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domenica 3 dicembre 2017

L'obbligazione delle 5P



L’obbligazione delle 5 P nei confronti delle donne dovrebbe consistere in un vincolo giuridico tra donna e Stato con lo scopo di realizzare e garantire le seguenti azioni: Promuovere una cultura che non discrimini le donne; Prevenire, con misure idonee, la violenza maschile sulle donne; Proteggere le donne che vogliono fuggire dalla violenza maschile; Perseguire i crimini commessi nei confronti delle donne;Procurare un risarcimento, non solo economico, alle vittime di violenza. L’ultima normativa in materia di violenza di genere c.d. legge sul femminicidio (d.l. 14 agosto2013, n. 93, conv., con mod., dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119) ha introdotto nel settore del diritto penale sostanziale e processuale una serie di misure, preventive e repressive, per combattere la violenza contro le donne per motivi di genere. Senza prevedere, però, la fattispecie del reato di femminicidio ma normalizzando  le nozioni di “violenzadomestica” (o violenza intrafamiliare) e di “violenza assistita”(quando i minori assistono ad episodi di violenza in danno di figure familiari di riferimento come per esempio i genitori o i fratelli). 
La mancata previsione di un reato specifico di femminicidio (o femicidio), come espressione della violenza di genere che produce la morte della donna per mano maschile presenta evidenti difficoltà connesse alla tipizzazione del fatto punibile. Non è agevole infatti tradurre in una formula dai contorni ben definiti il movente dell’autore (uccisione di una donna a causa della sua condizione di donna) espresso con un concetto di tipo sociale  ogniqualvolta l’uomo ricorra alla violenza ogniqualvolta  ravvisi la necessità di riaffermare il proprio potere sulla donna, e provarlo in casi concreti. La determinatezza dei presupposti della responsabilità penale pretende una descrizione precisa della condotta di chi uccide una donna “in quanto donna”, dovendola poi necessariamente differenziare dalle uccisioni di donne con movente diverso. Questi larghi margini di incertezza dei criteri di imputazione oggettiva e soggettiva della fattispecie da incriminare come femminicidio, e da formulare con elementi propri che vanno al di là del sesso della vittima, ricostruibili nella prassi solo in termini ipotetici e congetturali, soprattutto per quanto riguarda il movente dell’autore, descritto come “movente di genere”.
Tuttavia, questa previsioni permanendo nell’ambito di protezione della donna legata o già legata al suo aggressore da un rapporto affettivo, rischierebbe  di tipicizzare solo i c.d. “femminicidi intimi” (realizzati da un uomo in danno di una donna durante o al termine di una relazione sentimentale), lasciando fuori una tipologia di violenze che non si limitano ai rapporti di tipo affettivo ma a tutt’altro tipo di relazioni, come, per esempio l’omicidio dei clienti o degli sfruttatori in danno delle prostitute. La previsione di una fattispecie ad hoc di femminicidio, autonoma e più grave rispetto a quella di omicidio, in funzione di maggior tutela della donna, a parte le segnalate difficoltà di tecnica legislativa, pone inquietanti interrogativi di legittimità costituzionale, oltre che di opportunità, in ragione della violazione dell’uguaglianza formale del bene vita per l’omicidio dell’uomo e della donna. Il diritto penale rimane (e deve rimanere) neutrale rispetto ai sessi. E’ vero che in taluni casi l’applicazione uniforme del diritto è una delle molte facce che può assumere la discriminazione. In realtà, dietro l’atteggiamento di chi propone uno “statuto penale speciale” per le donne, o un “diritto penale della differenza” connotato dal genere femminile del soggetto passivo che miri a riconoscere alle donne maggiore protezione di quella degli uomini in relazione ai reati che si collocano nell’area della violenza maschile verso il genere femminile, c’è una visione di una società sessista e patriarcale cui, consapevolmente o inconsapevolmente, aderisce.
La lotta per porre fine alla violenza maschile sulla donna è incompatibile con l’idea di un diritto penale al femminile, di un regime “speciale” di protezione penale delle vittime in ragione del genere al quale appartengono. Tutta l’attenzione deve essere rivolta all’azione di mobilitazione delle coscienze per trasformare modi di pensare e istituzioni costruite sull’assunto dell’inferiorità femminile e per modificare la realtà sociale ancora organizzata su una bipartizione di generi che avvantaggia gli uomini e mantiene le donne discriminate o escluse. E per invertire la rotta la risposta deve essere, anzitutto, politica, con l’obiettivo di ricostruire un patto sociale tra donne e istituzioni dello Stato.

domenica 24 settembre 2017

Famolo strano!



