giovedì 28 agosto 2014

L'avvocato




 
   Un mio parere sui "vantaggi e gli svantaggi morali ed economici della professione di avvocato" - un parere che non comparirà mai sul mastro o sulla parcella concretato in cifre - mi chiede don Coiazzi: dovrei a un tempo essere difesa e pubblico ministero della mia troppo calunniata professione.
   Leggendo il biglietto-comando ho sentito che il manzoniano don Coiazzi, mentre mi scriveva, doveva aver dinanzi agli occhi il dottor Azzeccagarbugli in veste da camera, cioè coperto d'una toga ormai consunta, nell'atto d'accogliere Renzo "umanamente" in quel suo studio o stanzone, sulle pareti del quale eran distribuiti i ritratti dei dodici Cesari; cer o doveva mordicchiare il discorsetto del dottore "all'avvocato bisogna raccontare le cose chiare; a noi tocca poi a imbrogliarle... Se volete passarvela liscia, danari e sincerità"; prima danari, sincerità poi.
   Volevo, perciò, a tutta prima restituire l'invito tentatore ma poi ho pensato che la restituzione non sarebbe stata così meritoria come l'ordine di restituire a Renzo i quattro polli, ordine che quella serva non aveva mai, in tutto il tempo era stata in quella casa, avuto occassione d'eseguire, tanto era straordinario: e dissi di sì. Quanto più facile dir sì che l'attuarlo! Occorre che io annodi ricordi, che affondi gli occhi entro me stesso e scruti e vagli i fatti, le ragioni, i sentimenti, e cacci nei segreti silenzi quel che mi dà rossore...
   Mi sono fatto avvocato liberamente: non pressioni e convenienze familiari: i miei santi genitori erano dei contadini, e perciò contro o sopra di me non tradizioni non interessi o contrasti di posizioni professionali preesistenti. Scelsi la facoltà di giurisprudenza perché mi piacevan gli studi di diritto; perché mi piaceva parlare in pubblico, affrontando contradditori, lottando contro ogni sopruso, contro ogni ingiustizia, contro ogni violenza - perché mi pareva che nell'esercizio dell'avvocatura potessi di più affermare le idee di democratico cristiano, dar sfogo alla mia passione politica, allo spirito popolare insito nella mia natura, per grazia di Dio, un po' sanamente contadina.
   Andai alla mia professione per sentimento, non per calcolo; l'esercito con sentimento e forse con eccessivo disinteresse; dico "forse eccessivo disinteresse", perché, povero, devo pur provvedere alla mia famiglia, alle mie bambine, a mia moglie che fortunatamente scelsi non ricca, ma veramente buona.
   Perché scelta senza criterio di calcolo, la professione mi è ricca di soddisfazioni e di dolori grandissimi: ad esempio mentre le mie qualità naturali mi porterebbero maggiormente a fare il penalista, devo attendere il meno possibile alla difesa penale, poiché soffro, sino a risentirne danno fisico, se il mio difeso, della cui onestà e innocenza io abbia la certezza, non riesce assolto.
   Consigliare, assistere, disingannare, sconsigliare, correggere maniaci litigiosi, fare ogni sforzo per ridare consistenza morale a famiglie sconquassate, compatire colpe, facendo sì che la vergogna segreta non diventi scandalo e scherno al pubblico in genere, sentire che attraverso il nostro ministero altri trovano calma, conforto, equilibrio, tutela, è gioia da non potersi dire, attenuata solo dalla dolorosa necessità di richiederne la mercede tangibile, il prezzo in moneta sonante.
   Troppe volte, però, dopo meditazioni, ricerche, scrupolosi studi, se la causa è vinta e il parere risulta buono, si sente mortificare la nostra intima soddisfazione con un "eh, vorrei vedere se avesse perso questa causa!"; per contro, se nella dubbia e difficile controversia si ottiene sentenza sfavorevole studi pazienti, diligenze accurate, dottrina ecc. nulla contano per il cliente, che, feroce, esce in un "non mi doveva perdere questa causa": per la clientela ogni vittoria è quasi sempre merito della causa; ogni sconfitta, sempre colpa dell'avvocato.
   La storia dolorosa è comune a tutte le professioni, perciò con il tempo ci si fa un po' il callo. Quel che più rattrista è l'allontanamento di clienti offesi dal consiglio amico, dalla verità schietta, perché contraria ai loro pregiudizi, perché non pieghevole a mezzi da essi ritenuti, forse in buona fede, leciti e onesti: per tale rifiuto, che è dovere, il cliente si muta in detrattore.
   E quante volte, soprattutto nei piccoli centri, l'interesse professionale viene a cozzare gravemente contro il dovere della fermezza nelle proprie idealità politiche! Troppo spesso i clienti pretendono che il loro avvocato sia anche il loro compagno di fede; ne seguono, quindi, vendette, talvolta ricatti per vincere i quali occorre forte energia, e nel superamento dei quali si lascian brandelli di anima. Ai clienti tutto dare, eccettuata la coscienza.
   In troppi casi l'avvocato può essere la rovina o la fortuna morale ed economica delle famiglie, perciò più d'ogni altro professionista deve avere in sé un criterio infallibile di moralità assoluta, dei limiti del bene e del lecito, dev'essere profondamente cristiano. Ogni giorno ha modo, nell'esercizio della sua missione di consigliere, di mostrarsi con se stesso e con gli altri cristiano: se in sé porta questa luce di fede, in se stesso avrà la sorgente di profonde gioie professionali; guai se tali soddisfazioni s'illude di trovare nel favore popolare, nella fama tra i clienti, cui bisogna con umiltà e dignità servire senza tramutarsi in servi!
   E dovrei ancora dire due parole sui vantaggi economici della professione: temo che la Rivista, per essere molto diffusa cada sott'occhio al fisco, che ne trarrà deduzioni fastidiose. La prudenza non è mai troppa...
   Ma che utilità porterebbe il discorrere di "vantaggi economici" dell'avvocatura? Come in ogni altra professione il vantaggio economico è la risultante di questi tre fattori:
   I° sapere; II° saper fare; III° far sapere. I lettori illuminino queste tre condizioni con un triplice ordine di fattori morali:
 - amare nei clienti il prossimo;
- proprio con i clienti, soprattutto e innanzi tutto con essi, agire con severa e schietta giustizia;
- non disgiungere la mercede del cliente dal premio divino.
 
   E avranno le condizioni della perfetta riuscita economica e cristiana dell'avvocato, di quel professionista che mai dovrebbe nella sua opera meritare le acerbe parole di Renzo ad Agnese, sempre a proposito dell'avvocato Azzeccagarbugli: "Bel parere che mi avete dato! M'avete mandato da un buon galantuomo! da uno che aiuta veramente i poverelli!"
   Che se poi, come gli scolari elementari al loro componimento, anch'io dovessi, per accontentare il moralista cattolico e manzoniano don Coiazzi, trovare una morale a questa mia confessione schietta di amico ad amici, ripeterò con il Manzoni, a coloro che temono sempre di non avere intrapresa la professione adatta, trovata la loro via, e soffrono di tristi dubbi: "La religione cristiana insegna a continuare con sapienza ciò che è stato intrapreso per leggerezza; piegare l'animo ad abbracciare con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione. E una strada così fatta, che, da qualunque labirinto, da qualunque precipizio, l'uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivare lietamente a un lieto fine".
 
Torino, 24 settembre 1924. 
 
Avv. Felice Masera

                                                                                                                   


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