domenica 26 giugno 2016

“Leave” and let die



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Nel pieno della scelta democratica oltre 33 milioni di britannici sono andati alle urne e un’affluenza del 72,2 per cento ha decretato con percentuale del 51,09 % che la Gran Bretagnadeve lasciare (leave) l’Unione Europa. Cosa significava fare parte dell’Unione? l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza tra i paesi che riduce i rischi di conflitti. Solo per darci alcuni spunti di riflessione è importante ricordarsi che  l'Unione ha competenza esclusiva sull’unione doganale, sulle regole di concorrenza (regolazione dei mercati), la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca e non ultima la politica commerciale con gli Stati Internazionali. Detto questo il dibattito sulla brexit e le proiezioni nonché report sugli effetti di questo cd. divorzio consensuale fa temere che le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee. Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. 
Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna. Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza. Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così. Quindi? 
A noi sembra ci sia poco da esultare. Questo è il risultato di un uso irresponsabile del voto. Il referendum è stato convocato per ragioni di politica interna. Si è chiesto il pronunciamento diretto dell’elettorato per sopravvivere agli attacchi interni degli euroscettici di Nigel Farage. L’unico a non capire che per far cadere Cameron era necessario schierarsi all’opposizione, è stato proprio David Cameron.  Ma l’uso del voto è stato irresponsabile anche da parte degli elettori che hanno rinunciato al senso critico. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati e per l’impero. Sembra, inoltre, che sia del tutto assente un piano dopo-Brexit ( se escludiamo il milione di firme raccolte per rientrare nell’UE). Purtroppo o per fortuna è la democrazia rappresentativa a garantire competenza e mediazione in alcune materie. Quando il tema è complicato, per sua stessa natura, sarebbe meglio dedicare maggior tempo allo studio per prendere decisioni informate e consapevoli, altrimenti diventa circonvenzione d’incapace. Facciamo un esempio: “Volete voi pagare le tasse?”


“Leave” and let die



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Nel pieno della scelta democratica oltre 33 milioni di britannici sono andati alle urne e un’affluenza del 72,2 per cento ha decretato con percentuale del 51,09 % che la Gran Bretagnadeve lasciare (leave) l’Unione Europa. Cosa significava fare parte dell’Unione? l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza tra i paesi che riduce i rischi di conflitti. Solo per darci alcuni spunti di riflessione è importante ricordarsi che  l'Unione ha competenza esclusiva sull’unione doganale, sulle regole di concorrenza (regolazione dei mercati), la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca e non ultima la politica commerciale con gli Stati Internazionali. Detto questo il dibattito sulla brexit e le proiezioni nonché report sugli effetti di questo cd. divorzio consensuale fa temere che le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee. Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. 
Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna. Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza. Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così. Quindi? 
A noi sembra ci sia poco da esultare. Questo è il risultato di un uso irresponsabile del voto. Il referendum è stato convocato per ragioni di politica interna. Si è chiesto il pronunciamento diretto dell’elettorato per sopravvivere agli attacchi interni degli euroscettici di Nigel Farage. L’unico a non capire che per far cadere Cameron era necessario schierarsi all’opposizione, è stato proprio David Cameron.  Ma l’uso del voto è stato irresponsabile anche da parte degli elettori che hanno rinunciato al senso critico. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati e per l’impero. Sembra, inoltre, che sia del tutto assente un piano dopo-Brexit ( se escludiamo il milione di firme raccolte per rientrare nell’UE). Purtroppo o per fortuna è la democrazia rappresentativa a garantire competenza e mediazione in alcune materie. Quando il tema è complicato, per sua stessa natura, sarebbe meglio dedicare maggior tempo allo studio per prendere decisioni informate e consapevoli, altrimenti diventa circonvenzione d’incapace. Facciamo un esempio: “Volete voi pagare le tasse?”


martedì 14 giugno 2016

Giro giro tondo DASPO al mondo.......


