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venerdì 1 settembre 2017

Quanto mi costi?!



Torniamo dalla sospensione feriale pronti a correre veloci  verso nuovi adempimenti; primo tra tutti quello di redigere immediatamente un preventivo opportunamente concorrenziale. Speriamo non diventi l’ennesima corsa al ribasso!
Venendo alle novità da subito in vigore per gli avvocati si aprono le porte delle società professionali (anche spa) con soci avvocati ma anche di altre professioni per una quota di almeno i due terzi della compagine. La concorrenza incoraggia l’innovazione, fatti salvi i rischi di azzardo morale e asimmetria informativa per cui va comunque garantito l’intervento del regolatore. Di tali dinamiche traggono beneficio i consumatori, che per i servizi professionali sono spesso le imprese che operano sui mercati internazionali, ma anche i professionisti più capaci. Analizzando gli indicatori Ocse sulle professioni liberali (architetti, avvocati, ingegneri e revisori), è incoraggiante notare che l’Italia ha fatto dei passi in avanti importanti nell’apertura tra il 2008 e il 2013, passando dal penultimo al secondo posto tra i G7 (esclusi gli Usa per cui non ci sono standard federali e quindi l’indice nazionale non viene calcolato). Rimangono, insomma, sacche importanti di regole che ostacolano la concorrenza, senza che la loro introduzione e/o conferma vengano giustificate in maniera rigorosa e trasparente. Anzi, dal punto di vista della produttività le professioni stanno vivendo in Italia una stagione disastrosa: in termini reali, il valore aggiunto per addetto è diminuito del 30% dal 2000 (nel commercio, difficilmente un paradigma di virtù, si è contratto “solo” del 5% - Imf 2016). Nel campo della “liberalizzazione” delle professioni intellettuali il rapporto tra tutela della concorrenza e dei diritti fondamentali alla luce della giurisprudenza della Corte GUE e delle Corti nazionali appare assai problematico. Già l’atteggiamento della disciplina legislativa italiana è profondamente diverso rispetto a quello dell’Unione europea. 
In Italia il professionista intellettuale gode di una disciplina ad hoc (artt. 2229 c.c. ss.) - ben distinta da quella dell’imprenditore (artt. 2082 c.c. ss.) - basata sul principio della personalità della prestazione, sulla sua non fallibilità, sull’assenza di un obbligo di iscrizione del registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili, su di una giurisprudenza che addossa l’onere della prova della non diligenza sul cliente. Eppure non vi è una differenza “ontologica” fra l’attività dell’imprenditore in senso stretto e quella del professionista intellettuale. Fatta questa premessa, la parola “liberalizzazione” nel nostro ordinamento va intesa, come si è visto, non come una semplice e brutale abolizione di norme (c.d. “deregulation”) - che significherebbe disconoscere il limite dell’utilità sociale – ma come una razionalizzazione, un miglioramento della disciplina precedente. Le liberalizzazioni nel campo delle professioni intellettuali consentono altresì di permettere l’esercizio di una diritto, quello dell’individuo di esplicare la propria personalità mediante l’esercizio di un’attività lavorativa (cfr. artt. 1, 2, 4 e 35 Cost.), che, a differenza di quello alla libertà del diritto di iniziativa economica – che presuppone l’interferenza dell’attività economica con altri valori costituzionali e che quindi è suscettibile di limitazioni anche significative – non può che essere considerato fondamentale. Tale diritto, nel quadro della nostra Costituzione, non può però che essere bilanciato, con quello della collettività ad avere a che fare con professionisti preparati, principio a sua volta il più delle volte posto a protezione di diritti fondamentali (così, ad esempio, nel caso dell’avvocato a tutela del diritto di difesa).
