sabato 23 luglio 2016

Nelle more della sospensione feriale



Come noto, il Decreto Legge n. 132/2014, recante “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile”, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 (G.U. 10/11/2014, n. 261) ha modificato la durata della cosiddetta “sospensione feriale dei termini processuali”. A decorrere dal 2015 la sospensione dei termini è stabilita dal 1° al 31 agosto di ogni anno. La stessa norma ha anche fissato in 30 giorni le ferie annuali dei magistrati nonché degli avvocati e procuratori di stato. Per effetto della sospensione, i giorni dal 1 al 31 agosto vengono sostanzialmente “cancellati” dal calendario dei tribunali. Ciò implica non soltanto che durante tale periodo non saranno fissate udienze ma anche e soprattutto che, nel calcolo di alcuni termini processuali (stabiliti dalla legge per esempio per instaurare una causa, impugnare un atto, depositare documenti), dovranno essere esclusi i 31 giorni di agosto.
Si badi bene però che deve trattarsi di termini riferiti ad atti processuali e non stragiudiziali: per esempio il precetto è ancora atto stragiudiziale e quindi il suo termine di efficacia non è soggetto a sospensione feriale. È invece soggetto a sospensione il termine di efficacia del pignoramento, in quanto atto processuale vero e proprio. Stesso discorso vale per le multe per violazione del codice della strada: la sospensione si applica al termine per impugnare il verbale dinanzi al giudice ma non a quello di notifica del verbale stesso (il verbale della multa non è infatti atto processuale ma atto amministrativo). La sospensione feriale non si applica però a tutti i tipi di cause e a tutti i tipi di atti; vi sono alcune materie, infatti, che per la loro importanza e necessità di trattazione immediata, non subiscono sospensione neppure ad agosto.  
In generale la sospensione dei termini processuali non si applica poi a tutte le cause rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti. In questo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal Presidente del Tribunale con decreto in calce alla citazione o al ricorso, e per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del collegio. Tuttavia, nonostante quest’ultima sia abbastanza chiara nel prevedere le eccezioni, possono comunque venire fuori dubbi interpretativi in merito a particolari procedimenti. 
In molti casi è infatti dovuta intervenire la Cassazione per chiarire se si dovesse applicare o meno la sospensione: per esempio ha chiarito che per il procedimento di sfratto, bisogna distinguere tra fase sommaria (non soggetta a sospensione) e fase di merito (soggetta a sospensione). La sospensione feriale vale anche per i termini previsti per la costituzione in giudizio, ossia il deposito del ricorso in commissione tributaria. L'atto deve essere depositato presso la cancelleria del giudice tributario entro 30 giorni dalla notifica alla controparte, ma se questo termine cade nel periodo feriale, il conteggio dei giorni si dovrà sospendere per l'intera pausa feriale. Il periodo di sospensione vale anche per i termini a «ritroso». Il caso più frequente riguarda il deposito di memorie e/o documenti per i quali la scadenza va calcolata dalla data dell'udienza: entro10 giorni liberi prima dell'udienza ove non vi siano documenti da depositare, entro 20 giorni in caso di allegazione di documenti. In seguito alle modifiche introdotte dalla legge di Stabilità 2014 (legge 147/2013), anche per la fase di reclamo/mediazione è prevista la sospensione feriale. Infine la sospensione non opera per gli atti a valenza meramente amministrativa. È il caso di avvisi bonari, adesione ai processi verbali di constatazione, risposta ai questionari o inviti al contraddittorio.

