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sabato 7 gennaio 2017

Il pianista della parola




"Un avvocato? È un pianista della parola", scriveva Pierre Véron giornalista francese nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Per Gandhi, colui che ha la funzione di unire parti lacerate a pezzi. Un qualcosa che simbolicamente ha più a che fare con la "manualità", con il maneggiare con perizia uno strumento, che non con la conoscenza astratta di una teoria. Nella realtà, ogni avvocato ha un suo "metodo" per gestire una lite e per convincere delle sue ragioni: un "metodo" personale e non scambiabile Questo perché ogni uomo ha un suo modo di vedere le cose, una visione del mondo, una "weltanschauung" a cui non può e non deve rinunciare. E' l'esperienza - intesa come modo di esperire e di sentire le cose - che forma il proessionista, non la teoria. 
Quest'ultima fornisce soltanto gli strumenti, di certo indispensabili, ma come usarli lo si impara sulla propria pelle. Nel rapporto con il cliente si deve imparare a calibrare l’empatia, per instaurare un vero rapporto di fiducia per meglio comprendere le ragioni del cliente, con il distacco, per vedere le cose e di agire con lucidità e senza quell'animosità che potrebbe impedirci una reale e obiettiva comprensione dei fatti. E’ un "mestiere al negativo", a cui la gente ricorre per risolvere i problemi. Al riguardo Martin Seligman, coniatore del «concetto» della psicologia positiva, psicologia che non si occupa solo di patologie, ma di incrementare il benessere delle persone senza particolari problemi, riportando di seguito parte di un articolo di Silvia deSantis apparso sull’Huffington post:Come mai gli avvocati hanno il 3,6% di probabilità in più di cadere in depressione o divorziare rispetto alla norma? 
Martin Seligman, psicologo e saggista statunitense spiega che ciò dipende dal fatto che, per lavoro, hanno abituato la propria mente a pensare in negativo. Gli avvocati migliori, infatti, sono i più pessimisti. Il pessimismo è visto come un “plus” tra i legali, perché vedere problemi ovunque è un tipico atteggiamento della prudenza, fondamentale per chi svolge questa professione. Essere previdente permette a un avvocato di considerare tutte le trappole e le situazioni negative in cui può incorrere il proprio assistito. La capacità di calcolare in anticipo una serie di conseguenze, difficili da immaginare per chi è digiuno di legge, consente all’avvocato di costruire al meglio la difesa”. Oltre questa analisi psicologico-strategica è inevitabile, prima di concludere, prendere in considerazione anche l’aspetto sociologico per rendersi conto che l’avvocato deve anche essere multidimensionale: sviluppare nuove capacità di ascolto, di identificazione degli interessi, di inquadramento e investigazione dei problemi, e di elaborazione di sistemi di soluzioni che possano offrire vantaggi reciproci. 
L’avvocato deve aspirare ad essere un vero e proprio consigliere piuttosto che un mero esperto del diritto. Inoltre, l’avvocato multidimensionale dovrebbe essere in grado di comprendere i peculiari contesti nei quali i clienti possono trovarsi, contesti in cui il senso comune e l’istinto potrebbero fallir. I professionisti del diritto posseggono d'altra parte un grande potenziale per incentivare atteggiamenti riflessivi nei loro clienti. Nelle loro conversazioni coi clienti, gli avvocati dovrebbero cercare di fornire a questi ultimi la possibilità di giocare un ruolo nella risoluzione dei loro stessi problemi. Inoltre, dovrebbero facilitare la comprensione degli aspetti legali della questione da parte dell’interessato, attraverso informazioni accessibili. Dovrebbero altresì sforzarsi di responsabilizzare il cliente affinchè, attraverso una più ampia comunicazione con i soggetti coinvolti, il diritto possa reclamare il ruolo di guida morale per la nostra civiltà.

