domenica 15 febbraio 2015

La parola è mobile, qual piuma al vento



Come sosteneva Goethe: “Nessuna parola è immobile, ma con l'uso slitta dal suo significato iniziale piuttosto verso il basso che verso l'alto, piuttosto verso il peggio che verso il meglio, e piuttosto che allargarsi si restringe; e dalla variabilità della parola si può riconoscere la variabilità dei concetti.”  
Ne sa amaramente qualcosa  lo scrittore Erri De Luca che si è visto imputato per alcune affermazioni contenute in una intervista rilasciata dallo stesso ad Huffington Post.  
A proposito «La Tav va sabotata»,  è la frase per cui è accusato!
Il processo scaturisce dalla denuncia presentata nei di lui confronti da una impresa costruttrice, e che la Procura di Torino, con l'avvalo del G.U.P., ha ritenuto di qualificare ai sensi dell’art. 414 del Codice Penale che punisce con pena da 1 a 5 anni “chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più delitti”.
Aldilà della evidente eclatanza della iniziativa, non si riscontrano in epoca recente analoghi casi di scrittori mandati “alla sbarra” come istigatori per avere espresso una opinione, qualsivoglia essa sia.
“Istigare”, se le parole hanno ancora un senso, significa qualcosa di più di “convincere” qualcuno a fare qualcosa (o di rafforzarne il proposito), necessita quanto meno di una condotta attiva volta a determinare in altri un comportamento delittuoso che altrimenti non verrebbe, senza la predetta istigazione, posto in essere.
Occorrono dunque due requisiti che la locale Procura non pare abbia ritenuto di ricercare ossia: 1) la effettiva capacità di influenzare in modo significativo le altrui condotte e 2) una precedente assenza di autodeterminazione in capo al soggetto istigato.
Sul punto si osserva che per prima cosa lo scrittore non può essere equiparato al leader di un Partito o di un Movimento politico in grado, per il suo ruolo, di incitare gli iscritti ad agire secondo la linea politica loro indicata, ed è appena il caso di ricordare che mai in precedenza noti e reiterati incitamenti a varie forme di disobbedienza fiscale o di diversa natura da parte di alcuni leader politici risultano essere stati “attenzionati” dalle numerose Procure italiche.
E’ ben vero che al successivo comma la norma in oggetto punisce anche una ulteriore e diversa condotta, ossia quella di chi non fa pubblica istigazione, bensì “apologia di uno o più delitti” ma in tal caso, ed in questo ben cogliendosi la sua evidente diversità dalla ipotesi indicata al primo comma, è intervenuta molti anni fa la Corte Costituzionale stabilendo con la Sentenza n. 65 del 4 maggio 1970 che “l’apologia punibile ai sensi dell’art. 414 Cp è quella che per le sue modalità integra un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti trascendendo la pura e semplice manifestazione del pensiero”.
Ora, ritenere che uno scrittore che ricostruisce in una intervista il significato storico del termine “sabotaggio” possa rischiare fino a 5 anni di carcere suona alquanto stridente con le velleità democratiche di un paese che rivendica in ogni dove, ed anche di recente, orgogliose “superiorità occidentali ” in materia di libero dissenso o di satira.
Del resto, la stravaganza della imputazione risiede anche, e come si diceva ad inizio, nella sua “unicità”.
Infatti, a nessuno è mai passato per la testa di incriminare Oriana Fallaci per quegli ultimi scritti dove sostanzialmente incitava gli occidentali a prendere a schiaffi il primo musulmano incontrato per strada.
Nella sua, pertanto, inconsistenza giuridica, infatti è stato assolto perchè il fatto non sussiste,  la incriminazione di uno scrittore per la sua voce ostinata e contraria assume all’esterno più il significato di una azione repressiva e quasi intimidatoria, che “giusta” nel senso di ius (secondo diritto).