Quello di cui oggi parliamo è un provvedimento da tempo sollecitato dall'Antitrust e sul quale il Parlamento nazionale ha accumulato un notevole ritardo. Nei vari passaggi parlamentari, sono state sempre confermati nuovi obblighi di comunicazione e trasparenza per tutte le professioni regolamentate.
Obblighi di comunicazione scritta o digitale al cliente, il professionista dovrà:
-rendere noto "obbligatoriamente, in forma scritta o digitale" al cliente il grado di complessita' dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresi' indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attivita' professionale.
- rendere nota al cliente, previamente, la misura del compenso "obbligatoriamente, in forma scritta o digitale" con un  preventivo di massima; la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.
Obbligo di trasparenza su titoli e specializzazioni-  Il provvedimento impone di "assicurare la trasparenza delle informazioni nei confronti dell'utenza", pertanto "i professionisti iscritti ad ordini e collegi sono tenuti ad indicare e comunicare i titoli posseduti e le eventuali specializzazioni".
Obbligo di stipula di idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attivita' professionale, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilita' professionale e il relativo massimale. Fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative "prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura".
L’acquisto della piena consapevolezza dell’esistenza di un diritto fondamentale in capo agli operatori economici a poter svolgere liberamente l’attività che più si desidera non può che contribuire ad innescare un processo circolare virtuoso per cui l’affermazione di tale diritto stimola le liberalizzazioni e queste ultime, contribuendo a creare ricchezza, consentono di destinare maggiori risorse a tutela dei diritti fondamentali. Ecco dunque che il perseguimento delle liberalizzazioni delle professioni intellettuali non va necessariamente a scapito dell’utilità sociale ma al contrario, come era nell’idea del Costituente, la rafforza; e il perseguimento dell’utilità sociale, a sua volta, fornisce nuovo vigore ad una politica di liberalizzazioni, da intendersi appunto, non come brutale abrogazione di norme preesistenti ma come razionalizzazione della regolazione tesa all’eliminazione di tutte e solo quelle norme che impediscano un pieno sviluppo della concorrenza e che non siano poste a presidio di diritti fondamentali. Le liberalizzazioni costituiscono l’occasione per bonificare i mercati da ogni forma di protezionismo e di privilegio e riconsegnare all’individuo nuove opportunità di ingresso nei mercati, reali forme di competizione civile e sicure garanzie per una allocazione virtuosa dei beni e dei meriti personali: una allocazione non distorta che non può non transitare attraverso i percorsi liberali di una uguaglianza sostanziale.

