In amore la
menzogna interessata è lecita. La vicenda risale al 2009, quando tra due infermieri
di un noto ospedale meneghino scoppia una storia d'amore. Da subito, l'uomo
comincia a chiedere soldi alla compagna, promettendone sempre la restituzione,
prima per pagare le tasse e poi per intraprendere una attività in Perù. La
donna contrae un mutuo di 10mila euro per venire incontro alla richiesta del
partner che effettivamente di lì a poco parte per il Sud America, dove lei lo
raggiunge consegnandogli altro denaro. Una volta tornati a Milano
però lui cambia atteggiamento e la lascia.
Dopo varie
richieste di restituzione non evase, incassata la fregatura, la disputa approda davanti al tribunale
milanese dove il giudice investito della questione si domanda «se è concepibile
il reato di truffa quando una persona inganni il proprio ‘compagno' (o la
propria ‘compagna') circa i propri sentimenti, al solo scopo di ottenere un
vantaggio patrimoniale con altrui danno». La risposta, in linea teorica, è che
si è concepibile, tuttavia in concreto essa è «difficilmente ravvisabile».
Infatti, anche per «evitare una spropositata estensione dell'area penale», si
dovrebbero rigorosamente accertarne tutti gli elementi tipici, vale a dire: la
condotta fraudolenta, il dolo ed anche la relazione consequenziale tra l'errore
sul sentimento e l'atto dispositivo. Sotto il primo profilo osserva la
sentenza, in assenza di raggiri «il semplice mentire sui propri sentimenti – la
nuda menzogna - non integra una condotta tipica di truffa» (Trib. Milano, Sez. III, sent. 14 luglio 2015) .
Con
riferimento al dolo, poi, esso dovrebbe sussistere fin dall'inizio, cioè essere
alla base stessa della relazione. Infine, per quanto riguarda il terzo aspetto
bisognerebbe poter affermare che il raggirato sia stato effettivamente
determinato nella sua generosità soltanto dalla errata convinzione circa
l'altrui sentimento. Ma ciò è molto difficile da provare perché, osserva il
giudice, vi potrebbero essere altre cause alla base della dazione. Ed il
tribunale fa l'esempio di un «ricco erede» che fosse stato ingannato da una
«giovane e bellissima donna» e l'avesse ricoperta di «doni» e «ingenti
capitali»: anche in questo caso non ci sarebbe reato, poiché esiste il
«ragionevole dubbio» che la «presunta vittima» non si sarebbe comportata in
modo diverso pur «sapendo della reale intenzione» della donna, magari perché
«ben lieto di accompagnarsi all'avvenente ragazza».
Stesso
discorso vale per l’accusa di appropriazione indebita: le parti avevano
pattuito la restituzione delle somme prestate. Per la legge si tratta di un
contratto di mutuo, un prestito. Così facendo, alla consegna del danaro la
proprietà dello stesso è passata dalla donna all’uomo.