domenica 25 gennaio 2015

La giustizia sportiva sprofonda nel ghiaccio



Innanzitutto si deve capire cosa si intenda per illecito sportivo, in generale rimane in ambito strettamente sportivo tutto ciò che è di rilievo esclusivo dell'ordinamento sportivo, non ravvisandosi diritti ed interessi meritevoli di tutela ulteriore da parte dell'ordinamento giuridico. Va da sè che se la commissione dell'illecito riguarda solo violazioni regolamentari dell'attività sportiva, l'ordinamento giuridico civile e penale ne rimane totalmente indifferente. Può sembrare strano ma la storia di Carolina Kostner può servire per far capire la sostanziale differenza. Carolina, secondo l’ufficio della procura, ha mentito a un ispettore antidoping: “Alex Schwazer, il mio fidanzato, non è qui a Oberstdorf ma a Racines”; invece era proprio lì. La giustizia sportiva se l’è presa con lei: ha mentito all’ispettore (favoreggiamento 2.8) e ha omesso di denunciare 3.3. che si dopava. Viene tratta, pertanto davanti al Tribunale Nazionale Antidoping (TNA) per aver violato la disposizione di cui al punto 2.8 (Somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta durante le competizioni, di un qualsiasi metodo proibito o sostanza vietata,oppure somministrazione o tentata somministrazione ad un Atleta,fuori competizione, di un metodo proibito o di una sostanza vietata che siano proibiti fuori competizione o altrimenti fornire assistenza,incoraggiamento e aiuto, istigare, dissimulare o assicurare ogni altro tipo di complicità in riferimento a una qualsiasi violazione o tentataviolazione delle NSA.) e 3.3. (Per la violazione dell’articolo 2.4 (Mancata presentazione di informazioni utili sulla reperibilità e/o mancata esecuzione di controlli), il periodo di squalifica determinato sulla base del grado di colpevolezza dell’Atleta, va da un minimo di anni uno ad un massimo di anni due). Questo comportamento, nell’ambito dell’ordinamento giuridico penale è talvolta scriminato. Cominciamo da qui. Il codice penale obbliga alla denuncia di un reato solo i pubblici ufficiali; i privati cittadini devono denunciare (nel caso ne abbiano conoscenza) solo i reati contro la personalità dello Stato, i sequestri di persona e la detenzione di armi e di esplosivi; non, per esempio , chi fa uso di droghe e nemmeno chi le spaccia. Se, per analogia, parifichiamo l’uso di sostanze stupefacenti al doping, proprio non si capisce perché la povera Carolina, che potrebbe benissimo tacere se l’universo mondo intorno a lei facesse uso di droga, avrebbe dovuto denunciare il suo fidanzato che si dopava.
Non si intende, ovviamente, con queste affermazioni sottovalutare quanto sia necessaria una maggior severità della giustizia sportiva per scongiurare il doping ma allo stesso tempo non può trascurarsi il fatto storico che i due atleti (Kostner e Schwazer)fossero al momento del fatto conviventi ossia una coppia di fatto.
Appare evidente a questo punto la discriminazione della giustizia sportiva e di quella penale nei confronti delle coppie di fatto rispetto alle coppie di diritto (coniugi).
L’art. 199 del codice di procedura prevede che i prossimi congiunti dell’imputato possano astenersi dal testimoniare; nonni, genitori, figli, coniuge, fratelli, affini, zii e nipoti dell’imputato possono dire: no, non voglio; e, se non li avvertono di questa facoltà e loro testimoniano, la deposizione è inutilizzabile. Anche il convivente more uxorio, insomma la coppia di fatto, gode di questa facoltà.
Però questa parificazione della coppia di fatto viene meno in materia di favoreggiamento, complicità in ambito sportivo, (art. 378 codice penale): l’art. 384 (non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare un proprio congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore) a loro non si applica. Insomma una moglie, un papà, una mamma, un figlio, anche uno zio o un nipote, se la polizia cerca il loro parente, possono ospitarlo senza essere perseguiti. Una fidanzata, se la persona amata le chiede “non dire che sono qui con te, ti prego”, lo deve tradire per legge.
Però c’è un però; il Tribunale ordinario penale, dopo aver sentito la pattinatrice ha archiviato la sua posizione decidendo, quindi, di non perseguirla.
La Seconda Sezione del Tribunale Nazionale Antidoping, invece, al termine dell’udienza dibattimentale, ha squalificato per 1 anno e 4 mesi Carolina Kostner assolvendola per l’omessa denuncia ma affermandone la responsabilità per la complicità (favoreggiamento).
E ancora una volta paga una donna, come accadde nel 1954 a Giulia Occhini, la Dama Bianca di Fausto Coppi, rinchiusa nel carcere di Alessandria per adulterio e abbandono del tetto coniugale (all’uomo no, a lui vengono sempre concesse le attenuanti che risalgono ad Adamo ed Eva, come se la vera e unica tentatrice fosse lei, con quella sua dannata mela!

sabato 10 gennaio 2015

Delete: quis contra nos?



