domenica 6 novembre 2016

Con il referendum costituzionale, andiamo a comandare!!




Quello che si svolgerà il 4 dicembre è il terzo dei referendum costituzionali indetti in Italia dopo il 2001. Il peso che il premier attribuisce a questo appuntamento personalizzando troppo la domanda referendaria promettendo di dimettersi all’esito negativo,  lo ha reso una sorta di plebiscito su di lui. Tralasciando le questioni politiche sulla scelta di votare sì o no, sembra interessante analizzare come funziona questo tipo di referendum. Innanzitutto la scheda avrà il seguente testo: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente "disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?"
Il referendum costituzionale, detto anche confermativo o sospensivo è previsto dall'articolo 138 della Costituzione. Riguarda leggi direvisione della Costituzione (come il ddl Boschi oggetto di questo referendum) e le altre leggi costituzionali. Può essere richiesto da "un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali" entro tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 15 aprile, presentando distinte istanze presso la cancelleria della Corte suprema di cassazione già a partire dal 20 aprile 2016. 
Per questo tipo di referendum non è previsto quorum: indipendentemente dal numero dei partecipanti, vince l'opzione (“sì” o “no”) che abbia ricevuto la maggioranza dei voti.  Si è arrivati al referendum perchè nei casi di leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali ogni Camera deve votare due volte a distanza di almeno tre mesi e se nella seconda votazione nei due rami del Parlamento  la legge viene approvata dalla maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera, il referendum non avrà luogo. Nel caso del ddl Boschi le maggioranze di approvazione sono state inferiori ai due terzi. Per questo il referendum si farà.  Se il referendum costituzionale darà il via libera all'entrata in vigore del ddl Boschi, una delle novità riguarderà proprio l'altra forma di referendum costituzionale, quello abrogativo, per il quale invece è previsto il quorum. Il voto sarà sempre valido se partecipa il 50% degli aventi diritto ma se il referendum era stato richiesto da almeno 800mila elettori, il quorum scende al 50% dei votanti delle ultime elezioni. 
Come si diceva all'inizio dell'articolo il primo referendum costituzionale si svolse il 7ottobre del 2001. Gli italiani erano chiamati a confermare o meno la legge costituzionale approvata dal vecchio Parlamento (maggioranza di centro-sinistra, governo D'Alema) l'8 marzo del 2001 che modificava gli articoli 114-133 della Costituzione. I voti favorevoli furono il 64,20% del totale e la legge fu approvata. Benché il termine “federalismo” non appariva mai nel testo della legge sottoposta a referendum, di questo si trattava: dare più poteri e risorse alle regioni in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato. Il secondo referendum costituzionale della storia della Repubblica Italiana si è svolto il 25 e 26 giugno 2006. La maggioranza dei votanti ha respinto il progetto di riforma costituzionale varato su iniziativa del centro-destra e che riguardava una serie di cambiamenti nell'assetto istituzionale nazionale della seconda parte della Costituzione. 
Oggi, la riforma prevede, in sintesi, la fine del bicameralismo perfetto, l'elettività dei senatori, l'eliminazione della figura del senatore a vita, nuove regole per l'elezione del capo dello Stato, un nuovo processo di approvazione delle leggi, le competenze di Stato e regioni, l'abrogazione delle province e del Cnel e alcune novità in materia di referendum. 
Nello specifico gli italiani dovranno dire sì o no alle seguenti principali modifiche: diminuzione, da 315 a 100 del numero dei senatori (che saranno eletti durante le elezioni regionali tra i candidati consiglieri), fiducia al governo solo da parte della Camera, fine della possibilità da parte del Senato di presentare emendamenti alle leggi che non sono di sua diretta competenza con il risultato che l'iter che porta all'approvazione o alla bocciatura sarà molto più rapido. Il referendum riguarderà inoltre la modifica del Titolo V della Costituzione, con la rivisitazione di 17 articoli, che prevede che sia lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva, l'aumento dei poteri della Corte Costituzionale, che potrà intervenire, sempre su richiesta, con un giudizio preventivo sulle leggi che regolano elezioni di Camera e Senato, l'abrogazione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e l'abbassamento del quorum per il referendum abrogativo qualora i promotori riescano a raccogliere almeno 800mila firme per presentarlo. La riforma in questione comporta, nelle scelte,  un forte accentramento dei poteri nelle mani del governo, si pensi, infatti, che va a modificare un terzo della Costituzione per dare questo risultato, cui si deve aggiungere l'introduzione della nuova legge elettorale, Italicum, che assegna un premio di maggioranza molto alto alla lista che otterrà più voti.  In conclusione, dietro un’apparente semplificazione in nome della “governabilità” a noi sembra si celi il pericolo di un caos istituzionale in cui a restare al comando sia di fatto un solo potere: quello dell’esecutivo.



sabato 15 ottobre 2016

Mandate un'ambulanza, subito!!