martedì 7 febbraio 2017

Tutti cantano Sanremo



Stasera è iniziato Sanremo, come ogni anno a febbraio, va in onda il Festival della canzone italiana e tra note e melodie, sgargianti sorrisi ed aspettative, tutti noi ci sentiamo dotati di orecchio assoluto alla ricerca della canzone più bella ma anche tra autori famosi o sconosciuti alla ricerca dell’assonanza con canzoni già note o, magari, più fiduciosi convinti di riconoscere nuove soronità. Nonostante sia un periodo ricco di impegni e preparativi, i cantanti in gara guardano al futuro e svelano le date di uscita dei rispettivi lavori discografici. C’è chi sceglie i social per pubblicare l’immagine di copertina accompagnata dalla tracklist, chi aspetta il termine della kermesse per condividere ulteriori dettagli sul disco in uscita. Ognuno di questi prodotto dalle più famose etichette discografiche delle edizioni musicali, tra le altre, la SONY MUSIC ENTERTAINMENTITALY, la UNIVERSAL MUSIC ITALIA. 
Queste società sono legate agli artisti attraverso  il contratto di edizione musicale attraverso il quale l’autore cede tutti i diritti di utilizzazione della sua opera musicale, in particolare l’esecuzione, la rappresentazione, la riproduzione su dischi e nastri, la diffusione attraverso la radio e la televisione. Data la particolare natura dell’opera musicale, la stampa degli spartiti riveste un’importanza relativa, e l’interesse economico del contratto è rivolto invece alla acquisizione di tutti gli altri diritti di sfruttamento economico dell’opera. Essendo regolato da accordi, non espressamente disciplinati dalla legge sul diritto d’autore ma dai principi generali del diritto si può definire questo contratto come un contratto di cessione dei diritti di utilizzazione economica di opera musicale. Ne consegue che il contratto di edizione musicale è un contratto a carattere globale: comprende tutti i diritti di utilizzazione, oltre eventualmente anche il diritto di arrangiare il testo musicale e di adattare il testo letterario non solo traducendolo in altra lingua, ma modificandone anche il contenuto e il titolo.
Per quanto riguarda i
compensi sono in genere stabiliti nelle seguenti modalità:
a) per le somme derivanti dal diritto di pubblica esecuzione, generalmente 8/24simi al compositore della musica e 4/24simi all’autore del testo;
b) per il diritto di sfruttamento fonomeccanico, non meno del trenta per cento sulle somme totali per il compositore della musica e del quindici per cento all’autore del testo;
c) per il diritto di riproduzione a mezzo stampa, una percentuale variabile attorno al cinque per cento al compositore della musica e attorno al due virgola cinque per cento all’autore del testo letterario, da calcolarsi sul prezzo di copertina delle copie vendute. Forte è il legame tra case editrici e case discografiche ed a tal proposito è interessante ricordare la storia della Decca Records Ltd. 
Il nome Decca è derivato da un grammofono portatile chiamato "Decca Dulcephone"; il nome Decca fu coniato da Wilfred S. Samuel sostituendo l'iniziale della parola "Mecca" con l'iniziale del logo dell'azienda, "Dulcet", o con quello del grammofono "Dulcephone". Con la pubblicazione di numerose incisioni sia di musica classica che di musica leggera, in pochi anni la Decca Records Ltd. divenne la seconda casa discografica mondiale, autonominandosi "The Supreme Record Company".Il maggior successo di tutti i tempi della Decca americana è stato White Christmas, inciso da Bing Crosby una prima volta nel 1940, successivamente nel 1947. Nel 1946 la casa inglese cominciò ad utilizzare una nuova tecnica di registrazione sonora, denominata full frequency range recording e contraddistinta sulle etichette dei dischi dalla sigla ffrr. Fino alla fine del conflitto mondiale, questa tecnica era stata usata solo a scopi bellici in quanto in grado di riconoscere l'avvicinarsi dei sommergibili individuandone le vibrazioni del motore. È rimasto celebre il rifiuto di un funzionario della Decca di mettere sotto contratto nel 1962 gli allora sconosciuti Beatles. Tra i numerosi artisti che incisero per la Decca si ricordano The Rolling Stones, su consiglio dello stesso Harrison, Ten YearsAfter, Cat Stevens, i Them capitanati da Van Morrison, John Mayall, The SmallFaces, The Moody Blues, i Genesis e The Animals. A proposito dei Rolling Stones e del loro stralunato rapporto con il manager Allen Klein ci “diverte” raccontarvi la storia di “Bittersweet Symphony”. E' il  1997, quando i “The Verve” negoziano la licenza d’uso di un campione di cinque note, estratto da una cover orchestrale di uno dei successi minori dei Rolling Stones, “The Last Time”, concesso senza problemi dalla Decca Records. Il fatto che la cover somigliasse  alla sigla di FUTURAMA poi, non destò alcun allarme e anzi, forti della legittimazione da parte dell’ex-manager degli Stones e della Decca, i Verve, rinchiusi in studio, invece di quel pugno di secondi con cinque note ne usarono qualcuno in più. 
Il risultato fu “Bittersweet Symphony” che, una volta lanciata, divenne immediatamente un successo, e non passò molto tempo prima che il telefono di Ashcroft e soci suonasse.  Dall’altro capo del filo c’era un ex manager dei Rolling Stones, Allen Klein, che possedeva il copyright su tutte le canzoni pre–1970 della band, e citava in giudizio i “The Verve” per violazione dei diritti d’autore in quanto il loro pezzo era un evidente plagio della canzone dei Rolling Stones intitolato “The Last Time”.  I Verve provarono a opporsi sostenendo di detenere i diritti sulla cover campionata, ma il giudice riconobbe il plagio della canzone originale, attribuendone la paternità a “Jagger/Richard”.
Il gruppo provò a cercare un accordo con gli Stones i quali, prima accettarono il 50 % dei possibili proventi derivanti dal brano e, successivamente, quando si resero conto dell’inaspettato successo della canzone, pretesero il 100%, minacciando di far ritirare il singolo dai negozi.
 