Mario Costeja Gonzalez si era rivolto, all’equivalente del nostro Garante per la Privacy in Spagna, sostenendo di avere il diritto di fare rimuovere i link che comparivano nella pagina dei risultati di Google cercando il suo nome. Alcuni di questi link rimandavano a pagine di giornale in cui si dava conto della messa all’asta per motivi di necessità economica della sua casa 16 anni fa. Per Costeja Gonzalez il contenuto segnalato da Google violava la sua privacy e non era più rilevante come informazione sui suoi problemi economici, ora risolti. I dati personali sono diventati una risorsa strategica per molte società che sviluppano il proprio business sulla raccolta, aggregazione e analisi dei dati dei propri clienti, attuali e potenziali. Le informazioni in Rete su ciascuno di noi rappresentano ormai la valuta dell’attuale mercato digitale, “il petrolio” dell’economia digitale. Sulla permanenza in Rete di informazioni che ci riguardano si gioca il nostro spazio di libertà, tutela dell’identità digitale e autodeterminazione informatica. 
Il diritto all’oblio è una delle frontiere mobili della tutela dei diritti dell’individuo e si sta affermando progressivamente in Europa, pur tra molte incognite e difficoltà applicative. Lo scorso maggio la Corte di giustizia europea, è stata chiamata a decidere sulla questione cd. Google Spain  riconoscendo  il diritto a ottenere la deindicizzazione di alcuni risultati dai motori di ricerca. Va poi ricordato che la rimozione operata dai motori di ricerca non riguarda la notizia in sé, che continua a essere accessibile dal sito che la ospita, ma solo il collegamento generato utilizzando una determinata parola chiave. In questo modo, è preservata la possibilità per il pubblico di ottenere informazioni, senza esporre l'interessato alla riproposizione di notizie risalenti, talora destinata a tradursi in una gogna mediatica.
Il vero problema è che la Corte di giustizia ha omesso di indicare con limitate eccezioni legate all'informazione giornalistica su quali basi una richiesta di deindicizzazione possa essere accolta.
Nel nostro paese, recentemente, il Garante privacy ha adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. In sette dei nove casi definiti il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo che la posizione di Google fosse corretta in quanto è risultato prevalente l'aspetto dell'interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca, sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio .In due casi, invece, l'Autorità ha accolto la richiesta dei segnalanti. Nel primo, perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona.
Ed il diritto all’informazione del cittadino si trasforma nel diritto alla conoscenza della sola notizia aggiornata? Si pensi, per citarne alcuni, al caso di Emanuela Orlandi, al delitto di via Poma, a quello dell’Olgiata, al delitto Pasolini, a quelli del mostro di Firenze che tuttora, continuano a presentare dubbi e incertezze. Tutti casi la cui riproposizione soddisfa ancora oggi un’indubbia esigenza informativa. La riproposizione di casi irrisolti o comunque misteriosi presenta una duplice utilità sociale. In primo luogo, la collettività viene aggiornata sullo stato delle indagini. In secondo luogo, si rende operante un principio di natura squisitamente democratica: si permette la partecipazione ideale della collettività alla soluzione del caso, stimolando un dibattito che per forza di cose resta aperto. Al limite, di diritto all’oblio può legittimamente parlarsi per quei soggetti che all’epoca dei fatti furono posti all’attenzione del pubblico per dovere di completezza della notizia, pur avendo una posizione marginale. Ad esempio, se dopo il massacro del Circeo furono intervistati i vicini di casa, i parenti o gli amici di Angelo Izzo per raccogliere le loro impressioni, questi avrebbero potuto invocare il diritto all’oblio se nel riproporre l’evento in tv dopo trent’anni fossero state mostrate quelle interviste. Il vecchio senatore Flamigni,  che ha passato una vita a indagare sul caso Moro, si è già visto recapitare dall'avvocato di un brigatista pur condannato la richiesta di scomparire da quell'archivio perché sono passati trent'anni, la condanna è stata scontata, un'altra esistenza è in movimento. Anche Mario Chiesa, il «mariuolo» della Baggina (secondo la definizione di Craxi) dal cui arresto partì 22 anni fa l'inchiesta Mani pulite, si è visto riconoscere da un giudice il diritto all'oblio. Ma si possono immaginare archivi sul caso Moro senza i nomi dei brigatisti coinvolti? E la storia di Tangentopoli senza il resoconto del goffo tentativo di Chiesa di gettare nel water la tangente appena riscossa? Un'ansia attraversa le nostre vite: dimenticare, cancellare, rimuovere.

sabato 15 novembre 2014

Il Gioco d'azzardo patologico


Il gioco d'azzardo (il termine azzardo deriva dall'arabo az-zahr, che significa dado: infatti i più antichi giochi d'azzardo si facevano utilizzando dadi scommettendo sul numero che sarebbe uscito), consiste nello scommettere beni, per esempio denaro, sull'esito di un evento futuro. La letteratura ha prodotto giocatori d'ogni tipo, tutte le diverse incarnazioni del mito dell'alea. Dall'autoritratto di Dostoevskij nel suo Il giocatore al quasi meccanico ufficiale di Schnitzler di Gioco all'alba, passando attraverso Bukowsky, Dickens, Maupassant, Wodehouse. 