Operatore del 118: “Allora ascolti la crisi fra qualche minuto passa da sola…Capito? Quindi…se vedete che non passa lo portate in ospedale eventualmente,…sicuramente ne ha avute altre…sicuramente passerà adesso da solo…comunque voi…valutate. Eventualmente ci richiamate. Click!”

A breve, la madre del ragazzo richiama peggiorando delle condizioni di salute del figli.

Operatore del 118: “Ancora! Mi dà l'indirizzo per favore?”.

L’operatore interpellato non avendo attribuito al caso la giusta urgenza, inviava in loco un’autoambulanza priva del medico rianimatore a bordo. Era seguito l’arresto cardio-circolatorio del paziente e poi il decesso. La responsabilità per colpa ascritta all’operatore dipende dalla posizione di garanzia dovuta al suo ruolo e riguarda i reati commissivi mediante omissione, ovvero non compiere l’azione che era da attendersi in base ad una determinata norma ed ad uno specifico ruolo. Questi reati, detti omissivi propri, consistono nella violazione di un obbligo giuridico di impedire un evento. Non essendo previsti espressamente da una norma specifica nascono come fattispecie da combinarsi all’art. 40 c. 2 c.p., secondo il quale «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo».La legge attribuisce rilevanza penale non all’omissione in quanto tale ma al non impedimento dell’evento. Nei suddetti reati il soggetto omittente ricopre un obbligo di garanzia nei confronti del bene protetto, si tratta di uno speciale vincolo di tutela tra un soggetto garante - dotato di adeguati poteri giuridici - ed un bene giuridico, legame giustificato dall’incapacità del titolare di proteggerlo; un caso tipico è la posizione di garanzia (obbligo di protezione) dei genitori verso i figli
Nel caso di specie, il comportamento del soggetto viene ritenuto dai giudici gravemente negligente, per aver omesso di rispettare le regole cautelari di condotta. L’operatore, infatti, violando i protocolli del 118 si era limitato a manifestare l’indisponibilità dell’ambulanza che copriva il settore senza sincerarsi dell’urgenza dell’intervento. In particolare, aveva omesso di procedere al cosiddetto “triage” e di informarsi sullo stato e sulle condizioni vitali del paziente. Una siffatta omissione non aveva consentito all’uomo di comprendere la criticità della situazione e la sua prevedibile evoluzione negativa. Al contrario, egli aveva rimesso alla madre la valutazione sul da farsi, ossia se attendere o accompagnare, motu proprio, il figlio all’ospedale. Solo a seguito di una seconda richiesta aveva inviato un mezzo di soccorso senza medico al seguito; il personale paramedico aveva tentato una rianimazione ma aveva dovuto constatare il decesso del paziente.
In primo ed in secondo grado, a seguito degli accertamenti tecnici eseguiti, veniva riconosciuto il nesso causale tra la condotta dell’operatore ed il decesso del ragazzo. Infatti, il tempestivo invio di un’ambulanza con medico rianimatore avrebbe consentito, con elevata probabilità logica, il salvataggio del paziente. 
I giudici di merito, infatti, con la sentenza del 27 settembre 2016 n. 40036, hanno correttamente affrontato il fulcro della questione, vale a dire l’accertamento, in termini di probabilità logica, della possibilità di un esito positivo per il paziente in caso di un tempestivo intervento con medico rianimatore. Il ragazzo aveva accusato il malore alle 6.30 del mattino, la telefonata al 118 era giunta alle 6.47, un intervento di una delle due ambulanze disponibili sarebbe avvenuto intorno alle 7.10 consentendo probabilmente di fa salva la vita del paziente. Inoltre, secondo le risultanze dell’accertamento tecnico del consulente del PM, sarebbe stato decisivo il contributo del medico rianimatore giunto tempestivamente. La negligenza dell’operatore è aggravata, altresì, dal fatto di non aver rispettato il protocollo, mancando di effettuare un approfondimento sanitario del grado di urgenza e di informarsi sui parametri vitali del paziente, sul suo stato di coscienza, sulla durata di perdita di conoscenza, sulla persistenza della crisi. Agendo in tal guisa, egli ha violato le regole cautelari che governano il ruolo ed i compiti dell’operatore del 118. Nell’esame preliminare della richiesta di soccorso, l’operatore non doveva limitarsi a recepire l’istanza del cittadino ma osservare il protocollo di servizio del 118 e «valutare sulla scorta delle informazioni richieste e delle proprie conoscenze professionali, la criticità dell’evento dando così risposta adeguata ad ogni evento entro i limiti stabiliti».

