Quello che si svolgerà il 4 dicembre è il terzo dei
referendum costituzionali indetti in Italia dopo il 2001. Il peso che il premier attribuisce a questo appuntamento personalizzando troppo la domanda referendaria promettendo di dimettersi
all’esito negativo, lo ha reso una sorta di plebiscito
su di lui. Tralasciando le questioni politiche sulla scelta di votare sì o no,
sembra interessante analizzare come funziona questo tipo di referendum.
Innanzitutto la scheda avrà il seguente testo: "Approvate il testo della
legge costituzionale concernente "disposizioni per il superamento del
bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il
contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del
CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione', approvato
dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile
2016?".
Il referendum costituzionale, detto anche confermativo o
sospensivo è previsto dall'articolo 138 della Costituzione. Riguarda leggi direvisione della Costituzione (come il ddl Boschi oggetto di questo referendum)
e le altre leggi costituzionali. Può essere richiesto da "un quinto dei
membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli
regionali" entro tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 15 aprile, presentando distinte istanze presso la
cancelleria della Corte suprema di cassazione già a partire dal 20
aprile 2016.
Per
questo tipo di referendum non è previsto quorum: indipendentemente dal numero
dei partecipanti, vince l'opzione (“sì” o “no”) che abbia ricevuto la
maggioranza dei voti. Si è arrivati al referendum perchè nei casi di leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali ogni
Camera deve votare due volte a distanza di almeno tre mesi e se nella seconda votazione nei due rami del Parlamento la legge viene
approvata dalla maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera, il
referendum non avrà luogo. Nel caso del ddl Boschi le maggioranze di approvazione
sono state inferiori ai due terzi. Per questo il referendum si farà. Se il referendum costituzionale
darà il via libera all'entrata in vigore del ddl Boschi, una delle novità
riguarderà proprio l'altra forma di referendum costituzionale, quello abrogativo, per il quale invece è previsto il
quorum. Il voto sarà sempre valido se partecipa il 50% degli aventi diritto ma
se il referendum era stato richiesto da almeno 800mila elettori, il quorum
scende al 50% dei votanti delle ultime elezioni.
Come si diceva all'inizio dell'articolo il primo referendum costituzionale si svolse il 7ottobre del 2001. Gli italiani erano chiamati a confermare o meno la legge
costituzionale approvata dal vecchio Parlamento (maggioranza di
centro-sinistra, governo D'Alema) l'8 marzo del 2001 che modificava gli
articoli 114-133 della Costituzione. I voti favorevoli furono il 64,20% del totale
e la legge fu approvata. Benché il termine “federalismo” non appariva mai nel
testo della legge sottoposta a referendum, di questo si trattava: dare più
poteri e risorse alle regioni in tutte le materie non espressamente riservate
allo Stato. Il secondo referendum costituzionale della storia della Repubblica
Italiana si è svolto il 25 e 26 giugno 2006. La maggioranza dei votanti ha
respinto il progetto di riforma costituzionale varato su iniziativa del
centro-destra e che riguardava una serie di cambiamenti nell'assetto
istituzionale nazionale della seconda parte della Costituzione.
Oggi, la
riforma prevede, in sintesi, la fine del bicameralismo perfetto, l'elettività
dei senatori, l'eliminazione della figura del senatore a vita, nuove regole per
l'elezione del capo dello Stato, un nuovo processo di approvazione delle leggi,
le competenze di Stato e regioni, l'abrogazione delle province e del Cnel e
alcune novità in materia di referendum.
Nello specifico gli italiani dovranno
dire sì o no alle seguenti principali modifiche: diminuzione, da 315 a 100 del
numero dei senatori (che saranno eletti durante le elezioni regionali tra i
candidati consiglieri), fiducia al governo solo da parte della Camera, fine
della possibilità da parte del Senato di presentare emendamenti alle leggi che
non sono di sua diretta competenza con il risultato che l'iter che porta
all'approvazione o alla bocciatura sarà molto più rapido. Il referendum
riguarderà inoltre la modifica del Titolo V della Costituzione, con la rivisitazione di 17 articoli, che prevede che
sia lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva, l'aumento dei poteri
della Corte Costituzionale, che potrà intervenire, sempre su richiesta, con un
giudizio preventivo sulle leggi che regolano elezioni di Camera e Senato,
l'abrogazione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e
l'abbassamento del quorum per il referendum abrogativo qualora i promotori
riescano a raccogliere almeno 800mila firme per presentarlo. La riforma in questione comporta, nelle scelte, un forte
accentramento dei poteri nelle mani del governo, si pensi, infatti, che va a modificare un terzo della Costituzione per dare questo risultato, cui si deve aggiungere l'introduzione della nuova legge elettorale, Italicum, che assegna un premio
di maggioranza molto alto alla lista che otterrà più voti. In conclusione, dietro un’apparente semplificazione in nome della
“governabilità” a noi sembra si celi il pericolo di un caos
istituzionale in cui a restare al comando sia di fatto un solo potere:
quello dell’esecutivo.