In Dickens, per esempio, il gioco assume le sembianze di una parabola psicologica nella figura del signor Micawber che non fa che rilanciare la posta: tutta la sua vita è il suo tavolo verde, con dietro le spalla signora Micawber ad incitarlo a rischi sempre più assurdi. Ma il giocatore per antonomasia è quello di Dostoevskij. Dietro la maschera dell'esiliato dalla grande madre Russia, il prototipo del vero "gap", il giocatore d'azzardo patologico, di cui lo scrittore offre la prima, dettagliata diagnosi letteraria e poetica. 

Secondo un approfondimento del 30.05.2014 condotto da Matteo Iori, a Reggio nell’Emilia, presidente dell’Associazione Onlus ‘Centro sociale Papa Giovanni XXIII’ e di Conagga, coordinamento nazionale gruppo giocatori d’azzardo, in Italia nel 2013 sono stati "persi" 17 miliardi di euro. Le statistiche mettono l’Italia al 4° posto nel mondo per spesa in gioco d’azzardo. Approfondendo il discorso e aggiungendo qualche criterio, però, si delinea una situazione ben diversa, addirittura peggiore, che fa salire l’Italia al 2° posto. Lo studio parte da un numero: 84,7. Sono i miliardi giocati nell’azzardo nel 2013 secondo il Libro blu dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Di questi, 67,6 sono ritornati ai giocatori sotto forma di vincite; 17 definitivamente persi, andati parte all’Erario, parte alla filiera del gioco d’azzardo. Concentrandoci solo sui soldi persi: secondo i risultati del più autorevole report internazionale sul fenomeno (quello di H2 Gambling Capital), sono solo 10, al mondo, i Paesi nei quali gli abitanti perdono oltre 10 miliardi di dollari all’anno. Davanti a tutti, Stati Uniti (119 miliardi), seguiti da Cina, Giappone e poi Italia, con quasi 24 miliardi di dollari (ovvero i 17 miliardi di euro citati prima). “Ho fatto un passo successivo: ho diviso queste cifre per il numero di abitanti dei vari Stati, neonati inclusi, per capire quale fosse la spesa pro-capite. Così facendo, l’Italia sale al 2° posto, con 400 dollari persi a testa all’anno nel gioco d’azzardo. Davanti solo gli australiani, con 795 dollari pro-capite” In Veneto, nei primi dieci mesi del 2014, sono stati spesi per videolottery e slot machine oltre 3,3 miliardi di euro, con una spesa pro-capite di 670 euro (nell’interno Paese il fatturato del gioco d’azzardo nel 2013 ha fatto segnare i 90miliardi di euro). Il gioco d’azzardo patologico, che in Italia coinvolge circa 800mila soggetti, fa segnare proprio nel Nord-Est il suo record di penetrazione, registrando il 38% dei giocatori a rischio di dipendenza (dati CONAGGA, Coordinamento nazionale gruppi per Giocatori d’Azzardo). Sono cifre e percentuali impressionanti, che indicano come la nostra regione sia l’osservato speciale numero Uno di questo comportamento patologico dei nostri tempi. Questi dati sono purtroppo seguiti una constatazione: nonostante sia a così forte rischio di “contagio”, il Veneto è ad oggi una delle poche regioni senza una legge regionale di riferimento e contrasto, nonostante sia stata la primissima ad aver registrato (già nella primavera del 2013) proposte legislative in merito. Sono ormai otto gli enti locali sul territorio italiano che hanno legiferato in materia di gioco d’azzardo e contrasto alla diffusione della patologia ad esso legata. La spinta a produrre delle leggi regionali in materia, che hanno finito per non limitarsi solo alla ludopatia, ma ad introdurre profonde differenze sul gioco in territori anche molto vicini. Il primo legislatore in ordine di tempo è stata la provincia autonoma di Bolzano, il cui provvedimento originario risale addirittura al 1992 e l’ultimo al 2010. Dopo sono venuti tutti gli altri interventi: nel 2012 la Liguria, mentre nel 2013 in ordine sono venute Emilia-Romagna, Lazio, Toscana, Lombardia, Abruzzo e ultima la Puglia che è in attesa di promulgare la propria legge a breve. Si parla dell’esistenza di una “riserva statale” per la volontà del legislatore centrale che fosse strettamente governato a livello centrale; in origine per preservarlo dalle infiltrazioni criminali, e ora più che mai per tutelare le fasce più deboli e la salute dei cittadini. Quello che accomuna le leggi citate è la volontà di disincentivare l'introduzione di nuovi apparecchi in risposta soprattutto ai sindaci che chiedono con sempre maggior forza, anche attraverso l’ANCI, voce in capitolo su orari e dislocazione dell’offerta di gioco, in particolar modo di Slot e VLT, sia all'interno degli esercizi commerciali esistenti, che rispetto all’apertura di nuove sale dedicate. Per questo quasi tutti si sono ispirati ad uno dei punti cardine stabiliti dal Decreto Balduzzi nel 2012 e cioè la distanza dai luoghi ritenuti sensibili perché frequentati dalle categorie tradizionalmente più deboli come minori e anziani. Questo ha posto gli apparecchi ad una distanza considerata di sicurezza di 300/500 metri da scuole, oratori, ospedali, chiese e altro. Non solo questo tema è stato traslato dal decreto citato: capitolo a parte merita la pubblicità per la sua capacità di indurre al gioco, e quindi alla patologia, ma rovescio della medaglia anche per la sua funzione “necessaria” di informare correttamente il giocatore sulle reali probabilità di vincita di ciascun gioco. Molti enti hanno previsto il divieto di pubblicizzare l’apertura di nuove sale, ma progressivamente anche di ogni altra attività correlata al gioco, seppur lecito. E sono pesanti le sanzioni decise, dove spicca la Regione Lazio con un massimo di 15 mila euro. Previsti anche sgravi su tasse comunali e regionali per chi decidesse di dismettere gli apparecchi e apporre un marchio no slot che è stato mutuato dalla protesta di area cattolica contro la penetrazione dell’offerta di gioco sul territorio. Ultima grande innovazione sono i corsi di formazione per i gestori e una massiccia pubblicizzazione dei rischi legati al gioco, alla stregua di quanto è avvenuto nel nostro Paese ad esempio con il tabacco. Tutta la legislazione quindi mette al primo posto la salute e la tutela del cittadino, anche con l’istituzione di Osservatori Regionali che si stanno attrezzando). Una delle conseguenze, però, di una legislazione a macchia di leopardo è senza dubbio il rischio di alterare il funzionamento del mercato del gioco lecito, favorendo inevitabilmente la ripresa del mercato illecito. 