domenica 9 ottobre 2016

L'erba sempre più avvelenata del vicino di casa




Lo “stressometro” condominiale è l’unità di misura che regola i rapporti di buon vicinato, infatti oltre che sul luogo di lavoro, passiamo infatti la maggior parte del nostro tempo a casa e se non siamo così fortunati i vicini sono persone maleducate e ignoranti che si comportano male e con cui non è possibile dialogare. Le liti anche violente e il disturbo sono frequenti. Ma si possono fermare. Il termine stalking viene spesso associato a comportamenti che attengono alla sfera affettiva. Tuttavia, se è vero che le vittime sono quasi sempre partner e soprattutto ex, in particolar modo donne, oggetto di attenzioni morbose se non addirittura violente da parte dell’ex compagno o marito, è anche vero che il delitto in esame ben può configurarsi al di fuori di una relazione sentimentale. È infatti sufficiente il compimento di più atti molesti o minatori che ledano l’altrui sfera psico-affettiva o inducano la vittima a mutare stile di vita perché ci si trovi di fronte agli atti persecutori puniti dalla norma in oggetto, indipendentemente dai rapporti affettivi o parentali. In quest’ottica si colloca il cosiddetto “stalking condominiale”
In questi ambienti “domestici” le ipotesi di disturbo sono sempre più numerose. La casistica è infatti molto varia: si va dal pedinamento nei confronti di un condomino, dall’apertura della posta personale, al gettito sul suo balcone di polvere, di cicche di sigarette, di molliche, con l’intenzione di farlo sempre nell’ambito di un disegno persecutorio unitario e premeditato. Con la sentenza n. 26878 del 30 giugno 2016 la Suprema Corte consacra il reato di stalking condominiale nel caso del comportamento di un condomino divenuto talmente esasperante da cagionare il perdurante e grave stato d’ansia e il cambiamento delle abitudini di vita del vicino. Nel caso di specie, in particolare, gli Ermellini hanno confermato le accuse di stalking contro l’imputato, anche se fondate sulle dichiarazioni della persona offesa, in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa “possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto”. Dal racconto sono emersi vari comportamenti che hanno configurato, infatti, dei veri e propri atti persecutori nei confronti del vicino esasperato dalle continue vessazioni. Di conseguenza l’estensione del delitto di stalking all’ambito condominiale è condizionato agli effetti reali che detti comportamenti hanno sulla vittima e che possono essere così riasunti:

· grave e perdurante stato di ansia o di paura tale da comprometterne il normale svolgimento di azioni quotidiane

· un fondato timore per l’incolumità propria o di un proprio parente o congiunto

· un cambiamento delle proprie abitudini di vita.

Del tutto irrilevante è il numero di condotte poste in essere, ciò che rileva è la gravità del comportamento che deve essere tale da costringere il vicino a cambiare radicalmente ed irreversibilmente le sue abitudini di vita. Anche due soli episodi bastano se lo stalker si pone in una posizione di immotivata e ingiustificata predominanza tale da voler danneggiare la vittima esasperandola in modo grave, fino a cagionarle un danno. Lo stalking condominiale può scattare anche quando non c’è reiterazione, ma sistematicità, essendo necessario quindi la presenza di un intento persecutorio che si concretizza in un disturbo. Le possibili soluzioni per far cessare il comportamento persecutorio e molesto dello stalker che possono consistere nella segnalazione al Questore cui segue un'ammonizione, una normale denuncia presso i Carabinieri o la Procura della Repubblica. Qesta nuova previsione di reato si esplica nell’ambito ormai diffuso e necessario della tolleranza zero, intesa come la volontà mediante provvedimenti di legge di reprimere senza pratiche indultive reati minori o comportamenti che alterino l'ordinata vita sociale o individuale. La tolleranza, invece, dovrebbe essere la prima legge naturale degli uomini, il principio a fondamento dei diritti umani.