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domenica 22 marzo 2020

DIARIO DI PRIMAVERA DI UN AVVOCATO - GIORNO 1

LA PRIMAVERA NON LO SA E NEMMENO CONTE


Ancora una volta il Presidente del Consiglio, al solo scopo di farci vedere che lui lavora fino a tardi e di sabato per curare l'Italia, sbuca dal film del sabato sera alle 23.25 per comunicare nuove misure restrittive. Ritarda però, la domenica ad emettere il provvedimento, lasciandoci tutti nel caos e preoccupazione. L’impasto di autoritarismo e spossatezza che emana da una esibizione così infelice non deve rallegrare nessuno. Tantomeno questo atteggiamento da leader solo al comando che richiama più un Beppe Grillo epuratore che una figura di riferimento. 
Adotta decreti come gli editti dell'antica Roma a carico di un soggetto o dell'altro in maniera indistinta, disorganizzata che trasmette al popolo italiano timore, ansia ed insicurezza. 
Detti decreti stanno progressivamente restringendo le nostre libertà ed i nostri diritti, violando posizioni giuridiche di  rango costituzionale, prima fra tutte, la libertà di riunione e la libertà di movimento. Le misure imposte da questi decreti vengono spesso inasprite o comunque specificate da ulteriori ordinanze adottate dalle autorità locali, preoccupate di salvaguardare la propria comunità. La straordinarietà del caso è  tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina immediatamente esecutiva proprio perchè urgente, ma deve rispondere a determinati requisiti.  Si postula, quindi, un’intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge dal punto di vista oggettivo e materiale ovvero funzionale e finalistico. E' d'obbligo l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto in modo da renderlo omogeneo, immediatamente intellegibile anche e soprattutto rispetto al destinatario che deve essere messo nella condizione di   comprendere la disposizione per non mettersi involontariamente al di fuori della stessa per oscurità della norma. Serve impedire che l’ente sovrano degeneri nel Leviatano dell’antico testamento.
Quanto alle ordinanze emesse dai vari sindaci l’art. 50, 5° comma del T.U.E.L. prevede che «in caso die emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale» In base al comma successivo «in caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni Sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti». Guardando all’attuazione non sono disponibili dati statistici ma solo esempi disomogenei che sembrano indicare un uso sporadico di questo potere in situazioni variegate tra le altre in materia ambientale e di rifiuti e per lo sgombero dei nomadi.   
Rimane il fatto, che nella giornata di «Oggi NON ho visto lo spirito del mondo seduto a cavallo, che lo domina e losormonta». La disanima del potere necessitato di ordinanza, la sua ipertrofia e la degenerazione normativa ed attuativa che oggi osserviamo, dimostrano come l’invocazione dell’emergenza ha un efficace potere mistico: di fronte all’emergenza negli individui – sulla base di codici di comportamento evolutivi –prevale il bisogno di rafforzare il vincolo sociale mentre vengono inibite le spinte individualistiche e libertarie.   Quando la polis è in pericolo il demos invoca il sacrificio per esorcizzare la paura, offre la propria libertà per sopravvivere. In questo drammatico contesto colui che discute è irresponsabile, colui che critica è empio, colui che contesta è nemico: perché non partecipa alla salvazione della patria, perché si dissocia nel momento della difficoltà, perché nega la solidarietà, perché non vede la verità collettiva. L’abuso degli istituti emergenziali è storicamente endemico e, come un virus che incessantemente infetta il sistema delle competenze, manifesta una vitalità ostinata, pronto a risorgere non appena gli anticorpi allentano la morsa 

venerdì 1 settembre 2017

Quanto mi costi?!