Mentre si discute sulla moltiplicazione delle slot machine , sul dilagare del gioco d’azzardo e della ludopatia come malattia sociale succede una cosa paradossale. Il Comune di Isernia perde (provvisoriamente) la sua battaglia contro un locale di Eurobet collocato in via Erennio Ponzio, esattamente di fronte al Servizio per le tossicodipendenze e a pochi metri da due scuole medie. Dunque, Isernia diventa un simbolo. Con l’augurio che vinca la sua battaglia, nel solco di altre Regioni «virtuose» del Paese: come l’Emilia Romagna, che ha aperto servizi per le cure in tutte le città, e la Lombardia, che ha appena approvato un programma per prevenire e ridurre il rischio della dipendenza dal gioco.

giovedì 23 ottobre 2014

A casa di Molly


Il matrimonio fra persone dello stesso sesso, inteso come fenomeno sociale di massa, in Occidente è un fenomeno storicamente nuovo e recente, ed è stato reso possibile solo dal passaggio della concezione della famiglia intesa come organizzazione che ha per scopo la gestione di un patrimonio e di una prole a quella di un luogo di soddisfazione di affetti personali reciproci, di condivisione e di cura della prole. In Italia, nel 1897 il criminologo Abele De Blasio, tra i discepoli di Cesare Lombroso, dava alle stampe il suo Usi e costumi dei camorristi con un capitolo interamente dedicato a O spusarizio masculino (il matrimonio fra due uomini, ndr.):