Ed eccoci qui,  dalle cause di separazione basate sul “difetto di verginità” alle opposte circostanze in cui sono le donne che citano in giudizio gli uomini chiedendo risarcimenti da capogiro per il mancato adempimento dei doveri coniugali (al Tribunale di Bologna pende una causa promossa da una signora che pretende dal marito, dopo un fidanzamento “normale” sotto il profilo fisico, un ragguardevole risarcimento da “inadeguatezza sessuale” durante i successivi cinque anni di matrimonio). In realtà  tra gli obblighi che derivano dal matrimonio e dai quali dipendono diritti e doveri vicendevoli, non emerge nulla di specifico in tema di rapporti sessuali il secondo comma dellart. 143 c.c. che prevede come “…Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia, ed alla coabitazione”.
Il concetto di fedeltà è esteso non solo alla presenza di relazioni sessuali extraconiugali, ma anche ai casi c.d. di "infedeltà apparente", "relazione platonica", "tentativo di tradimento", quali comportamenti in grado di ledere la sensibilità e la dignità del coniuge.  
È da diverso tempo che le problematiche inerenti la sfera più intima della vita di coppia hanno fatto il loro ingresso in giurisprudenza. I giudici hanno affrontato molte volte la questione dei c.d. "matrimoni bianchi", affermando che se la "sedatio concupiscentiae" non è l'unico scopo del matrimonio, in capo ai coniugi sussiste un vero e proprio diritto-dovere per ciò che concerne i rapporti sessuali, equiparabile agli altri diritti e doveri discendenti dal contratto matrimoniale.

Il rifiuto della sessualità infatti, senza alcuna giustificazione, dà luogo all’offesa della dignità della persona, comportante con la reiterazione di tale rifiuto anche un pregiudizio sul piano personale e psicologico ed una lesione del diritto costituzionalmente garantito alla salute psichica. Rientra nella casistica anche il caso in cui il coniuge si rifiuti per ritorsione o punizione.
Una famosa sentenza della Cassazione, sotto tale profilo, condannava un uomo che per lunghi anni aveva rifiutato di intrattenere rapporti sessuali con la moglie, giustificando egli tale rifiuto quale punizione di un mancato adempimento economico e contrattuale da parte del fratello del coniuge nei suoi confronti.
In numerose occasioni, i giudici hanno considerato legittimo il rifiuto allorché la pretesa (in genere dell’uomo) sia eccessivamente continuativa o ripetitiva, senza alcun rispetto della sensibilità e delle esigenze dell’altro coniuge.

E’ interessante notare sotto questo profilo come, in più occasioni, la Corte di Cassazione abbia precisato che, seppure determinati tipi di rapporti o costumi sessuali particolarmente aperti, fino a giungere ad incontri con altri partner o a scambi di coppia e simili, non costituiscano alcun illecito, se vengono accettati o richiesti anche dall’altro coniuge. Dalle sentenze emergono le situazioni più disparate: dai rapporti sessuali in ascensore (Cassazione 10060/2001) alle galanterie di un idralulico che si vantava di intrattenere sessualmente entrambe le sorelle, al sesso di gruppo,  fino all’utilizzo di animali nei rapporti sessuali per finire con pratiche sadomaso di gruppo (Corte Europea 17/02/2005).
Queste decisioni sono unite da un unico filo conduttore che stabilisce  il diritto di ciascun individuo di esercitare le pratiche sessuali che ritiene nel modo più libero possibile nel rispetto dell’altra persona e fino a quando questa non si tiri indietro.
Quindi non si  censurava la particolarità dei “giochi sessuali” (ove venivano usate secondo la dizione della sentenza, fruste, aghi, pinze, cera bollente, scosse elettriche, et similia), ma l’imposizione del “gioco” quanto ad un certo punto era mancato il consenso del coniuge, pur se inizialmente consenziente.
Tutt’altro è il discorso se i rapporti fisici vengono imposti, oltrepassandosi facilmente i limiti del Codice Civile e finendo nelle previsioni del Codice Penale per maltrattamento o peggio configurandosi il reato di stupro. La Corte Suprema infatti, relativamente ai reati contro la libertà sessuale, ritiene che integri la violazione dell’art. 609 bis Codice Penale qualsiasi forma di costringimento psichico o fisico, idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l’esistenza di una rapporto di coppia coniugale o paraconiugale fra le parti
Ciò in quanto non esiste all’interno di tale rapporto un diritto all’amplesso, nè conseguentemente il potere di esigere una prestazione sessuale, né ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, ma li subisca, quando si provi che l’autore delle violenze e minacce poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la piena consapevolezza del rifiuto della stessa agli atti sessuali.
Alla fine di tutto, tenuta in considerazione la particolare intimità della questione, com’è possibile  dimostrare “l'astinenza” per colpa di un coniuge? Sussiste un unico strumento processuale: la confessione del coniuge che non ha intenzione di fare sesso!





