domenica 25 gennaio 2015

La giustizia sportiva sprofonda nel ghiaccio



Innanzitutto si deve capire cosa si intenda per illecito sportivo, in generale rimane in ambito strettamente sportivo tutto ciò che è di rilievo esclusivo dell'ordinamento sportivo, non ravvisandosi diritti ed interessi meritevoli di tutela ulteriore da parte dell'ordinamento giuridico. Va da sè che se la commissione dell'illecito riguarda solo violazioni regolamentari dell'attività sportiva, l'ordinamento giuridico civile e penale ne rimane totalmente indifferente. Può sembrare strano ma la storia di Carolina Kostner può servire per far capire la sostanziale differenza. Carolina, secondo l’ufficio della procura, ha mentito a un ispettore antidoping: “Alex Schwazer, il mio fidanzato, non è qui a Oberstdorf ma a Racines”; invece era proprio lì. La giustizia sportiva se l’è presa con lei: ha mentito all’ispettore (favoreggiamento 2.8) e ha omesso di denunciare 3.3. che si dopava. Viene tratta, pertanto davanti al Tribunale Nazionale Antidoping (TNA) per aver violato la disposizione di cui al punto 2.8 (Somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta durante le competizioni, di un qualsiasi metodo proibito o sostanza vietata,oppure somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta,fuori competizione, di un metodo proibito o di una sostanza vietata che siano proibiti fuori competizione o altrimenti fornire assistenza,incoraggiamento e aiuto, istigare, dissimulare o assicurare ogni altro tipo di complicità in riferimento a una qualsiasi violazione o tentataviolazione delle NSA.) e 3.3. (Per la violazione dell’articolo 2.4 (Mancata presentazione di informazioni utili sulla reperibilità e/o mancata esecuzione di controlli), il periodo di squalifica determinato sulla base del grado di colpevolezza dell’Atleta, va da un minimo di anni uno ad un massimo di anni due). Questo comportamento, nell’ambito dell’ordinamento giuridico penale è talvolta scriminato. Cominciamo da qui. Il codice penale obbliga alla denuncia di un reato solo i pubblici ufficiali; i privati cittadini devono denunciare (nel caso ne abbiano conoscenza) solo i reati contro la personalità dello Stato, i sequestri di persona e la detenzione di armi e di esplosivi; non, per esempio , chi fa uso di droghe e nemmeno chi le spaccia. Se, per analogia, parifichiamo l’uso di sostanze stupefacenti al doping, proprio non si capisce perché la povera Carolina, che potrebbe benissimo tacere se l’universo mondo intorno a lei facesse uso di droga, avrebbe dovuto denunciare il suo fidanzato che si dopava.
Non si intende, ovviamente, con queste affermazioni sottovalutare quanto sia necessaria una maggior severità della giustizia sportiva per scongiurare il doping ma allo stesso tempo non può trascurarsi il fatto storico che i due atleti (Kostner e Schwazer)fossero al momento del fatto conviventi ossia una coppia di fatto.
Appare evidente a questo punto la discriminazione della giustizia sportiva e di quella penale nei confronti delle coppie di fatto rispetto alle coppie di diritto (coniugi).
L’art. 199 del codice di procedura prevede che i prossimi congiunti dell’imputato possano astenersi dal testimoniare; nonni, genitori, figli, coniuge, fratelli, affini, zii e nipoti dell’imputato possono dire: no, non voglio; e, se non li avvertono di questa facoltà e loro testimoniano, la deposizione è inutilizzabile. Anche il convivente more uxorio, insomma la coppia di fatto, gode di questa facoltà.
Però questa parificazione della coppia di fatto viene meno in materia di favoreggiamento, complicità in ambito sportivo, (art. 378 codice penale): l’art. 384 (non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare un proprio congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore) a loro non si applica. Insomma una moglie, un papà, una mamma, un figlio, anche uno zio o un nipote, se la polizia cerca il loro parente, possono ospitarlo senza essere perseguiti. Una fidanzata, se la persona amata le chiede “non dire che sono qui con te, ti prego”, lo deve tradire per legge.
Però c’è un però; il Tribunale ordinario penale, dopo aver sentito la pattinatrice ha archiviato la sua posizione decidendo, quindi, di non perseguirla.
La Seconda Sezione del Tribunale Nazionale Antidoping, invece, al termine dell’udienza dibattimentale, ha squalificato per 1 anno e 4 mesi Carolina Kostner assolvendola per l’omessa denuncia ma affermandone la responsabilità per la complicità (favoreggiamento).
E ancora una volta paga una donna, come accadde nel 1954 a Giulia Occhini, la Dama Bianca di Fausto Coppi, rinchiusa nel carcere di Alessandria per adulterio e abbandono del tetto coniugale (all’uomo no, a lui vengono sempre concesse le attenuanti che risalgono ad Adamo ed Eva, come se la vera e unica tentatrice fosse lei, con quella sua dannata mela!

sabato 10 gennaio 2015

Delete: quis contra nos?



