L’obbligazione delle 5 P nei
confronti delle donne dovrebbe consistere in un vincolo giuridico tra donna e
Stato con lo scopo di realizzare e garantire le seguenti azioni: Promuovere una
cultura che non discrimini le donne; Prevenire, con misure idonee, la violenza
maschile sulle donne; Proteggere le donne che vogliono fuggire dalla violenza
maschile; Perseguire i crimini commessi nei confronti delle donne;Procurare un
risarcimento, non solo economico, alle vittime di violenza. L’ultima normativa
in materia di violenza di genere c.d. legge sul femminicidio (d.l. 14 agosto2013, n. 93, conv., con mod., dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119) ha introdotto
nel settore del diritto penale sostanziale e processuale una serie di misure,
preventive e repressive, per combattere la violenza contro le donne per motivi
di genere. Senza prevedere, però, la fattispecie del reato di femminicidio ma
normalizzando le nozioni di “violenzadomestica” (o violenza intrafamiliare) e di “violenza assistita”(quando i
minori assistono ad episodi di violenza in danno di figure familiari di
riferimento come per esempio i genitori o i fratelli).
La mancata previsione di
un reato specifico di femminicidio (o femicidio), come espressione della
violenza di genere che produce la morte della donna per mano maschile presenta evidenti
difficoltà connesse alla tipizzazione del fatto punibile. Non è agevole infatti
tradurre in una formula dai contorni ben definiti il movente dell’autore
(uccisione di una donna a causa della sua condizione di donna) espresso con un
concetto di tipo sociale ogniqualvolta
l’uomo ricorra alla violenza ogniqualvolta ravvisi la necessità di riaffermare il proprio
potere sulla donna, e provarlo in casi concreti. La determinatezza dei
presupposti della responsabilità penale pretende una descrizione precisa della
condotta di chi uccide una donna “in quanto donna”, dovendola poi
necessariamente differenziare dalle uccisioni di donne con movente diverso.
Questi larghi margini di incertezza dei criteri di imputazione oggettiva e
soggettiva della fattispecie da incriminare come femminicidio, e da formulare
con elementi propri che vanno al di là del sesso della vittima, ricostruibili
nella prassi solo in termini ipotetici e congetturali, soprattutto per quanto
riguarda il movente dell’autore, descritto come “movente di genere”.
Tuttavia, questa
previsioni permanendo nell’ambito di protezione della donna legata o già legata
al suo aggressore da un rapporto affettivo, rischierebbe di tipicizzare solo i c.d. “femminicidi
intimi” (realizzati da un uomo in danno di una donna durante o al termine di
una relazione sentimentale), lasciando fuori una tipologia di violenze che non
si limitano ai rapporti di tipo affettivo ma a tutt’altro tipo di relazioni,
come, per esempio l’omicidio dei clienti o degli sfruttatori in danno delle
prostitute. La previsione di una fattispecie ad hoc di femminicidio, autonoma e
più grave rispetto a quella di omicidio, in funzione di maggior tutela della
donna, a parte le segnalate difficoltà di tecnica legislativa, pone inquietanti
interrogativi di legittimità costituzionale, oltre che di opportunità, in
ragione della violazione dell’uguaglianza formale del bene vita per l’omicidio
dell’uomo e della donna. Il diritto penale rimane (e deve rimanere) neutrale
rispetto ai sessi. E’ vero che in taluni casi l’applicazione uniforme del
diritto è una delle molte facce che può assumere la discriminazione. In realtà,
dietro l’atteggiamento di chi propone uno “statuto penale speciale” per le
donne, o un “diritto penale della differenza” connotato dal genere femminile
del soggetto passivo che miri a riconoscere alle donne maggiore protezione di
quella degli uomini in relazione ai reati che si collocano nell’area della
violenza maschile verso il genere femminile, c’è una visione di una società
sessista e patriarcale cui, consapevolmente o inconsapevolmente, aderisce.
La
lotta per porre fine alla violenza maschile sulla donna è incompatibile con
l’idea di un diritto penale al femminile, di un regime “speciale” di protezione
penale delle vittime in ragione del genere al quale appartengono. Tutta
l’attenzione deve essere rivolta all’azione di mobilitazione delle coscienze
per trasformare modi di pensare e istituzioni costruite sull’assunto
dell’inferiorità femminile e per modificare la realtà sociale ancora
organizzata su una bipartizione di generi che avvantaggia gli uomini e mantiene
le donne discriminate o escluse. E per invertire la rotta la risposta deve
essere, anzitutto, politica, con l’obiettivo di ricostruire un patto sociale
tra donne e istituzioni dello Stato.
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