La polemica
montata dopo l'intervento di Vittorio Cosma, che in questa edizione del
Dopofestival, ha avuto l'ingrato compito di analizzare i brani, dal punto di
vista strettamente musicale, e individuarne eventuali somiglianze con altre
canzoni alla sola ricerca di assonanze melodiche, ha riportato alla ribalta la
normativa sul plagio, dopo aver segnalato la somiglianza tra il brano di Dolcenera
“Ora o mai più” e “You make me feel like a natural woman” di Aretha Franklin.
Per onore di cronaca ci piace segnalare che sono 69 i titoli identici a quello
della canzone interpretata da Dolcenera: il precedente che ha fatto storia
nella musica pop è targato Mina, 1965. Per la legge n. 633 del 22 aprile 1941
sul diritto d’autore il plagio consiste nella riproduzione dell’opera altrui
spacciandola per propria, sia essa già pubblicata o inedita. Non vi è invece
plagio se l’opera viene riprodotta per uso privato. Quando, invece, una persona
si appropria di elementi di un'opera per introdurli in un'altra opera sotto il
proprio nome, ci troviamo in presenza di una contraffazione, ossia di una
riproduzione abusiva di un'opera altrui e non di un’attribuzione di paternità.
Tuttavia, per legge, l'opera simile all'originale, per essere realmente
definita plagio, deve suscitare nell'ascoltatore le stesse emozioni
dell'originale. Liberiamo il campo dalle false convinzioni: non esiste un
criterio prestabilito per stabilire quando si commette plagio. A tutt'oggi, la
giurisprudenza è incerta se siano sufficienti 4 o 8 battute per definire un
plagio. Così, non trovano corrispondenza nella legge, le
voci secondo cui il plagio scatterebbe solo dopo aver copiato almeno sette note
consecutive o otto battute.Un tale rigido sistema sarebbe fallace perché
non terrebbe in considerazione l’enorme varietà dei brani: sette note
consecutive sono una parte insignificante di una composizione orchestrale, ma
possono rappresentare l’intero cuore di un brano semplice di musica pop.
Proprio per tale ragione, la giurisprudenza non ha dettato criteri “matematici”
per potersi parlare di plagio, ma ritiene che si debba valutare caso per caso,
dando particolare rilievo alla linea melodica. Spesso, infatti, per classificare
come plagio una canzone, basta che nell'ascoltatore essa susciti il
riconoscimento di un pezzo antecedente al brano ipotizzato essere un plagio. A
nulla, peraltro, rilevando l’originalità del brano stesso. In una nota
sentenza, la Corte di Appello di Milano (sent. 24.11.1999), ha infatti stabilito che non è
tutelabile dal diritto d’autore il brano di musica leggera che, per la
semplicità della melodia, simile a numerosi precedenti, sia carente del
requisito dell’originalità. Soprattutto però è importante saper riconoscere il "plagio" da una
"somiglianza" oppure da una "cover". Il plagio
di una composizione musicale può riguardare anche una parte della composizione
stessa. Anche un motivo non del tutto banale presente nel ritornello di una
canzone può formare oggetto di plagio quando sia stato ripreso con particolare
insistenza e risalto.
Accadde nel 1960 per la canzone “Romantica”, scritta e
interpretata da Renato Rascel. “Ci fu una denuncia per plagio: il dottor Nicola
Festa, veterinario e musicista per diletto, accusò Renato di aver copiato
“Romantica” da un suo brano intitolato “Angiulella” – racconta Giuditta
Saltarini, vedova di Rascel – In tribunale il querelante si presentò con
Ildebrando Pizzetti, il padre riformatore del melodramma italiano, in veste di
perito di parte. Renato volle rispondere con un colpo di teatro altrettanto
clamoroso e schierò a difesa della sua composizione quell’autentica superstar
del neoclassicismo che era e sarà sempre considerato Igor Stravinsky”. Il quale
fu evidentemente più convincente del collega visto che il giudice riabilitò
totalmente “Romantica” mandando assolto il popolare artista romano. Con
riferimento alla musica leggera, si ritiene che essa sia priva di complessità e
originalità perché normalmente composta da strofe e ritornelli; l’armonia è di
ambito tonale non elevato; la timbrica fa ricorso a strumenti elettronici con
effetti di colore; la melodia è di facile intonazione e memorizzazione. Dunque,
nella musica leggera vi sono semplici e ricorrenti elementi che consentono ampi
margini di analogie solo occasionali. Per cui, nel giudicare un’ipotesi di
plagio nel campo della musica “non impegnata”, si deve essere più tolleranti,
fermo restando che si possono accertare elementi di originalità e di difformità
anche in un contesto ricco di banalità e di interferenze. In altre parole,
quanto minore è l’originalità dell’opera, tanto più rigorosi devono essere i
criteri di accertamento. Per verificare se sussistano plagi nella musica
leggera, si guarda più al ritornello che alla strofa. La sentenza n. 9854 del 15 giugno 2012 della cassazione ha
individuato alcune condizioni affinché il ritornello di una composizione possa
definirsi un plagio:
1. i due ritornelli devono presentare una successione di note del tutto
somigliante
2. il nucleo centrale delle due composizioni deve ruotare intorno alla stessa
successione di note del ritornello, cioè quella combinazione di note
maggiormente idonea a contraddistinguere il brano e ad imprimersi nella memoria
degli ascoltatori;
3. la sola diversità ritmica dei due ritornelli non è sufficiente a conferire
al ritornello il carattere della creatività, devono infatti concorrere anche i
due elementi della melodia e della armonia.