.....e tutti giù per terra!
I recenti fatti violenti che hanno riguardato la sproporzionata reazione dei tifosi russi dopo la partita Inghilterra – Russia agli Europei 2016 richiede una necessaria riflessione sulla violenza nei campi sportivi e sulle forme giuridiche di sanzione e repressione. La UEFA, per quel potere sanzionatorio che le compete secondo i dettami della Federazione ha aperto ufficialmente un procedimento disciplinare nei confronti della Russia. In Italia, il potere sanzionatorio spetta alla FGC che lo esercita erogando sanzioni disciplinari in materia sportiva ma senza sostituirsi all’ordinamento nazionale che espone il proprio arsenale repressivo. Grazie, infatti, ad alcune delle misure adottate negli ultimi anni, gli episodi di violenza all'interno degli impianti sportivi sono in forte diminuzione.
La legislazione in materia, introdotta con decretazione d'urgenza dopo i tragici eventi degli anni 2005 ("Decreto Pisanu") e 2007 ("Decreto Amato"), ha ampliato il contesto logistico e temporale dei reati da stadio, fino a integrare la punibilità di fatti (quali di lancio, uso e possesso di oggetti pericolosi ) che siano consumati non solo nei luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive, ma anche «in quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate vicinanze di essi» e fino a 24 ore prima o dopo la partita.
Per di più, oltre che estesa anche alla violazione del Daspo nelle sue varie ipotesi, la facoltà di arresto è ora consentita «entro quarantotto ore» dal fatto (cosiddetta flagranza differita), anche mediante un'efficace utilizzazione degli strumenti di accertamento e di indagine offerti dalle nuove disposizioni in materia di videosorveglianza (facoltà di recente prorogata su iniziativa del ministro dell'Interno Angelino Alfano fino al mese di giugno del 2016).
È stata anche introdotta una nuova figura di reato aggravato (articolo 583-quater del Cp: «lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive»), in forza della quale sono punibili con la reclusione da 4 a 10 anni le lesioni gravi e da 8 a 16 anni le lesioni gravissime (tale norma è ora applicabile anche qualora vittima del reato sia uno steward), mentre è ora considerata circostanza aggravante del reato di cui all'articolo 338 del Cp (violenza e minaccia a pubblico ufficiale), ai sensi dell'articolo 339 del Cp, anche «la violenza o la minaccia (...) commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti a offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone».
Dunque, la legislazione vigente consente amplissimi margini di intervento repressivo ma la violenza dentro e, soprattutto, fuori dagli stadi è ben lungi dal potersi considerare debellata.
La violenza si è spostata tragicamente al di fuori degli stadi, nelle vie d'accesso e perfino in luoghi certo non prossimi all'impianto sportivo. Con alcuni interventi “chirurgici” il parlamento si è adoperato per rendere ora più precise ora più maneggevoli per gli operatori le norme che consentono di sanzionare chi si rende protagonista di condotte illegali durante le competizioni sportive; e in più ha introdotto qualche novità che obbliga le società calcistiche a farsi carico almeno in parte delle spese che lo Stato deve affrontare per garantire l'ordine pubblico negli stadi.
In questa sede ci soffermiamo sul Daspo, misura di prevenzione che vieta al soggetto ritenuto pericoloso di accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive. Il provvedimento viene emesso dal questore e la sua durata va da uno a cinque anni, in base alle modifiche del cosiddetto Decreto Pisanu varato nel febbraio 2007 dopo gli scontri di Catania, che hanno causato la morte dell'Ispettore di Polizia Filippo Raciti.
Può essere accompagnato dall'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia in concomitanza temporale delle manifestazioni vietate. Esso viene sempre notificato all'interessato ma, nel caso in cui ad esso si affianchi anche la prescrizione della firma, esso è comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente. Entro 48 ore dalla notifica, ne deve seguire la convalida da parte del G.i.p. presso il medesimo Tribunale, solo ed unicamente per la parte attenente la firma. il Questore può autorizzare l'interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi possa recarsi per apporre le firme d'obbligo in concomitanza delle manifestazioni sportive. il questore può aumentare la durata del Daspo già in corso di esecuzione, se violato, fino a otto anni senza quindi sanzionare la violazione del divieto  con l'applicazione di un altro divieto ma con l'aumento di durata dello stesso provvedimento. Deve ritenersi tuttavia che, anche in assenza di esplicita indicazione, tale ampliamento del divieto con prescrizione debba - al pari del provvedimento nuovo - essere sottoposto alla convalida del Gip. In arrivo il testo sulla sicurezza, multe e daspo , formato da una ventina di articoli, concordato tra Viminale e Anci. Ai sindaci il potere di firmare ordinanze permanenti, stretta sulle manifestazioni. E contempla la possibilità di “ordinanze stabili”, cioè che non possono essere impugnate di fronte ai tribunali amministrativi, che ovviamente non trovano d'accordo i giuristi.