« Il luogo del sacrifizio è quasi sempre qualche lurida locanda, dove in giorno ed in ora stabilita si fa trovare l’amante, qualche sonatore di organetto e chitarra ed una schiera di ricchioni, che fan corona alla timida... fanciulla [De Blasio usa il femminile con intento denigratorio ma sta parlando di un femminello, ndr.]. Dopo un balletto erotico, il più provetto della... materia augura alla felice coppia la buona notte; ma la sposina [si legga "lo sposo", ndr.], prima di lasciar partire gl'invitati, distribuisce loro i tradizionali tarallucci e vino. Il giorno dopo, 'o ricchione anziano, accompagnato da un caffettiere ambulante, porta agli sposi due piccole di latte e caffè e poi fa nel talamo un'accurata rivista per accertarsi se il sacrifizio fu compiuto in tutta regola »
Nel 1902 un fatto di cronaca nera, con la scoperta del cadavere “orrendamente mutilato” a Pianezze di Marostica nel vicentino, porta alla luce un “auto-matrimonio” tra due donne. Il cadavere apparteneva al marito di Angeli Celli, la donna, che si era sposata simbolicamente in chiesa con l'amante Libera Battaglin aveva narcotizzarono e ucciso l’uomo.
Da esattissime informazioni assunte ci risulta che queste due donne - le quali nell'assenza durata sei mesi del marito della Celli si erano date alle più raffinatamente perverse azioni sessuali - si amavano d’un amore così tenace e terribile da oscurare per esse qualunque altro affetto, tanto che la Marinella era giunta a dire questo: Io voglio così bene ad Angela, che per essa rinnegherei tutti, padre, madre, sorelle… la religione stessa!.
Il 12 aprile 1904 la polizia suonò alla porta d'un bordello clandestino nel rione Vasto a Napoli, gestito da un individuo soprannominato "la Signora", che aveva al proprio servizio "una schiera di ruffiani deputati a girare per i caffè e per le vicinanze degli alberghi ed accaparrare l'elemento attivo". All'interno del bordello furono trovati: « alcuni giovanotti vestiti da donna, che si scambiavano carezze coi loro amanti ed avventori. (...) Busti di sera e scarpini ricamati in oro stavano accantonati sopra una sedia a sdraio. Ciascun piano di toletta era ricco di ninnoli contenenti profumi, polvere di cipria, rossetto e lapis pel trucco degli occhi. In un armadio stavano attaccati abiti maschili di gran lusso, destinati alle feste per simulare la celebrazione del matrimonio. Questo avveniva nella prima congiunzione carnale cui si assoggettava qualche ragazzo, ed in quest'occasione la... pudibonda fanciulla non mancava di coprirsi con un lungo velo e di adornarsi di gioie e di fiori d'arancio. Fra la profusione di dolci e liquori non veniva dimenticato il sacchetto coi rituali confetti di nozze. » Quanto al movimento gay italiano, fin dalla sua nascita non aveva dubbi: il matrimonio era un'istituzione borghese e soffocante, da abbattere per tutti e non certo da allargare. Un "matrimonio gay" sarebbe stato semplicemente uno "scimmiottamento" d'uno stile di vita che ormai stava stretto agli stessi eterosessuali, come dimostravano le battaglie per l'introduzione del divorzio anche in Italia. Le notizie di richieste di accesso al matrimonio venivano perciò considerate, con divertimento, come manifestazioni folcloristiche di frange marginali ed ultraconservatrici, attardate in un passato ormai superato (cosa che in parte effettivamente erano). Il film Il vizietto sembrò a lungo il "manifesto programmatico" di questo tipo di coppie.