martedì 19 settembre 2017

Data don't breach!



Interessante esperimento quello che negli USA ha portato a creare un database contenente informazioni relative ad un centinaio di consumatori inserendo dati inventati: nome, residenza, e-mail, telefono. Un’anagrafica fittizia ma studiata con attenzione affinché risultasse credibile anche ad un occhio più attento: nomi ricorrenti negli USA, indirizzi e-mail sensati rispetto al nome, numeri di telefono che corrispondono alla zona di residenza, e così via. Inoltre, i tecnici della FTC hanno inserito, per ciascuna stringa individuale, dati relativi ad uno tra tre tipici strumenti di pagamento elettronico: carta di credito, portafoglio bitcoin, ed un online payment service non meglio specificato (potrebbe trattarsi di Paypal o provider simile).Ci sono voluti solo 9 minuti prima che i malfattori che frequentano la rete provassero ad impiegare per fini illegali le identità altrui. In totale, sono stati effettuati 1.200 tentativi di utilizzo illecito dei dati. La Polizia Postale italiana dice che i furti d’identità spesso non vengono scoperti, o magari lo sono solo dopo 12-18 mesi. Perché spesso non ce ne accorgiamo nemmeno: entrano nel nostro pc, nel nostro profilo social e non lo vediamo. Una versione evoluta di ricerca credenziali è il vishing, in cui la mail ti chiede, per fregarti meglio, di chiamare un finto call center, che ti chiederà a voce quei dati. I criminali selezionano le vittime e ne osservano le abitudini, imparano chi sono e cosa fanno tramite tutte le informazioni che lasciano sui social network. Così, quando mandano la mail, sono più credibili. Come il trashing (sì, potrebbero frugare nella carta che butti al riciclo e trovare tutti i tuoi dati bancari su quell’estratto conto che hai soltanto appallottolato…). Il fenomeno del c.d. “identity theft”, ovvero del furto di identità in rete è per lo più riconducibile a due principali fattori: la errata custodia delle credenziali di autenticazione e la creazione di un account falso da parte di un terzo (c.d. "fake").
Il problema sta nel fatto che il social network, al momento della registrazione, non fornisce all'utente alcuno strumento in grado di potergli consentire una immediata capacità di individuazione dell'illecito, e quando ne viene a conoscenza, è spesso ormai troppo tardi.
 Pur non corrispondendo “materialmente” ad una sostituzione della persona, in mancanza di una fattispecie incriminatrice specifica, il furto di identità in rete viene ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità nell'ambito del reato di cui all'art. 494 c.p., relativo alla “sostituzione di persona Sul punto, la Cassazione si è pronunciata più volte ritenendo che la condotta di chi crea ed utilizzi account o caselle di posta elettronica servendosi dei dati anagrafici di un terzo soggetto, inconsapevole, è in grado di indurre in errore, non il fornitore del servizio, bensì l'intera platea di utenti, i quali, convinti di interloquire con un soggetto, si troveranno ad interagire, invece, con una persona diversa da quella che a loro viene fatta credere, integrando così la fattispecie di reato prevista dalla norma (Cass. Pen. n. 46674/2007). L'applicabilità dell'art. 494 c.p. ricorre altresì laddove viene creato un preciso profilo al quale è associata una reale immagine della persona offesa. A tal proposito, gli Ermellini hanno ritenuto integrata la figura di reato in esame nella condotta del soggetto che realizzi e si avvalga di un determinato profilo su un social network che riproduca la foto della vittima (persona offesa) ascrivendo alla stessa una descrizione degradante e, attraverso tale identità, utilizzi il sito comunicando con gli altri iscritti e condividendone i contenuti (Cass. Pen. n. 25774/2014).Giova osservare, da ultimo, che il legislatore, con d.l. n. 93/2014 (convertito dallal. n. 119/2014) ha introdotto, per la prima volta, nel codice penale, il concetto di “identità digitale”.  Infatti, l'art. 9 del citato decreto, rubricato  Frode informatica commessa con sostituzione di identità digitale” ha modificato l'art. 640-ter c.p., con l'inserimento di un terzo comma, ove il legislatore ha previsto la pena della reclusione da due e sei anni e la multa da 600,00 euro a 3.000,00 euro nel caso in cui il fatto sia commesso mediante furto o indebito utilizzo dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti; trattasi di un delitto per il quale è prevista la querela della persona offesa salvo che ricorra l'ipotesi di cui al 2° o 3° comma dell'art. 640-ter ovvero altra circostanza aggravante.
Emblematica in tal senso è stata la vicenda che aveva coinvolto una donna di Trieste che, subito dopo essere stata licenziata dalla sua datrice di lavoro, ha inteso vendicarsi inserendo le iniziali del nome ed il numero di telefono della stessa in una chat per incontri a sfondo sessuale, facendole così ricevere, anche in ore notturne, molteplici chiamate e messaggi provenienti da vari utenti della chat interessati ad incontri o a conversazioni di tipo erotico. Condannata per il reato di sostituzione di persona, l'autrice del "furto" giungeva fino in Cassazione, ma i Giudici del Palazzaccio rigettavano il ricorso in quanto "l'inserimento in una chat telematica di incontri personali, del numero di utenza cellulare di altra persona associato ad un nickname pure a costei riferibile, al fine di danneggiarla facendola apparire sessualmente disponibile, integra il reato di cui all'art. 494 c.p., nella modalità dell'attribuzione di un falso nome". Nelle motivazioni della sentenza in esame, il Giudice evidenzia una riflessione in merito alla natura dalla norma applicata. La tutela fornita dall'art. 494 del Codice Penale, infatti, dovendo intervenire in presenza di "inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi reali", potendo questi per la loro collocazione in Rete evidentemente oltrepassare la ristretta cerchia di uno specifico destinatario, non è rivolta in modo esclusivo alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome, ma ha ad oggetto in linea più ampia la pubblica fede. Ora lo sai.