Quando “Bittersweet Symphony” fu nominata per un Grammy nella categoria Best Songwriters, la candidatura andò a “Mick Jagger e Keith Richards.” Ashcroft cercò di scherzarci sopra dicendo che “Bittersweet Symphony” era «la miglior canzone che Jagger e Richards avevano mai scritto in vent’anni.» Ma la verità era che la vicenda gli causò un bell’esaurimento nervoso che alla fine lo portò a lasciare il gruppo.
T
uttora, quando Ashcroft la suona dal vivo, usa dedicarla a Jagger e Richards, sostenendo di essere felice di pagare i loro conti…in medicine.



mercoledì 1 febbraio 2017

L'assassino più innocente del mondo


Così Bill Murray definì O. J. Simpson. Infatti, nessuno dubitava, in quell’autunno del 1995, che O. J. Simspon sarebbe stato giudicato colpevole dell’assassinio dell’ex moglie Nicole Brown Simpson e del suo amico Ronald Goldman. Come finì quella storia lo ricorda chiunque: l’ex star del football, poi riciclatosi nelle commedie di Leslie Nielsen, dopo una fuga ad alto tasso spettacolare (seguita in tv da 95 milioni di spettatori), che chiunque interpretò come un’ammissione di colpa, fu arrestato. Seguì un processo, il primo della lunga serie dei processi ad uso e consumo dei media. O. J. Simpson, che l’ex moglie aveva denunciato per violenze, fu dichiarato non colpevole. Il successo fu dovuto al dream team di avvocati e a un senso di colpa collettivo nell’America bianca che non aveva ancora smaltito la vergogna per lo sconvolgente pestaggio di Rodney King e la follia che ne seguì. Tutti ricordiamo il momento in cui O.J.Simpson mostra alla giuria come i guanti non calzino le sue mani e come sul luogo del delitto fossero presenti varie tracce del DNA del giocatore di football. 
In questi giorni alla tv è andata in onda la prima puntata di una serie televisiva denominata American Crime Story che in dieci puntate circa racconterà il processo. Noi di quel momento ricordiamo entusiasti l’arringa conclusiva dello straordinario avvocato Johnny Cochran che così concluse: “if it doesn’t fit, you must acquit” (se non calzano, dovete assolverlo!). Oggi ventanni dopo, la domanda che viene spontaneo porsi è quella relativa alla prova scientifica, da considerarsi sempre la prova delle prove. E’ indubbio che la prova scientifica – e massimamente quella inerente l’accertamento ed il confronto del DNA di un sospettato con quello estratto da una traccia biologica – rappresenta oggi una delle maggiori e più efficaci risorse per l’accertamento processuale della responsabilità penale dell’imputato. L’accertamento del DNA  è, invero, al centro di tanto attuali quanto tristi casi di cronaca (da quello di Yara Gambirasio, al delitto di Perugia a quello di Garlasco solo per citare i più famosi) ancora irrisolti e, più in generale, da esso dipendono spesso gli esiti dei processi indiziari. Come è noto, l’individuazione di un soggetto è certa pressoché al 100% (nemmeno i gemelli omozigoti hanno lo stesso DNA) sebbene il DNA umano sia uguale al 99% per tutti gli individui e la percentuale di differenza sia dello 0,1% per ognuno di noi. Oggi la corrispondenza (o meno) di un profilo di DNA rispetto ad un modello di confronto è controllata dagli esperti meccanicamente (non più visivamente dall’addetto) e si riferisce al controllo di 13/15 marcatori che permettono – come detto – una certezza dell’individuazione (positiva o negativa che sia) pari 99,9% periodico. Si tratta di una traccia certa che si rivela determinante in oltre il 35% dei casi di omicidio ed è un classico caso del principio diLocard secondo il quale l’agente commettendo il reato lascia sempre sulla scena del crimine qualcosa di sé e porta su di sé sempre qualcosa della scena o della vittima. 
