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domenica 10 aprile 2016

I dolori del coniuge inerte




Ai giorni nostri la disoccupazione è un tema più che attuale. E appare interessante verificare come essa incide sull’obbligo al mantenimento dei figli nell’ipotesi di genitori separati/divorziati. E’ noto, infatti, che ai sensi e per gli effetti degli artt. 147 e 148 c.c. i genitori (nel corso dell’unione, sia matrimonio o convivenza more uxorio) siano obbligati a provvedere al mantenimento dei figli, in concorso tra loro e secondo le rispettive proprie capacità economiche. L’art. 155 c.c. prevede che tale obbligo in capo ai genitori e secondo la distribuzione del carico e la quantificazione decisa dal giudice (in difetto di accordo tra i genitori), permanga anche dopo la loro separazione/divorzio. La ratio è quella di garantire che il minore non venga pregiudicato nella sua serena crescita e formazione a causa della fase patologica attraversata dalla coppia genitoriale ma che, al contrario, le proprie normali esigenze vengano sempre e comunque soddisfatte, come avviene nella famiglia unita ex art. 148 c.c. 
La Cassazione ha perciò stabilito s che in tema di assegno di mantenimento da parte dell´altro coniuge, non è sufficiente allegare meramente uno stato di disoccupazione, dovendosi verificare, avuto riguardo a tutte le circostanze concrete del caso, la possibilità del coniuge richiedente di collocarsi o meno utilmente, ed in relazione alle proprie attitudini, nel mercato del lavoro. Se il genitore è disoccupato deve comunque essere disposto, a suo carico, l´obbligo di mantenimento in favore del figlio, che va quantificato in base alla capacità lavorativa generica (Cass. Civ. , sez. I, sentenza 27 dicembre 2011 n° 28870). Ancora, in tema di mantenimento dei figli minori, la fissazione di una somma a titolo di contributo a carico del genitore non convivente può venire correlata, non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dall´attività professionale svolta da quest´ultimo, quanto, piuttosto, ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita di un bambino. 
Ne deriva che un genitore, ancorchè sia disoccupato e non percepisca alcun reddito, non può sottrarsi all´obbligo di mantenimento dei figli, dovendosi attivare e fare tutto il possibile per garantire alla prole un idoneo e dignitoso tenore di vita. Ciò detto, la domanda sorge spontanea ma, quando invece è il coniuge affidatario, non obbligato, che richiede la revisione o modifica del contributo al mantenimento perché è lui/lei quello disoccupato? Gli inquilini del Palazzaccio, con la sentenza n. 12121 del 2 luglio 2004, confermata anche dalla recente sentenza n. 11870 del 9 giugno 2015, già precisarono che l'inattività lavorativa non è necessariamente indice di scarsa diligenza nella ricerca di un lavoro. Tuttavia laddove sia provato il rifiuto di una concreta opportunità di occupazione, in tal caso lo stato di inoperosità potrebbe essere interpretato come rifiuto o non avvertita necessità di fonti reddituali, nonostante la possibilità di reperirle, il che condurrebbe ad elidere il diritto di ricevere dal coniuge, a titolo di mantenimento, le somme che il richiedente avrebbe potuto ottenere quale retribuzione per l'attività lavorativa rifiutata o dismessa senza giusto motivo. 
Analogamente, anche successivamente, la cifra elargita dall’ex marito a titolo di assegno di mantenimento, può essere revisionata e ridimensionata se l’ex moglie non si impegna a trovare un’occupazione anche a tempo parziale, a meno che la stessa non possa dimostrare una comprovata inabilità, non scientificamente sconfessabile o difficoltà oggettive di inserimento nel mercato del lavoro che non siano dipese da un atteggiamento di inerzia nella ricerca attiva o dalla negazione di una doverosa adattabilità e fungibilità nell’articolato meccanismo di gestione delle procedure di incontro tra domanda e offerta, agevolando la costituzione del rapporto di lavoro. Non avrà diritto quindi ad alcun contributo la donna determinata ad oziare. Cade così il diffuso il pregiudizio che i procedimenti giudiziari relativi a separazione, divorzio e affidamento dei minori in Italia siano viziati dalla discriminazione di genere.





mercoledì 17 settembre 2014

Questioni di lana caprina: separazione e divorzio fai da te




"Fare questioni di questo genere, significa cavillare, esaminare con eccessiva pignoleria, insistere pedantemente su cose prive di vera importanza”.