domenica 17 luglio 2016

Diversamente amabili




Quest’anno sembra essere quello che vuole superare pregiudizi e barriere. Su questa scia, sempre lungimirante e visionaria, ancora una volta è la regione Toscana che intende porsi quale capofila perché si ritorni ad esaminare ed affrontare lo scabroso tema della sessualità per i disabili. Per questo, da qualche anno ormai, in Europa e nel mondo si sta diffondendo la figura dei "love giver" ovvero degli assistenti sessuali. In Italia pende il disegno di legge 1442 del 24 Aprile2014 “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone condisabilità” ed è assegnato alla commissione igiene e sanità del Senato ma ad oggi è praticamente fermo. Tra i primi firmatari c'è il parlamentare Lo Giudice e la senatrice Cirinnà (sì, sempre lei!). Prima di proseguire sarà bene intenderci sul significato di disabile, cioè colui che per ripercussioni negative patisce una riduzione oltre la norma di una o più funzioni sensoriali, motorie e/o psichiche”. Il termine handicap, utilizzato nel linguaggio corrente per definire tali situazioni, è mutuato dal linguaggio ippico, nel quale indica la penalizzazione che nei concorsi di equitazione viene inflitta (in termini di tempo, distanza o penso) ai cavalli favoriti, al fine di offrire le stesse possibilità di vittoria anche a quelli meno favoriti. 
Dunque, se è vero che “con un handicap ben congegnato tutti i concorrenti hanno le stesse possibilità di vittoria” (cfr. C. Hanau, Handicap, cit. p. 67), per quanto riguarda le persone l’interesse da perseguire non è evidentemente quello di penalizzare i “superdotati”, bensì quello di sostenere gli svantaggiati con misure che equiparano o, comunque, tendano all’equiparazione delle posizioni di partenza. Questa urgenza non nasce quindi dal fatto che la figura della madre si sia emancipata al punto da portare il proprio figlio a prostitute e pagare fino a 500 euro, o al punto di masturbarlo lei stessa, o perché si diffondono notizie come quella del ragazzo spinto dalla madre a cercare una prostituta per il fratello con disabilità. L’urgenza, voglio credere sia, quella d’includere il disabile nella società, in una società che sia educata alla disabilità. Partire da un impulso sessuale, intimo per proiettarsi, poi, a costruire nuove prospettive tali da creare l’indipendenza per il disabile. In particolare, è stata rivalutata la disabilità non come “mancanza” quanto – piuttosto – come una dimensione della diversità umana nella consapevolezza che il cuore del problema non risiede nella condizione della disabilità in quanto tale, ma nei contesti sociali e culturali in cui essa emerge. A rompere il tabù, come già detto, è la Regione Toscana con una proposta di risoluzione che impegnerà la Giunta ad andare verso il riconoscimento dell’assistente sessuale per i disabili. Attraverso la sua professionalità supporta le persone diversamenteabili a sperimentare l’erotismo e la sessualità. Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale e/o sessuale. 
Gli incontri, infatti, si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività autoerotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica. Quanto appena rappresentato si traduce nel diritto delle persone con disabilità a fruire di condizioni minime per un’esistenza libera e soprattutto dignitosa, nella consapevolezza, come ebbe a dire la Corte Costituzionale che tra i compiti cui lo Stato non può in nessun caso abdicare v’è proprio quello di “contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana” (Corte Costituzionale, sentenza 25 febbraio 1988 n. 217).Come sancito dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (1974) “la salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali nell’essere sessuato al fine di pervenire ad un arricchimento della personalità umana, della comunicazione e dell’amore”.Ciò considerato, è possibile affermare che la dignità umana di un individuo – abile e non abile – viene a manifestarsi anche per mezzo della propria sessualità. Sul punto, è sufficiente far riferimento alla Convenzione sui diritti dellepersone con disabilità, stipulata a New York il 13 dicembre 2006 (ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009 n. 18). Il trattato in esame riconosce espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” (collocati nel novero dei “principi generali”, v. art. 3 della Convenzione).
La stessa Convenzione, all’art. 12 comma IV (“uguale riconoscimento dinanzi alla legge) chiaramente statuisce “Gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario”. Sotto altro angolo prospettico potrebbe venire in rilievo il concreto esercizio di questo diritto, qualora la sessualità non fosse consapevolmente vissuta dal disabile. In questo caso, sarebbe opportuno ipotizzare l’adozione di strumenti di monitoraggio e sostegno tramite i servizi sociali o i Consultori. E dove questi, potrebbero risultare insufficienti, attraverso l’autorità penale sopprimerne la mercificazione.