Ma cosa ne sa un giudice di musica pop, vi potreste chiedere. Il giudice provvede alla nomina di un CTU (consulente tecnico d'ufficio) per redigere una perizia giurata, ed al quale viene proposto l'ascolto dei due brani (l'originale e l'eventuale plagio). Se il giudice riconosce le ragioni dell'attore (colui che intraprende l'azione legale), l'autore del plagio rischia il ritiro del pezzo dal mercato con sanzioni salatissime, oppure che gli introiti vengano devoluti all'autore originale Spesso anche gli stessi CTU sono tutt’altro che univoci nelle loro indagini.
Ma cosa ne sa un giudice di musica pop, vi potreste chiedere. Il giudice provvede alla nomina di un CTU (consulente tecnico d'ufficio) per redigere una perizia giurata, ed al quale viene proposto l'ascolto dei due brani (l'originale e l'eventuale plagio). Se il giudice riconosce le ragioni dell'attore (colui che intraprende l'azione legale), l'autore del plagio rischia il ritiro del pezzo dal mercato con sanzioni salatissime, oppure che gli introiti vengano devoluti all'autore originale Spesso anche gli stessi CTU sono tutt’altro che univoci nelle loro indagini.
Per esempio, nel citato caso giudiziario tra Al Bano Carrisi e Michael Jackson,
prima di arrivare a un giudizio di colpevolezza nei confronti di quest’ultimo,
ci sono volute tre diverse perizie e l’accertamento che ben 37 note sulle 40
che componevano la melodia dei due brani erano identiche. Tra i plagi più
evidenti della storia della musica, ricordo come “I giardini di marzo” di Battisti abbia qualcosa in comune a “Mr. Soul” di Neil Young; “La donna chevorrei” di Gigi D’Alessio sia simile in modo imbarazzante a “Babe, I’m gonnaleave you” dei Led Zeppelin; o ancora come “Ballo Ballo” di Raffaella Carrà sia
strettamente imparentata con “Eleanor Rigby” dei Beatles. Un evidentissimo caso
di plagio è quello che ha visto Eric Carmen, autore della pluricoverizzata “All By My Self” (nota la versione di Mariah Carey), trascrivere le note del
compositore russo Rachmaninov nel suo “Concerto per piano e orchestra op. 2”,
terzo movimento (Adagio sostenuto). In verità, non si tratta di vero e proprio
plagio, posto che l’opera di Rachmaninov è diventata ormai di pubblico dominio
e non è più protetta dal diritto d’autore. Era il 1996 quando il cantautore
Francesco De Gregori, nel suo album “Prendere e lasciare”, inserì la canzone
“Prendi questa mano, zingara”, il cui titolo e il primo verso riprendevano una
nota canzone (“Zingara”) scritta nel 1969 da Enrico Riccardi e Luigi
Albertelli. Nonostante ci fosse una parola differente (il testo originale
recita «Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che destino avrò» mentre De
Gregori cantava «Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che futuro avrò»), gli
autori ritenevano che la loro canzone fosse stata plagiata. Il giudice di prime
cure inibì la diffusione del brano. Il risultato si ribaltò in sede d’appello
poichè la corte territoriale considerata la totale diversità del resto del
testo della canzone, ritenne l’incipit una semplice citazione.
Misero fine alla
discussione lasciando libera la musica i i giudici della Suprema Corte che con
la sentenza n. 3340/2015 hanno affermato che «In tema di plagio di un’opera
musicale un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in
un’altra non costituisce di per sè plagio, dovendosi accertare da parte del
giudice di merito, se il frammento innestato nel nuovo testo poetico-letterario
abbia o meno conservato una identità di significato poetico-letterario ovvero
abbia evidenziato, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto a
quello che ha avuto nell’opera anteriore». Sappiamo benissimo che abbiamo sette
note nel pentagramma e considerandole da sole, e cioè senza le loro variazioni,
è difficile non risultare ripetitivi o scarsi nel lavorare con la fantasia,
perchè non bisogna dimenticare che la musica si basa anche sulla matematica e
che il numero di combinazioni di queste sette note non è infinito, per questo
prima di lanciare l’allarme di plagio è bene tener d'occhio il tema,
l’atmosfera e l'elaborazione di un brano.