domenica 26 giugno 2016

“Leave” and let die



                                   Prima d'iniziare la lettura fate partire la quantomai opportuna colonna sonora cliccando qui
Nel pieno della scelta democratica oltre 33 milioni di britannici sono andati alle urne e un’affluenza del 72,2 per cento ha decretato con percentuale del 51,09 % che la Gran Bretagnadeve lasciare (leave) l’Unione Europa. Cosa significava fare parte dell’Unione? l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza tra i paesi che riduce i rischi di conflitti. Solo per darci alcuni spunti di riflessione è importante ricordarsi che  l'Unione ha competenza esclusiva sull’unione doganale, sulle regole di concorrenza (regolazione dei mercati), la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca e non ultima la politica commerciale con gli Stati Internazionali. Detto questo il dibattito sulla brexit e le proiezioni nonché report sugli effetti di questo cd. divorzio consensuale fa temere che le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee. Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. 
Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna. Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza. Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così. Quindi? 
A noi sembra ci sia poco da esultare. Questo è il risultato di un uso irresponsabile del voto. Il referendum è stato convocato per ragioni di politica interna. Si è chiesto il pronunciamento diretto dell’elettorato per sopravvivere agli attacchi interni degli euroscettici di Nigel Farage. L’unico a non capire che per far cadere Cameron era necessario schierarsi all’opposizione, è stato proprio David Cameron.  Ma l’uso del voto è stato irresponsabile anche da parte degli elettori che hanno rinunciato al senso critico. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati e per l’impero. Sembra, inoltre, che sia del tutto assente un piano dopo-Brexit ( se escludiamo il milione di firme raccolte per rientrare nell’UE). Purtroppo o per fortuna è la democrazia rappresentativa a garantire competenza e mediazione in alcune materie. Quando il tema è complicato, per sua stessa natura, sarebbe meglio dedicare maggior tempo allo studio per prendere decisioni informate e consapevoli, altrimenti diventa circonvenzione d’incapace. Facciamo un esempio: “Volete voi pagare le tasse?”


“Leave” and let die



                                   Prima d'iniziare la lettura fate partire la quantomai opportuna colonna sonora cliccando qui
Nel pieno della scelta democratica oltre 33 milioni di britannici sono andati alle urne e un’affluenza del 72,2 per cento ha decretato con percentuale del 51,09 % che la Gran Bretagnadeve lasciare (leave) l’Unione Europa. Cosa significava fare parte dell’Unione? l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza tra i paesi che riduce i rischi di conflitti. Solo per darci alcuni spunti di riflessione è importante ricordarsi che  l'Unione ha competenza esclusiva sull’unione doganale, sulle regole di concorrenza (regolazione dei mercati), la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca e non ultima la politica commerciale con gli Stati Internazionali. Detto questo il dibattito sulla brexit e le proiezioni nonché report sugli effetti di questo cd. divorzio consensuale fa temere che le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee. Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. 
Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna. Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza. Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così. Quindi? 
A noi sembra ci sia poco da esultare. Questo è il risultato di un uso irresponsabile del voto. Il referendum è stato convocato per ragioni di politica interna. Si è chiesto il pronunciamento diretto dell’elettorato per sopravvivere agli attacchi interni degli euroscettici di Nigel Farage. L’unico a non capire che per far cadere Cameron era necessario schierarsi all’opposizione, è stato proprio David Cameron.  Ma l’uso del voto è stato irresponsabile anche da parte degli elettori che hanno rinunciato al senso critico. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati e per l’impero. Sembra, inoltre, che sia del tutto assente un piano dopo-Brexit ( se escludiamo il milione di firme raccolte per rientrare nell’UE). Purtroppo o per fortuna è la democrazia rappresentativa a garantire competenza e mediazione in alcune materie. Quando il tema è complicato, per sua stessa natura, sarebbe meglio dedicare maggior tempo allo studio per prendere decisioni informate e consapevoli, altrimenti diventa circonvenzione d’incapace. Facciamo un esempio: “Volete voi pagare le tasse?”