E quindi? Come è stato possibile questo esito favorevole nonostante le concordanti tracce ritrovate che colocavano Simpson sul luogo del cremine? Nel processo penale un punto saliente è costituito dal momento dell'acqusizione della prova scientifica, ovvero la considerazione dell'impatto, determinato dall'attività investigativa svolta su basi scientifiche e tecnologiche. Il problema posto dall'acquisizione della prova scientifica consiste nella necessità di integrazione della stessa con il materiale già a disposizione del giudice. Proviamo a concretizzare quanto detto fin'ora. Il processo a O. J. Simpson costituisce il leading case americano sul tema. Nel 1995, dopo 253 giorni di processo e l'escussione di 126 testi, la giuria dichiara il celebre giocatore di football Simpson non colpevole dell'omicidio della moglie Nicole e dell'amante di lei Ronald Goldman, nonostante vi fossero prove schiaccianti nel senso della sua colpevolezza. Il famoso penalista Dershowitz, insieme ai difensori di Simpson, riuscì a smontare l'accusa fondata sull'argomento che i maltrattamenti in famiglia portarono all'omicidio. Dershowitz asserì che in un processo per omicidio non possono essere portati come prove i maltrattamenti e le percosse in famiglia. 
A sostegno della sua tesi il penalista argomentò che ogni anno in America 4 milioni di donne vengono picchiate da mariti e conviventi; di queste però solo 1500 vengono successivamente uccise. Dividendo il numero delle donne assassinate per il numero delle donne picchiate si ottiene una percentuale infinitesima (0.04%) di donne picchiate che vengono successivamente uccise. Ma questo calcolo è corretto? No, si considera solo la classe delle 'donne picchiate' e si omette il dato cruciale costituito dalle 'donne picchiate dai compagni e successivamente uccise'. Consultando i dati annuali della criminalità statunitese, su 100 mila donne picchiate dal marito, 40 vengono uccise dallo stesso e 5 da qualcun'altro. Da ciò deriva che su 45 omicidi, la percentuale di donne uccise dal marito è del 90%! 
Questo è un tipico esempio di 'fallacia dell'accusatore', quell'errore costituito dall'identificare la probabilità di concordanza causale con la probabilità di non colpevolezza dell'imputato. Questa locuzione risale a due astuti avvocati (Thompson e Schumann) che smontarono le accuse di uno statisticamente ignorante vice-pubblico ministero che si rivolse così alla giuria: “supponiamo che l’imputato abbia lo stesso gruppo sanguigno del colpevole e che il 10% della popolazione rientri in questo gruppo. Se l’imputato fosse innocente avrebbe il 10% di probabilità di appartenere al gruppo e quindi, se vi appartiene, la probabilità che sia colpevole è del 90%”. L’incredibile errore nasce proprio dal fatto che l’accusatore confonde la probabilità della concordanza con quella della non colpevolezza in caso di concordanza. Ragionando in termini di frequenze naturali il calcolo dvrebbe essere il seguente:ogni dieci persone una presenta il gruppo sanguigno del colpevole, quindi ci sono (se la popolazione potenzialmente coinvolta nel delitto è di un milione di persone) 100.000 persone che potrebbero essere colpevoli!