Torniamo dalla sospensione feriale pronti a correre veloci  verso nuovi adempimenti; primo tra tutti quello di redigere immediatamente un preventivo opportunamente concorrenziale. Speriamo non diventi l’ennesima corsa al ribasso!
Venendo alle novità da subito in vigore per gli avvocati si aprono le porte delle società professionali (anche spa) con soci avvocati ma anche di altre professioni per una quota di almeno i due terzi della compagine. La concorrenza incoraggia l’innovazione, fatti salvi i rischi di azzardo morale e asimmetria informativa per cui va comunque garantito l’intervento del regolatore. Di tali dinamiche traggono beneficio i consumatori, che per i servizi professionali sono spesso le imprese che operano sui mercati internazionali, ma anche i professionisti più capaci. Analizzando gli indicatori Ocse sulle professioni liberali (architetti, avvocati, ingegneri e revisori), è incoraggiante notare che l’Italia ha fatto dei passi in avanti importanti nell’apertura tra il 2008 e il 2013, passando dal penultimo al secondo posto tra i G7 (esclusi gli Usa per cui non ci sono standard federali e quindi l’indice nazionale non viene calcolato). Rimangono, insomma, sacche importanti di regole che ostacolano la concorrenza, senza che la loro introduzione e/o conferma vengano giustificate in maniera rigorosa e trasparente. Anzi, dal punto di vista della produttività le professioni stanno vivendo in Italia una stagione disastrosa: in termini reali, il valore aggiunto per addetto è diminuito del 30% dal 2000 (nel commercio, difficilmente un paradigma di virtù, si è contratto “solo” del 5% - Imf 2016). Nel campo della “liberalizzazione” delle professioni intellettuali il rapporto tra tutela della concorrenza e dei diritti fondamentali alla luce della giurisprudenza della Corte GUE e delle Corti nazionali appare assai problematico. Già l’atteggiamento della disciplina legislativa italiana è profondamente diverso rispetto a quello dell’Unione europea. 
In Italia il professionista intellettuale gode di una disciplina ad hoc (artt. 2229 c.c. ss.) - ben distinta da quella dell’imprenditore (artt. 2082 c.c. ss.) - basata sul principio della personalità della prestazione, sulla sua non fallibilità, sull’assenza di un obbligo di iscrizione del registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili, su di una giurisprudenza che addossa l’onere della prova della non diligenza sul cliente. Eppure non vi è una differenza “ontologica” fra l’attività dell’imprenditore in senso stretto e quella del professionista intellettuale. Fatta questa premessa, la parola “liberalizzazione” nel nostro ordinamento va intesa, come si è visto, non come una semplice e brutale abolizione di norme (c.d. “deregulation”) - che significherebbe disconoscere il limite dell’utilità sociale – ma come una razionalizzazione, un miglioramento della disciplina precedente. Le liberalizzazioni nel campo delle professioni intellettuali consentono altresì di permettere l’esercizio di una diritto, quello dell’individuo di esplicare la propria personalità mediante l’esercizio di un’attività lavorativa (cfr. artt. 1, 2, 4 e 35 Cost.), che, a differenza di quello alla libertà del diritto di iniziativa economica – che presuppone l’interferenza dell’attività economica con altri valori costituzionali e che quindi è suscettibile di limitazioni anche significative – non può che essere considerato fondamentale. Tale diritto, nel quadro della nostra Costituzione, non può però che essere bilanciato, con quello della collettività ad avere a che fare con professionisti preparati, principio a sua volta il più delle volte posto a protezione di diritti fondamentali (così, ad esempio, nel caso dell’avvocato a tutela del diritto di difesa).
Quello di cui oggi parliamo è un provvedimento da tempo sollecitato dall'Antitrust e sul quale il Parlamento nazionale ha accumulato un notevole ritardo. Nei vari passaggi parlamentari, sono state sempre confermati nuovi obblighi di comunicazione e trasparenza per tutte le professioni regolamentate.
Obblighi di comunicazione scritta o digitale al cliente, il professionista dovrà:
-rendere noto "obbligatoriamente, in forma scritta o digitale" al cliente il grado di complessita' dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresi' indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attivita' professionale.
- rendere nota al cliente, previamente, la misura del compenso "obbligatoriamente, in forma scritta o digitale" con un  preventivo di massima; la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.
Obbligo di trasparenza su titoli e specializzazioni-  Il provvedimento impone di "assicurare la trasparenza delle informazioni nei confronti dell'utenza", pertanto "i professionisti iscritti ad ordini e collegi sono tenuti ad indicare e comunicare i titoli posseduti e le eventuali specializzazioni".
Obbligo di stipula di idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attivita' professionale, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilita' professionale e il relativo massimale. Fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative "prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura".
L’acquisto della piena consapevolezza dell’esistenza di un diritto fondamentale in capo agli operatori economici a poter svolgere liberamente l’attività che più si desidera non può che contribuire ad innescare un processo circolare virtuoso per cui l’affermazione di tale diritto stimola le liberalizzazioni e queste ultime, contribuendo a creare ricchezza, consentono di destinare maggiori risorse a tutela dei diritti fondamentali. Ecco dunque che il perseguimento delle liberalizzazioni delle professioni intellettuali non va necessariamente a scapito dell’utilità sociale ma al contrario, come era nell’idea del Costituente, la rafforza; e il perseguimento dell’utilità sociale, a sua volta, fornisce nuovo vigore ad una politica di liberalizzazioni, da intendersi appunto, non come brutale abrogazione di norme preesistenti ma come razionalizzazione della regolazione tesa all’eliminazione di tutte e solo quelle norme che impediscano un pieno sviluppo della concorrenza e che non siano poste a presidio di diritti fondamentali. Le liberalizzazioni costituiscono l’occasione per bonificare i mercati da ogni forma di protezionismo e di privilegio e riconsegnare all’individuo nuove opportunità di ingresso nei mercati, reali forme di competizione civile e sicure garanzie per una allocazione virtuosa dei beni e dei meriti personali: una allocazione non distorta che non può non transitare attraverso i percorsi liberali di una uguaglianza sostanziale.