Mario Costeja Gonzalez si era rivolto, all’equivalente del nostro Garante per la Privacy in Spagna, sostenendo di avere il diritto di fare rimuovere i link che comparivano nella pagina dei risultati di Google cercando il suo nome. Alcuni di questi link rimandavano a pagine di giornale in cui si dava conto della messa all’asta per motivi di necessità economica della sua casa 16 anni fa. Per Costeja Gonzalez il contenuto segnalato da Google violava la sua privacy e non era più rilevante come informazione sui suoi problemi economici, ora risolti. I dati personali sono diventati una risorsa strategica per molte società che sviluppano il proprio business sulla raccolta, aggregazione e analisi dei dati dei propri clienti, attuali e potenziali. Le informazioni in Rete su ciascuno di noi rappresentano ormai la valuta dell’attuale mercato digitale, “il petrolio” dell’economia digitale. Sulla permanenza in Rete di informazioni che ci riguardano si gioca il nostro spazio di libertà, tutela dell’identità digitale e autodeterminazione informatica. 
Il diritto all’oblio è una delle frontiere mobili della tutela dei diritti dell’individuo e si sta affermando progressivamente in Europa, pur tra molte incognite e difficoltà applicative. Lo scorso maggio la Corte di giustizia europea, è stata chiamata a decidere sulla questione cd. Google Spain  riconoscendo  il diritto a ottenere la deindicizzazione di alcuni risultati dai motori di ricerca. Va poi ricordato che la rimozione operata dai motori di ricerca non riguarda la notizia in sé, che continua a essere accessibile dal sito che la ospita, ma solo il collegamento generato utilizzando una determinata parola chiave. In questo modo, è preservata la possibilità per il pubblico di ottenere informazioni, senza esporre l'interessato alla riproposizione di notizie risalenti, talora destinata a tradursi in una gogna mediatica.
Il vero problema è che la Corte di giustizia ha omesso di indicare con limitate eccezioni legate all'informazione giornalistica su quali basi una richiesta di deindicizzazione possa essere accolta.
Nel nostro paese, recentemente, il Garante privacy ha adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. In sette dei nove casi definiti il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo che la posizione di Google fosse corretta in quanto è risultato prevalente l'aspetto dell'interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca, sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio .In due casi, invece, l'Autorità ha accolto la richiesta dei segnalanti. Nel primo, perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona.
Ed il diritto all’informazione del cittadino si trasforma nel diritto alla conoscenza della sola notizia aggiornata? Si pensi, per citarne alcuni, al caso di Emanuela Orlandi, al delitto di via Poma, a quello dell’Olgiata, al delitto Pasolini, a quelli del mostro di Firenze che tuttora, continuano a presentare dubbi e incertezze. Tutti casi la cui riproposizione soddisfa ancora oggi un’indubbia esigenza informativa. La riproposizione di casi irrisolti o comunque misteriosi presenta una duplice utilità sociale. In primo luogo, la collettività viene aggiornata sullo stato delle indagini. In secondo luogo, si rende operante un principio di natura squisitamente democratica: si permette la partecipazione ideale della collettività alla soluzione del caso, stimolando un dibattito che per forza di cose resta aperto. Al limite, di diritto all’oblio può legittimamente parlarsi per quei soggetti che all’epoca dei fatti furono posti all’attenzione del pubblico per dovere di completezza della notizia, pur avendo una posizione marginale. Ad esempio, se dopo il massacro del Circeo furono intervistati i vicini di casa, i parenti o gli amici di Angelo Izzo per raccogliere le loro impressioni, questi avrebbero potuto invocare il diritto all’oblio se nel riproporre l’evento in tv dopo trent’anni fossero state mostrate quelle interviste. Il vecchio senatore Flamigni,  che ha passato una vita a indagare sul caso Moro, si è già visto recapitare dall'avvocato di un brigatista pur condannato la richiesta di scomparire da quell'archivio perché sono passati trent'anni, la condanna è stata scontata, un'altra esistenza è in movimento. Anche Mario Chiesa, il «mariuolo» della Baggina (secondo la definizione di Craxi) dal cui arresto partì 22 anni fa l'inchiesta Mani pulite, si è visto riconoscere da un giudice il diritto all'oblio. Ma si possono immaginare archivi sul caso Moro senza i nomi dei brigatisti coinvolti? E la storia di Tangentopoli senza il resoconto del goffo tentativo di Chiesa di gettare nel water la tangente appena riscossa? Un'ansia attraversa le nostre vite: dimenticare, cancellare, rimuovere.