Altra bella definizione enciclopedica: "De lana caprina (Di lana caprina)  locuzione latina utilizzata in riferimento a qualcosa di cui si parla, per evidenziare l'inanità o la superfluità del discorrerne. Il significato è quindi parlare di qualcosa di inutile, privo d'importanza o di attinenza all'argomento della discussione.

Il decreto legge in materia di Giustizia approvato più di due settimane fa dal Consiglio dei Ministri, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e, per alcune parti, è già operativo. Una di queste, prevede la semplificazione delle procedure di separazione e divorzio, grazie al ricorso a quella che è stata definita “negoziazione assistita”.

In sostanza, la coppia che decide di separarsi o divorziare consensualmente, lo potrà fare senza alcuna necessità di rivolgersi al Tribunale, dato che sarà sufficiente sottoscrivere il relativo accordo, firmato anche  dall’avvocato, e poi trasmetterlo in copia autentica, nel termine di 10 giorni, all’ufficiale delle stato civile del comune dove è stato iscritto il matrimonio, oppure “trascritto” in caso di matrimonio concordatario. Sarà, anzi, possibile rivolgersi direttamente all’ufficiale dello stato civile, anche senza l’intervento del legale.

In pratica, la nuova normativa semplifica “quello che è già abbastanza facile”, perché le procedure consensuali godono già adesso di una corsia preferenziale in quasi tutti i tribunali del Paese. Mentre, invece, non cambia nulla quando manca il completo accordo dei coniugi, rendendo così indispensabile il ricorso alla separazione o al divorzio “giudiziale”, con conseguente allungamento dei tempi.

Non cambia nulla nemmeno in relazione ai tempi necessari per richiedere il divorzio (tre anni dalla separazione); almeno fino a quando il Senato non avrà approvato (sempre che lo faccia senza modifiche) il provvedimento già passato in prima lettura alla Camera dei Deputati. Una volta approvata in via definitiva, basteranno sei mesi dalla separazione consensuale ed un anno da quella giudiziale, per ottenere il divorzio.

Va peraltro sottolineato che questa semplificazione nelle procedure, già entrata in vigore con il decreto legge pubblicato venerdì 12 settembre sulla G.U., non riguarda i casi in cui ci siano figli minori; oppure anche maggiorenni, se affetti da gravi handicap o non autosufficienti economicamente.

Infatti, il c.d. “divorzio fai da te”, facilita, semplifica, velocizza e rende certamente più economica la separazione ed il divorzio; ma solo (sic) in caso di accordo consensuale dei coniugi ed in assenza di figli minori o anche per i maggiorenni, nei casi specifici  appena citati.

Pertanto, all’entusiasmo di chi applaude a tale riforma presentandolo come un “testo rivoluzionario” “un atto di civiltà, grande segno di riforma liberale” (Cit. On. Concia), rimangono pur sempre dubbi e forti perplessità.
In primis la riduzione dei tempi di decorrenza per l’ottenimento dl divorzio non semplifica la procedura, né  la macchina del contenzioso legale che al contrario avrebbe potuto conoscere un reale cambiamento nell’unificazione della separazione e divorzio in un unico atto di certo applicabile in tutti i casi di coppie in accordo a divorziare o sprovviste di figli minori.
A conferma di ciò,  la circostanza che nel 98% dei casi ogni separazione si trasforma in divorzio sia in Italia, che a Malta, in  Irlanda del Nord e Polonia, dove la separazione legale è ancora obbligatoria e necessaria per la proposizione della domanda di divorzio.

Costituisce poi una reale problematica anche  l’attuale proposta che distingue  tra figli minorenni e maggiorenni. Tale innovazione, folle e controproducente cosi come definita dall’Avv. Alessandro Gerardi, Tesoriere della Lega Italiana del divorzio breve, costituisce presupposto di ulteriore conflitto per i genitori di minorenni che , al contrario, dovrebbero vedere semplificata, più degli altri, la procedura di divorzio al fine di accelerare quello sgancio che facilita i rapporti genitoriali nell’interesse dei minori, utilizzati strumentalizzati proprio dal vincolo che la coppia continua ad avere fino al divorzio stesso.

La società italiana, nei profondi cambiamenti socio-culturali negli ultimi quaranta anni, ormai da troppo tempo chiede un intervento rapido ed efficace del legislatore al fine di ottenere un’amministrazione della giustizia meno dispendiosa, lenta e farraginosa.