Effettivamente, prima della riforma del Diritto di Famiglia nel 1975 e della laicizzazione del matrimonio, in Italia il matrimonio fu davvero questo, sancendo l'ineguaglianza dei coniugi e la preminenza del marito sulla moglie. Ci sarebbero quindi voluti due decenni di cambiamenti prima che il matrimonio, ormai trasformato, diventasse "interessante" anche per le coppie dello stesso sesso. Ma già a partire dagli anni Settanta la pratica del matrimonio simbolico tra omosessuali sarebbe diventata più comune, dapprima in limitate frange conservatrici e fortemente marcate dalla visione religiosa della vita, che soffrivano di fronte all'esclusione dall'unione religiosa, ma col tempo e sempre di più anche al di fuori di questo àmbito, fino a diventare un fenomeno di costume. Tra i primi atti pubblici di questo tipo è annoverato quello del 2 settembre 1976 a Roma, nella sede d'un piccolo gruppo di militanti, l'Mpo (Movimento politico degli omosessuali, poi Ompo's) con Massimo Consoli che celebrò una sorta di "matrimonio laico" per alcune coppie di persone dello stesso sesso. Nel 1975 due cronisti del settimanale "Il Borghese" avevano chiesto un rito cattolico di benedizione matrimoniale a don Marco Bisceglia, prete del dissenso (che di lì a pochi anni avrebbe fondato Arcigay). Il loro scopo era comprometterlo, e infatti dopo la pubblicazione del loro articolo venne sospeso a divinis. Ma quante altre coppie all’epoca avranno contratto un matrimonio grazie al sacerdote consenziente? A queste cerimonie puramente simboliche si contrappose nei primi anni Ottanta l'azione di Doriano Galli, che sia pure in un contesto ancora immaturo tentò una prima, rudimentale "via giudiziaria".Nella sua battaglia per registrare l'unione con il suo compagno, Galli tentò la strada di sostenere che nessuna legge stabiliva per iscritto che per il matrimonio fosse necessaria la differenza di sesso tra i coniugi. Il dato risultò vero, ma il tribunale gli diede torto egualmente facendo riferimento alle "intenzioni del legislatore", rese esplicite dal fatto che nelle leggi si parla di "prole". Ad ogni modo, Galli riuscì ad ottenere il 30 dicembre 1981 il primo stato di famiglia tra due uomini conviventi more uxorio, in base alla legge 182, art. 8, del 23 marzo 1956, con i conseguenti diritti legali. Venne aiutato in ciò dall'avvocatessa Simonetta Massaroni, dall'On. Adele Faccio (Radicale) e dall'allora sindaco di Roma, Ugo Vetere. Doriano Galli avrebbe proceduta a una seconda registrazione con un nuovo partner il 21 gennaio 1988, ma a un terzo tentativo, compiuto il 30 giugno 2005, la cancelliera del tribunale rifiutò di registrare l'atto notorio, forse perché preavvisata il giorno prima da un articolo di quotidiano che annunciava il gesto. Galli ha poi sporto denuncia per omissione d'atto d'ufficio e abuso d'autorità. Interessante rilevare come Galli, il giorno prima che gli venisse rifiutata la registrazione, avesse criticato il movimento gay italiano e soprattutto Arcigay per la sua insistenza sull'ottenimento dei Pacs, quando in Italia la legge esisteva già, bastava solo richiederne l'applicazione. Evidentemente, le cose non erano tanto semplici quanto da lui prospettato. Nel 1980 Pina Bonanno, nel corso della battaglia per diritto a cambiare sesso anagrafico condotta dal Mit, chiese le pubblicazioni per il matrimonio con un'altra donna, sostenendo a ragione che per l'anagrafe risultava Giuseppe Bonanno, di sesso maschile. Si trattava però di un'azione tesa a dimostrare le assurdità create dall'assenza di una legge per la riattribuzione anagrafica, e non di una vera richiesta di matrimonio: in effetti la Bonanno una volta ottenuto quanto richiesto si sarebbe sposata sì, ma con un uomo, e in chiesa. Nel 1983 attirò la curiosità dei cronisti un finto matrimonio, che aveva intenti dissacratori, tra femminelle napoletane. Nel 1986 una lettrice del mensile gay "Babilonia" andò con la compagna a Parigi, dove il pastore protestante Pierre Doucé celebrava "benedizioni dell'amicizia". Ancora nell'estate del 1988, a Riccione, fu celebrato un matrimonio gay con tanto di pranzo di nozze; la manifestazione aveva lo scopo di stimolare l'approvazione di una proposta di legge riguardante i diritti delle coppie di fatto, che veniva discussa proprio in quel periodo in Parlamento. Di più forte impatto politico fu l'iniziativa del Centro d'Iniziativa Gay e di Paolo Hutter, consigliere comunale gay a Milano, per l'allora PDS, che unì il 27 giugno 1992 dieci coppie gay e lesbiche in piazza della Scala: Si noti però che all'epoca l'obiettivo non era ancora la richiesta di vero e proprio matrimonio, ma "solo" di una qualche forma di riconoscimento delle "unioni civili" in Italia (inutile aggiungere che da allora non è stato concesso né l'uno né le altre). Negli ultimi tempi, ai tentativi simbolici di unire coppie gay, si aggiunge la richiesta di celebrazione di rito matrimoniale religioso celebrato da sacerdoti consenzienti. Don Franco Barbero, ad esempio, celebra riti di questo tipo per coppie di gay e lesbiche. Questo rito ha ovviamente un valore esclusivamente morale e simbolico per le persone che lo celebrano, non essendo riconosciuto né dalla Chiesa cattolica né dallo Stato italiano. Con il XXI secolo inizia in Italia la battaglia per il riconoscimento delle unioni celebrate all'estero, tra le quali figurano anche unioni matrimoniali, dato che numerosi