Di sicuro Pilato non avrebbe potuto immaginare che quell'atto processuale,
celebrato in una sperduta provincia dell'Impero romano, avrebbe segnato
indelebilmente la storia dell'umanità. Nessuna azione giudiziaria intentata
contro una persona è conosciuta da un numero altrettanto grande di persone. I
più celebri casi giudiziari impallidiscono di fronte alle due sbrigative
sessioni processuali, durate meno di 24 ore e celebrate davanti al Sinedrio e
al procuratore romano, che mandarono alla pena capitale quel predicatore di nome
Gesù di Nazaret. Questi è arrestato nella notte tra il giovedì ed il venerdì
nel podere detto Getsemani ai piedi del monte degli Ulivi ed è trasferito sotto
scorta dinanzi all'ex sommo sacerdote Anna per un primo interrogatorio
informale in una seduta notturna del Sinedrio presso l’abitazione di Caifa, con
l’accusa di bestemmia. Secondo il trattato sul Sinedrio della Mishnah, la
grande collezione delle tradizioni rabbiniche, i processi capitali potevano
essere celebrati solo di giorno e nella sede ufficiale del Sinedrio, la
cosiddetta "aula della pietra squadrata" che si trovava presso il
tempio. Disattesa questa prescrizione, il sinedrio si riuniva l'indomani,
all'alba, per formalizzare con una seduta vera e propria, quell'abbozzo di
istruttoria, con un interrogatorio e con una sentenza.
Entriamo, ora, all'interno dell'aula sinedrale per seguire il dibattimento. Si
inizia con l'escussione dei testimoni, almeno due secondo la normativa biblica.
La loro deposizione riguarda le dichiarazioni poco rispettose di Gesù sul
tempio, il cuore della spiritualità giudaica: "Posso distruggere il tempio
di Dio e ricostruirlo in tre giorni". Sappiamo che in realtà Gesù in
quell'occasione aveva usato il tempio come simbolo del nuovo culto che egli
voleva inaugurare nel suo corpo glorioso. Gesù a queste accuse oppone uno
strano silenzio. Per indirizzare l'interrogatorio verso uno sbocco meno vago,
il sommo sacerdote formula una precisa domanda, a cui Gesù replica con una
risposta altrettanto precisa.
Eccola nella redazione di Marco: "Sei tu il
Cristo, il Figlio di Dio benedetto?". Gesù rispose: "Io lo sono! E
vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle
nubi del cielo!" (14, 61-62). Gesù agli occhi di Caifa non si arroga solo
il titolo di messia davidico, ma anche quella misteriosa qualità trascendente,
fondendoli insieme nella sua persona e facendo così scattare il presidente del
Sinedrio: "Ha bestemmiato!". Col gesto rituale dello
"stracciarsi le vesti" in segno di lutto e di profonda emozione davanti
a uno scandalo o a un'ignominia, Caifa sollecita l'approvazione della sentenza:
"Che ve ne pare?". E l'assemblea ratifica: "È reo di
morte!".
Si apre, così, il secondo atto di quel giorno, il più lungo della storia, che
contempla l’accusa di alto tradimento e lesa maestà. Gesù è trasferito al
"pretorio" del procuratore romano, poiché il Sinedrio non ha il
potere di dare la morte, essendo un consesso religioso. Il capo d'imputazione
avanzato dal Sinedrio è ora di tipo politico, per poter essere accolto dal
tribunale romano: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo,
impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re"
(Luca, 23, 2).
Pilato interroga l'imputato con distacco ottenendo risposte
reticenti ("Tu l'hai detto") o il silenzio. Comprendendo di essere di
fronte a un caso carico di sottintesi, di ambiguità e di sfumature, Pilato non
ratifica subito l'accusa giudaica, ma apre un supplemento di istruttoria.
Ricorre, poi, all'applicazione del "privilegio pasquale", per evitare
la condanna di un uomo che non gli era sembrato colpevole di alcun reato. Il
privilegio pasquale è un atto di clemenza in cui "Il governatore era
solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a
loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Pilato
disse loro: Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?"(Matteo, 27, 15-17). Il popolo sceglie Barabba,”Crucifige!!” urlava
rivolgendosi a Gesù. Solo allora Pilato proclamò la pena di morte per il crimen
laesae maiestatis che ,nelle province, di regola, era comminata con la croce.
Normalmente, la condanna alla crocifissione suonava: “Ibis in crucem!”. La
folla informe salva il potere dall’imbarazzo di una scelta scomoda. Molto
probabilmente è composta dalle stesse persone che pochi giorni prima avevano
intonato l'Osanna all'ingresso di Gesù a Gerusalemme…