza ha generato un acceso dibattito anche su facebook, twitter, in Italia, però soltanto a poche ore dal voto, 20 mila i messaggi pubblicati.
Tra coloro che hanno preso posizione, la grande maggioranza (60,7%) esprime un atteggiamento simpatetico per il referendum. Le ragioni dietro a questo sentimento positivo sono le più variegate: c’è chi loda la devolution, chi sottolinea la libertà di autodeterminazione, e chi mostra semplicemente un forte apprezzamento per il popolo scozzese. Guardano con favore al referendum anche quegli italiani un po’ euro-scettici secondo cui la vittoria del “Sì” sarebbe una sconfitta per l’Europa dei burocrati, mentre l’idea di una Scozia indipendente piace anche a sinistra, a coloro che la immaginano come una paladina nella difesa del welfare. Un po’ a sorpresa sembra proprio che la possibile indipendenza della Scozia sia riuscita, per una volta, a unire gli italiani, dalle Alpi alla Sicilia. Il pensiero corre veloce a quello che sono stati i più importanti passaggi storici del nostro paese, a que referendum istituzionale che nel 1946 ha sancito la nascita della Repubblica Italiana. A seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno, indetto per determinare la forma di stato dopo il termine della seconda guerra mondiale.
Il 10 giugno 1946 la Corte suprema di cassazione proclamò i risultati del referendum, mentre il 18 giugno integrò i dati delle sezioni mancanti ed emise il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e i reclami concernenti le operazioni referendarie
·         Repubblica: 12 717 923 voti (54,3%)
·         Monarchia: 10 719 284 voti (45,7%)
·         Nulli: 1 498 136 voti
La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano. L'ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946 Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani (comprese le donne, che votavano per la prima volta in una consultazione politica nazionale) elessero anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale, risultarono votanti: 12.998.131 donne e 11.949.056 uomini. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell'Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale ed un periodo della storia nazionale assai ricco di eventi. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea Costituente elesse a Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, De Nicola assunse per primo le funzioni di Presidente della Repubblica Italiana il 1º gennaio 1948.
Dal referendum istituzionale, l’excusrus ai referendum abrogativi che hanno cambiato il passo del nostro paese è d’obbligo e quindi di seguito un breve riepilogo storico:

DIVORZIO - Poco dopo l'approvazione (1970) della legge di attuazione del referendum, comincia la raccolta delle firme per abrogare la legge sul divorzio. Per il primo scioglimento anticipato di ambedue le Camere, il voto slitta al 12 maggio 1974. Vincono i "no", con il 59,3 per cento.

I PRIMI REFERENDUM RADICALI - L'11 giugno 1978 si vota sulla legge Reale (ordine pubblico) e sul finanziamento pubblico dei partiti. Vincono ancora i "no". La Consulta ne aveva respinti altri quattro e due erano saltati per la modifica delle leggi.

PRO E CONTRO L'ABORTO - Il 17 maggio 1981 i referendum sono cinque: due sull'aborto (uno radicale per l'allargamento, l'altro, del Movimento per la vita, per la restrizione). Gli altri tre vogliono abrogare la legge Cossiga sull'ordine pubblico, l'ergastolo e il porto d'armi. Ancora una volta vittoria dei "no".

IL PRIMO REFERENDUM ECONOMICO - Il 9 giugno 1985, si vota sulla proposta di abrogare il taglio dei punti di scala mobile, deciso dal governo Craxi. Le firme sono raccolte dal Pci. Anche in questo caso la vittoria andrà ai "no", con il 54,3 per cento.

NUCLEARE - L'8 novembre 1987 si vota per cinque referendum, tre dei quali sul nucleare (Cernobyl è del 1986). Gli altri due su responsabilità civile dei giudici e commissione inquirente. Per la prima volta vincono i "sì", in tutti e 5 i casi.

FALLIMENTO PER I REFERENDUM AMBIENTALISTI - Il 3 giugno 1990, si vota su tre referendum di iniziativa ecologista, due sulla caccia e uno sui pesticidi. I "sì" sono più del 90%, ma il numero dei votanti non raggiunge il 50%, il quorum necessario affinché la consultazione sia valida.

IL PRIMO REFERENDUM SU LEGGI ELETTORALI - Il 9 giugno 1991 si vota per abrogare le preferenze elettorali. Respinte dalla Consulta altre due richieste (sistema elettorale di Senato e Comuni), presentate da Segni. I "sì" sono il 95,6%, i votanti il 62,2%, fallisce quindi l'invito di Craxi ad «andare al mare».

"PICCONATE" AL SISTEMA ELETTORALE - Il 18 aprile 1993 si vota su otto referendum. Gli elettori rispondono con otto "sì". Il voto più importante è quello che modifica in senso maggioritario la legge elettorale del Senato. Aboliti tre ministeri (Agricoltura, Turismo e Partecipazioni statali), il finanziamento pubblico dei partiti, le nomine politiche nelle Casse di Risparmio.

I REFERENDUM SULLA TV - L'11 giugno 1995 si vota per 12 referendum. Il "no" vince sui tre quesiti più importanti che riguardano la legge Mammì, e sulla richiesta di modificare il sistema elettorale per i comuni.
STAVOLTA TUTTI AL MARE - Il 15 giugno 1997 niente quorum per i sette referendum superstiti (dei 30 iniziali). Si vota su Ordine dei giornalisti, "golden share", carriera e incarichi extragiudiziari dei magistrati e altri argomenti minori.

FALLITO PER POCO IL REFERENDUM SUL PROPORZIONALE - Il 18 aprile 1999 il referendum per l'abolizione della quota proporzionale nel sistema elettorale per la Camera fallisce per pochissimo. Votano solo il 49,6%. Tra i votanti il "sì" ottiene il 91,5%. Errore di previsione dell'Abacus, le cui prime proiezioni danno per raggiunto il quorum.

NEL 2000 QUORUM LONTANISSIMO: si vota per sette referendum abrogativi. Nessuno di loro raggiunge il quorum. La percentuale dei votanti oscilla tra il 31,9 e il 32,5%. Il "sì" ha comunque la maggioranza nei referendum per l'elezione del Csm, gli incarichi extragiudiziali dei magistrati, la separazione delle carriere, i rimborsi elettorali, le trattenute sindacali e l'abolizione della quota proporzionale. Sono invece di più i "no" nel referendum sui licenziamenti.

QUORUM PER TUTTI I QUESITI: il 12 e 13 giugno 2011 si vota per quattro quesiti referendari. Tutti hanno raggiunto il quorum. Secondo il dato definitivo diffuso dal Viminale, al totale dei seggi scrutinati negli 8.092 Comuni italiani, l'affluenza alle urne è stata circa del 57%. Il quesito che ha incontrato maggior partecipazione è il secondo, quello sulla "determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito abrogazione parziale di norma", per cui ha votato il 57,03% degli elettori. Dato sceso al 54,8% considerando i voti degli italiani all'estero.