domenica 29 maggio 2016

Caffellatte: la convivenza amorosa



La composizione è un procedimento morfologico che permette di formare parole nuove combinando insieme due (o più) parole autonome, come per caffellatte: è nota, infatti, la pacifica convivenza del latte con il caffè. Mutuando questo gioco di parole dalla semantica della lingua italiana vogliamo oggi parlare dei contratti di convivenza. Si tratta di accordi con cui la coppia definisce le regole della propria convivenza, attraverso la regolamentazione dei rapporti patrimoniali della stessa ed alcuni limitati aspetti dei rapporti personali. Possono essere stipulati da tutte le persone che, legate da vincolo affettivo, decidono di vivere insieme stabilmente (c.d. convivenza more uxorio). Più precisamente, ci si riferisce all’unione di vita stabile tra due persone legate da affetto che decidono di vivere insieme al di fuori del legame matrimoniale o perché è loro preclusa la possibilità di sposarsi (ad esempio, due conviventi dello stesso sesso) o perché è loro precisa volontà quella di non soggiacere al vincolo matrimoniale. La figura giuridica dei contratti di convivenza è una delle novità più rilevanti della legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, la L. 20 maggio 2016 n.76nota come “legge Cirinnà”, che entrerà in vigore il prossimo 5 giugno. Su questo fronte  nasce la nuova competenza in capo ai professionisti legali che, insieme ai notai, saranno chiamati ad autenticare la sottoscrizione dell'atto (pubblico o scrittura privata), nonché le sue modifiche e la sua risoluzione
Dovranno attestare la liceità dell'accordo, in conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, nonchè ricevuto l'atto provvedere, ai fini dell'opponibilità ai terzi, a trasmetterne copia (entro i successivi 10 giorni) al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe. Con la nuova legge l’iscrizione anagrafica delle convivenze (che non è una registrazione di stato civile) assolve soltanto a funzioni di attestazione e di prova dell’inizio e della durata della convivenza. Dal contratto di convivenza nascono dei veri e propri obblighi giuridici a carico delle parti che lo hanno sottoscritto. Pertanto la violazione di taluno degli obblighi assunti con il contratto di convivenza legittima l'altra parte a rivolgersi al giudice per ottenere quanto le spetta. La durata "naturale" del contratto di convivenza coincide con la durata del rapporto di convivenza. E' logico quindi subordinare gli effetti del contratto alla permanenza del rapporto di convivenza. Ciò non toglie che vi siano alcuni accordi destinati a produrre i loro effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di convivenza: si pensi a tutti gli accordi che fissano le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza. Se nel contratto sono contenuti anche accordi di questo tipo, alla cessazione del rapporto di convivenza, il contratto continuerà a trovare applicazione proprio per disciplinare la fase di definizione dei rapporti patrimoniali e la divisione dei beni comuni. 
In questa prospettiva resta fondamentale la differenza tra contratti di convivenza” - che sono quelli con efficacia nei confronti dei terzi cui fa riferimento la nuova legge – e “contratti tra conviventi” con efficacia limitata ai rapporti tra le parti che appartengono da tempo alla prassi di regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali nella convivenza di fatto. Il contratto di convivenza «non può essere sottoposto a termine o condizione» cioè non tollera di avere una scadenza (ad esempio: «restiamo in regime di comunione dei beni per cinque anni») né di essere subordinato a eventi futuri («Tizio si obbliga a versare un contributo economico doppio alla vita familiare se venderà la propria casa»). In questi casi, è però prescritto che la condizione e il termine non infettano il contratto: esso rimane valido, mentre condizione e termine vanno considerati come non esistenti. Comunque, se la convivenza registrata cessa, qualora uno degli ex conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, il giudice stabilisce il diritto di costui di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, i quali devono essere assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. Si apre un nuovo capitolo per il diritto di famiglia, dunque, che si allarga non solo alle unioni civili ma anche a questa nuova forma di convivenza, regolata e tutelata dall’ordinamento. Le nuove prerogative degli avvocati, invece, si inseriscono nel quadro più ampio di un percorso legislativo, che colloca il professionista non più solo nelle aule dei tribunali ma che lo rende soggetto attivo nella giurisdizione forense.