martedì 7 febbraio 2017

Tutti cantano Sanremo



Stasera è iniziato Sanremo, come ogni anno a febbraio, va in onda il Festival della canzone italiana e tra note e melodie, sgargianti sorrisi ed aspettative, tutti noi ci sentiamo dotati di orecchio assoluto alla ricerca della canzone più bella ma anche tra autori famosi o sconosciuti alla ricerca dell’assonanza con canzoni già note o, magari, più fiduciosi convinti di riconoscere nuove soronità. Nonostante sia un periodo ricco di impegni e preparativi, i cantanti in gara guardano al futuro e svelano le date di uscita dei rispettivi lavori discografici. C’è chi sceglie i social per pubblicare l’immagine di copertina accompagnata dalla tracklist, chi aspetta il termine della kermesse per condividere ulteriori dettagli sul disco in uscita. Ognuno di questi prodotto dalle più famose etichette discografiche delle edizioni musicali, tra le altre, la SONY MUSIC ENTERTAINMENTITALY, la UNIVERSAL MUSIC ITALIA. 
Queste società sono legate agli artisti attraverso  il contratto di edizione musicale attraverso il quale l’autore cede tutti i diritti di utilizzazione della sua opera musicale, in particolare l’esecuzione, la rappresentazione, la riproduzione su dischi e nastri, la diffusione attraverso la radio e la televisione. Data la particolare natura dell’opera musicale, la stampa degli spartiti riveste un’importanza relativa, e l’interesse economico del contratto è rivolto invece alla acquisizione di tutti gli altri diritti di sfruttamento economico dell’opera. Essendo regolato da accordi, non espressamente disciplinati dalla legge sul diritto d’autore ma dai principi generali del diritto si può definire questo contratto come un contratto di cessione dei diritti di utilizzazione economica di opera musicale. Ne consegue che il contratto di edizione musicale è un contratto a carattere globale: comprende tutti i diritti di utilizzazione, oltre eventualmente anche il diritto di arrangiare il testo musicale e di adattare il testo letterario non solo traducendolo in altra lingua, ma modificandone anche il contenuto e il titolo.
Per quanto riguarda i
compensi sono in genere stabiliti nelle seguenti modalità:
a) per le somme derivanti dal diritto di pubblica esecuzione, generalmente 8/24simi al compositore della musica e 4/24simi all’autore del testo;
b) per il diritto di sfruttamento fonomeccanico, non meno del trenta per cento sulle somme totali per il compositore della musica e del quindici per cento all’autore del testo;
c) per il diritto di riproduzione a mezzo stampa, una percentuale variabile attorno al cinque per cento al compositore della musica e attorno al due virgola cinque per cento all’autore del testo letterario, da calcolarsi sul prezzo di copertina delle copie vendute. Forte è il legame tra case editrici e case discografiche ed a tal proposito è interessante ricordare la storia della Decca Records Ltd. 