domenica 12 giugno 2016

Partite di calcio come guerre




E tempo di Europei e l’Italia debutta domani 13 giugno contro il Belgio. Per questa ragione sembra interessante approfondire il tema della scriminante dell’accettazione del rischio. Quanto a noi italiani, Winston Churchill disse:“gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Tanta foga si manifestò in una partita di calcio del campionato sardo, quando un giocatore della squadra dell'Alghero, in un'azione di gioco, al fine d'interrompere l'azione avviata dall’avversario della squadra del Tempio, il quale, attorno al 48° minuto del secondo tempo, impossessatosi del pallone aveva dato vita ad un veloce contropiede della squadra ospitata, spingendo davanti a sé la sfera, con l'intento di guadagnare prestamente l'area di rigore, attingeva, con eccessiva violenza, con un calcio la gamba dell'avversa rio, causandogli lesioni gravi, consistite nella frattura della tibia sinistra. Una recente pronuncia (Cass. Pen., Sez. IV,sentenza n. 9559, decisa il 26 novembre 2015, depositata in Cancelleria l'8marzo 2016) in tema di reato colposo prende le mosse proprio da questo avvenimento. Com’è noto, la Federazione Italiana Giuoco Calcio è titolare di una potestà disciplinare sui propri associati in relazione ad una prospettiva funzionale al perseguimento dei propri fini istituzionali. 
Tale potere della federazione discende dagli ampi margini di autonomia riconosciuti all’ordinamento sportivo dall’ordinamento giuridico generale. Il problema che si pone è, appunto, quello dell’individuazione del confine entro il quale l’associato, in nome della sua contemporanea appartenenza a quell’ordinamento particolare, può essere privato ovvero, sotto diverso angolo visuale, è tenuto a rinunciare ai diritti allo stesso spettanti quale componente dell’ordinamento giuridico statuale. I problemi sorgono nell’ambito degli sport cosiddetti “a contatto eventuale” nel senso che il contatto fisico, pur non costituendo tratto caratterizzante il gioco, è ammesso, seppur entro determinati limiti. Premesso che, ovviamente, il quantum di violenza consentita o tollerata muta al variare delle finalità tecniche della specifica disciplina sportiva presa in considerazione, è possibile osservare come, normalmente, un fatto che se commesso al di fuori dell’esercizio dell’attività agonistica costituirebbe, di per sé, reato, diviene lecito e, comunque, consentito ove si verifichi in sede sportiva ed all’interno del quadro costituito dalle regole del gioco. Con la sentenza n. 9559 dell'8 marzo 2016, la Cassazione penale, sezione quarta, seguendo l'opinione più diffusa e convincente in materia, aderisce al principio enunciato, escludendo invece l'operatività di una tale scriminante nei seguenti casi:
a) quando si constati l'assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva;
b) quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso (a tal ultimo riguardo, un conto è esercitare un agonismo, anche esacerbato, allorquando sia in palio l'esito di una competizione di primario rilievo, altro conto quando l'esito non abbia una tale importanza o, ancor meno, se si tratti di partite amichevoli o, addirittura, di allenamento);
c) quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell'attività".
Si esclude, in particolare, la possibilità di invocare la scriminante del consenso dell'avente diritto, di cui all'art. 50 cod. pen., in quanto non può giungere "fino a giustificare lesioni irreversibili dell'integrità fisica e financo (in alcune discipline) la morte"; parimenti quella dell'esercizio del diritto, ex art. 51 cod. pen., la quale "non consentirebbe di escludere dall'area della penale responsabilità tutte quelle condotte che, pur commesse in violazione del regolamento che disciplina la singola disciplina sportiva, non risultino esuberare l'area del rischio accettato". Costituisce, infatti, secondo la sentenza in esame, un sapere largamente condiviso "la constatazione che l'esercizio, specie con i caratteri agonistici delle gare di maggior rilievo, di una disciplina sportiva che implichi l'uso necessario (es. pugilato, lotta, ecc.) o anche solo eventuale (calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto, ecc.) della forza fisica, costituisce un'attività rischiosa consentita dall'ordinamento, per plurime ragioni, a condizione che il rischio sia controbilanciato da adeguate misure prevenzionali, sia sotto forma di regole precauzionali, che dall'imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti". Si è inoltre specificato che "l'area consentita è delimitata dal rispetto delle regole del gioco, la violazione delle quali, peraltro, deve essere valutata in concreto, con riferimento alle condizioni psicologiche dell'agente, il cui comportamento scorretto, travalicante, cioè, quelle regole, può essere la colposa, involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario, approfittando della circostanza del gioco".
Nella fattispecie in esame l'infortunio è maturato in un frangente di gioco particolarmente intenso (gli ultimi minuti dell'incontro di una partita di calcio del campionato serie Eccellenza). L'atto era manifestamente indirizzato ad interrompere l'azione di contropiede della squadra avversaria, mediante il tentativo di impossessarsi regolarmente del pallone. La condotta del calciatore, giudicato colpevole dal giudice di merito del reato di cui all'art. 590, commi 1 e 2 c.p., viene ritenuta invece dalla Cassazione meritevole di censura solo nell'ambito dell'ordinamento sportivo, "non già perché smodatamente violenta (la pienezza agonistica qui era giustificata dal contesto dell'azione, dal momento di essa e dagli interessi in campo), bensì perché, mal calcolando la tempistica, invece che cogliere il pallone, aveva finito per colpire la gamba dell'avversario che già aveva allungato la sfera in avanti; ma certamente non sconfina dal perimetro coperto dalla scriminante" atipica dell'accettazione del rischio.