lunedì 14 marzo 2016

Donne e toga: Imbecillitas sexus


I nomi epicèni (dal gr. epíkoinon "comune", sottinteso génos "genere") sono nomi che hanno un’unica forma per il maschile e il femminile, indipendentemente dal sesso dell’essere animato a cui si riferiscono. A certe denominazioni, comunque, non siamo abituati. Il maschile, come la toga, “traveste e nasconde”. Con l’espressione l’avvocato, si dà la precedenza alla funzione rispetto alla persona che la svolge, ma si finisce anche per replicare “lo stereotipo millenario della calza e non della toga, della domus e non della polis”, così duro a morire, prima di tutto dentro le donne. Diversamente, avvocatessa, è sentita come ironica o addirittura dispregiativa Quella dell'avvocato resta nella percezione comune una professione ancora prestigiosa, ma è non più al top. Ai primi posti nella classifica delle professioni d'eccellenza secondo gli italiani si collocano i medici (il 37% ha attribuito il punteggio massimo su una scala da 1 a 10), seguiti dai magistrati (25%), i professori universitari (19,5%), i notai (17%), gli ingegneri (15%), gli imprenditori (15%) e i dirigenti d'azienda (13%). Politici (9%), avvocati (9%) e dirigenti di banca (8%) occupano la metà della classifica, mentre in coda figurano commercialisti (5%) e geometri (4%). Per il 16% degli italiani il prestigio della professione forense è aumentato nel corso degli ultimi anni, per il 47% è rimasto invariato, per il restante 37% è invece diminuito. Sono i risultati del «Rapporto annuale sull'avvocatura» realizzato dal Censis per la Cassa Forense Nazionale. E più specificatamente per le donne avvocate?
Sono in numero crescente, si appassionano alle vicende umane dei propri assistiti, riescono a compenetrarsi nei problemi, sono spesso più preparate e determinate dei colleghi maschi: eppure, quello delle donne nell'avvocatura è un percorso ancora tutto in divenire, che paga lo scotto di secoli di arretratezza culturale. La presenza delle donne nel mondo del diritto ha radici lontane: Giustina Rocca, avvocatessa del Foro di Trani , è passata alla storia come il primo avvocato donna del mondo. Di lei resta celebre la sentenza arbitrale pronunciata, in lingua volgare, l’8 aprile del 1500 al cospetto del governatore veneziano di Trani Ludovico Contarini cui assistettero tutti i suoi concittadini.
Maria Pellegrina Amoretti fu, sul finire del settecento, la prima donna a scegliere di laurearsi in giurisprudenza, senza però proseguire nel lungo processo verso l’abilitazione professionale, probabilmente troppo all’avanguardia per una giovane donna di quei tempi che volesse, verosimilmente, essere anche madre e moglie. La giovane Lidia Poet, invece, fu protagonista di un episodio singolare, destinato a fare la storia dell’avvocatura nazionale in rosa: scelse ed ottenne, nel 1883, di iscriversi all’albo professionale, ma la sua iscrizione fu annullata dalla Corte di Appello di Torino con motivazioni che, rilette oggi, fanno a dir poco accapponare la pelle. Tra le argomentazioni espresse dalla sentenza, la cd. imbecillitas sexus, in uno ad un’asserita incapacità naturale della donna ad esercitare la professione, definita troppo sconveniente già solo nell’abbigliamento femminile sotto la toga, idoneo addirittura a compromettere la serietà dei giudizi finali. 
Sono tante le donne che scelgono il tortuoso cammino della libera professione forense e ce ne sono tante nelle aule di giustizia. Tuttavia, la strada delle donne nell’avvocatura è ancora lunga da percorrere e siamo ben lontani dalla brillante figura dell’avvocato Amanda Bonner, interpretata magistralmente Katharine Hepburn al fianco di Spencer Tracy nel film “La costola di Adamo”. Perché il bel sesso continua, almeno nel nostro Paese, a pagare lo scotto di voler essere e dover essere, secondo la mistica della maternità al pari di Maria Pellegrina Amoretti prima che una professionista, una moglie ed una madre, con pesanti ricadute sulla professione forense.