Il nome Decca è derivato da un grammofono portatile chiamato "Decca Dulcephone"; il nome Decca fu coniato da Wilfred S. Samuel sostituendo l'iniziale della parola "Mecca" con l'iniziale del logo dell'azienda, "Dulcet", o con quello del grammofono "Dulcephone". Con la pubblicazione di numerose incisioni sia di musica classica che di musica leggera, in pochi anni la Decca Records Ltd. divenne la seconda casa discografica mondiale, autonominandosi "The Supreme Record Company".Il maggior successo di tutti i tempi della Decca americana è stato White Christmas, inciso da Bing Crosby una prima volta nel 1940, successivamente nel 1947. Nel 1946 la casa inglese cominciò ad utilizzare una nuova tecnica di registrazione sonora, denominata full frequency range recording e contraddistinta sulle etichette dei dischi dalla sigla ffrr. Fino alla fine del conflitto mondiale, questa tecnica era stata usata solo a scopi bellici in quanto in grado di riconoscere l'avvicinarsi dei sommergibili individuandone le vibrazioni del motore. È rimasto celebre il rifiuto di un funzionario della Decca di mettere sotto contratto nel 1962 gli allora sconosciuti Beatles. Tra i numerosi artisti che incisero per la Decca si ricordano The Rolling Stones, su consiglio dello stesso Harrison, Ten YearsAfter, Cat Stevens, i Them capitanati da Van Morrison, John Mayall, The SmallFaces, The Moody Blues, i Genesis e The Animals. A proposito dei Rolling Stones e del loro stralunato rapporto con il manager Allen Klein ci “diverte” raccontarvi la storia di “Bittersweet Symphony”. E' il  1997, quando i “The Verve” negoziano la licenza d’uso di un campione di cinque note, estratto da una cover orchestrale di uno dei successi minori dei Rolling Stones, “The Last Time”, concesso senza problemi dalla Decca Records. Il fatto che la cover somigliasse  alla sigla di FUTURAMA poi, non destò alcun allarme e anzi, forti della legittimazione da parte dell’ex-manager degli Stones e della Decca, i Verve, rinchiusi in studio, invece di quel pugno di secondi con cinque note ne usarono qualcuno in più. 
Il risultato fu “Bittersweet Symphony” che, una volta lanciata, divenne immediatamente un successo, e non passò molto tempo prima che il telefono di Ashcroft e soci suonasse.  Dall’altro capo del filo c’era un ex manager dei Rolling Stones, Allen Klein, che possedeva il copyright su tutte le canzoni pre–1970 della band, e citava in giudizio i “The Verve” per violazione dei diritti d’autore in quanto il loro pezzo era un evidente plagio della canzone dei Rolling Stones intitolato “The Last Time”.  I Verve provarono a opporsi sostenendo di detenere i diritti sulla cover campionata, ma il giudice riconobbe il plagio della canzone originale, attribuendone la paternità a “Jagger/Richard”.
Il gruppo provò a cercare un accordo con gli Stones i quali, prima accettarono il 50 % dei possibili proventi derivanti dal brano e, successivamente, quando si resero conto dell’inaspettato successo della canzone, pretesero il 100%, minacciando di far ritirare il singolo dai negozi.
 

Quando “Bittersweet Symphony” fu nominata per un Grammy nella categoria Best Songwriters, la candidatura andò a “Mick Jagger e Keith Richards.” Ashcroft cercò di scherzarci sopra dicendo che “Bittersweet Symphony” era «la miglior canzone che Jagger e Richards avevano mai scritto in vent’anni.» Ma la verità era che la vicenda gli causò un bell’esaurimento nervoso che alla fine lo portò a lasciare il gruppo.
T
uttora, quando Ashcroft la suona dal vivo, usa dedicarla a Jagger e Richards, sostenendo di essere felice di pagare i loro conti…in medicine.