Paesi stranieri si sono dotati di questo istituto mentre l'Italia no. Il 28 giugno del 1993 in piazza Pretoria a Palermo Massimo Milani e Gino Campanella si uniscono simbolicamente in matrimonio. Il 21 marzo 1994 Ettore Brondolo e Filippo Meda Bernareggi si presentano con parenti e amici all'Ufficio dello stato civile di Nepi (Viterbo) chiedendo di potersi sposare. Secondo la cronaca, già nel 1998 si sposarono Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti, rendendo pubblica la loro unione.Fino alla presentazione nel 2002 della proposta di legge 2982 di Franco Grillini ed altri, che è volta a regolare le "unione affettive" ma avanza anche la richiesta d'estensione del matrimonio civile alle coppie gay, il matrimonio fra persone dello stesso non entra nell'agenda. Le cose cambiarono radicalmente con l'approvazione del matrimonio gay in Spagna, il 30 giugno 2005, che dimostrò che è perfettamente possibile che un Paese cattolico approvi leggi di questo tipo, con la conseguenza che la richiesta dei Pacs fu subito tradotta nella contro-offerta dei Dico, che ne erano un annacquamento, poi ulteriormente ridotta a quella dei Didore (priva di conseguenze concrete), per arrivare infine alla proposta di riconoscimento di non meglio specificati "diritti individuali dei partner della coppia", concludendo con il nulla di fatto. Allo stato attuale, due persone aventi lo stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio in 19 nazioni: Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Portogallo, Islanda, Danimarca, Francia, Regno Unito (le coppie dello stesso sesso possono contrarre matrimonio in gran parte del Paese), Lussemburgo (a inizio 2015 le celebrazioni dei primi matrimoni tra persone dello stesso sesso nello Stato), Canada, Stati Uniti (le coppie dello stesso sesso possono contrarre matrimonio nella capitale e in 32 Stati della federazione), Messico (le coppie dello stesso sesso possono contrarre matrimonio nella capitale e in 2 Stati della federazione), Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica e Nuova Zelanda. Inoltre in Israele, in Aruba, in Curaçao e in Sint Maarten, pur non essendo consentito alle persone aventi lo stesso sesso di accedere all'istituto del matrimonio, vengono registrati i matrimoni fra persone dello stesso sesso celebrati altrove. In vari Paesi si può accedere a ufficializzazioni diverse dalle nozze; le persone omosessuali, aventi o meno la possibilità di contrarre matrimonio, hanno spesso accesso a questa tipologia di unioni civili. Il 3 aprile 2009 il Tribunale di Venezia ha emesso, su ricorso di una coppia omosessuale, un'ordinanza di remissione alla Corte costituzionale con cui si chiede alla Corte di valutare se l'interpretazione corrente e sistematica del codice civile che esclude le coppie omosessuali sia costituzionale. Il Codice civile italiano, pur non prevedendo nulla a proposito della diversità di sesso degli sposi, in alcuni articoli contiene le parole "moglie" e "marito"; ed è su questa previsione, secondo la corte di Venezia, che si fonda l'impossibilità di celebrare un matrimonio omosessuale. A questa prima ordinanza, che lamenta la violazione degli articoli 2, 3, 29 e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana oltre che della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, se n'è aggiunta una seconda, emessa dalla corte d'appello di Trento nell'agosto 2009. Analoghe ordinanze sono state in seguito emesse dalla Corte d'Appello di Firenze e dal Tribunale civile di Ferrara. Il 14 aprile, con la sentenza n. 138/2010, la Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi del Tribunale di Venezia e della Corte d'appello di Trento come inammissibili (in riferimento agli artt. 2 e 117 della Costituzione), poiché la questione non rientra nelle competenze della Corte, e infondati (con riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione), "in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio". Successivamente, con l'ordinanza n. 276/2010 del 7 luglio 2010 e l'ordinanza n. 4/2011 del 16 dicembre 2010, sono stati respinti con motivazioni analoghe anche i ricorsi della Corte d'appello di Firenze e del Tribunale di Ferrara. L'11 giugno 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme dell'ordinamento italiano che disciplinano l'automatico scioglimento del matrimonio in seguito al cambiamento di sesso di uno dei coniugi laddove non consentono ai coniugi stessi, dopo lo scioglimento del matrimonio, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore. Il 15 marzo 2012, la Corte ha emesso una sentenza da più parti definita storica in cui, pur esprimendosi negativamente sulla richiesta da parte di una coppia dello stesso sesso italiana sposatasi all'estero di vedere riconosciuto il proprio matrimonio in Italia, ha dichiarato che nell'ordinamento giuridico italiano la diversità di sesso dei nubendi non è presupposto indispensabile, naturalistico, del matrimonio. Oggi la battaglia si apre tra il Ministero dell’Interno ed il sindaco di Roma, ciò che rileva giuridicamente è che le trascrizioni presso i registri comunali della capitale non hanno alcuna validità giuridica ma solo simbolica ed opinionista. All’abrogazione del DOMA, il Presidente degli Stati Uniti, Obama, ha affermato: “quando tutti gli statunitensi sono trattati equamente, a prescindere dalla persona che amano o che li ama, siamo tutti più liberi”.