“Questa volta la giuria ha considerato l’evidenza e ha deciso che l’accusa non aveva provato il suo caso. Spero che da questo venga fuori qualcosa di positivo. Spero che sistemino i loro laboratori, che si mettano a usare detective che fanno un lavoro migliore” (Jhonny Cochran)




domenica 17 luglio 2016

Diversamente amabili




Quest’anno sembra essere quello che vuole superare pregiudizi e barriere. Su questa scia, sempre lungimirante e visionaria, ancora una volta è la regione Toscana che intende porsi quale capofila perché si ritorni ad esaminare ed affrontare lo scabroso tema della sessualità per i disabili. Per questo, da qualche anno ormai, in Europa e nel mondo si sta diffondendo la figura dei "love giver" ovvero degli assistenti sessuali. In Italia pende il disegno di legge 1442 del 24 Aprile2014 “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone condisabilità” ed è assegnato alla commissione igiene e sanità del Senato ma ad oggi è praticamente fermo. Tra i primi firmatari c'è il parlamentare Lo Giudice e la senatrice Cirinnà (sì, sempre lei!). Prima di proseguire sarà bene intenderci sul significato di disabile, cioè colui che per ripercussioni negative patisce una riduzione oltre la norma di una o più funzioni sensoriali, motorie e/o psichiche”. Il termine handicap, utilizzato nel linguaggio corrente per definire tali situazioni, è mutuato dal linguaggio ippico, nel quale indica la penalizzazione che nei concorsi di equitazione viene inflitta (in termini di tempo, distanza o penso) ai cavalli favoriti, al fine di offrire le stesse possibilità di vittoria anche a quelli meno favoriti. 
Dunque, se è vero che “con un handicap ben congegnato tutti i concorrenti hanno le stesse possibilità di vittoria” (cfr. C. Hanau, Handicap, cit. p. 67), per quanto riguarda le persone l’interesse da perseguire non è evidentemente quello di penalizzare i “superdotati”, bensì quello di sostenere gli svantaggiati con misure che equiparano o, comunque, tendano all’equiparazione delle posizioni di partenza. Questa urgenza non nasce quindi dal fatto che la figura della madre si sia emancipata al punto da portare il proprio figlio a prostitute e pagare fino a 500 euro, o al punto di masturbarlo lei stessa, o perché si diffondono notizie come quella del ragazzo spinto dalla madre a cercare una prostituta per il fratello con disabilità. L’urgenza, voglio credere sia, quella d’includere il disabile nella società, in una società che sia educata alla disabilità. Partire da un impulso sessuale, intimo per proiettarsi, poi, a costruire nuove prospettive tali da creare l’indipendenza per il disabile. In particolare, è stata rivalutata la disabilità non come “mancanza” quanto – piuttosto – come una dimensione della diversità umana nella consapevolezza che il cuore del problema non risiede nella condizione della disabilità in quanto tale, ma nei contesti sociali e culturali in cui essa emerge. A rompere il tabù, come già detto, è la Regione Toscana con una proposta di risoluzione che impegnerà la Giunta ad andare verso il riconoscimento dell’assistente sessuale per i disabili. Attraverso la sua professionalità supporta le persone diversamenteabili a sperimentare l’erotismo e la sessualità. Questo operatore, formato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, permette di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale e/o sessuale. 
Gli incontri, infatti, si orientano in un continuum che va dal semplice massaggio o contatto fisico, al corpo a corpo, sperimentando il contatto e l’esperienza sensoriale, dando suggerimenti fondamentali sull’attività autoerotica, fino a stimolare e a fare sperimentare il piacere sessuale dell’esperienza orgasmica. Quanto appena rappresentato si traduce nel diritto delle persone con disabilità a fruire di condizioni minime per un’esistenza libera e soprattutto dignitosa, nella consapevolezza, come ebbe a dire la Corte Costituzionale che tra i compiti cui lo Stato non può in nessun caso abdicare v’è proprio quello di “contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana” (Corte Costituzionale, sentenza 25 febbraio 1988 n. 217).Come sancito dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (1974) “la salute sessuale è l’integrazione degli aspetti somatici, affettivi, intellettuali e sociali nell’essere sessuato al fine di pervenire ad un arricchimento della personalità umana, della comunicazione e dell’amore”.Ciò considerato, è possibile affermare che la dignità umana di un individuo – abile e non abile – viene a manifestarsi anche per mezzo della propria sessualità. Sul punto, è sufficiente far riferimento alla Convenzione sui diritti dellepersone con disabilità, stipulata a New York il 13 dicembre 2006 (ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009 n. 18). Il trattato in esame riconosce espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” (collocati nel novero dei “principi generali”, v. art. 3 della Convenzione).
La stessa Convenzione, all’art. 12 comma IV (“uguale riconoscimento dinanzi alla legge) chiaramente statuisce “Gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario”. Sotto altro angolo prospettico potrebbe venire in rilievo il concreto esercizio di questo diritto, qualora la sessualità non fosse consapevolmente vissuta dal disabile. In questo caso, sarebbe opportuno ipotizzare l’adozione di strumenti di monitoraggio e sostegno tramite i servizi sociali o i Consultori. E dove questi, potrebbero risultare insufficienti, attraverso l’autorità penale sopprimerne la mercificazione.