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martedì 7 febbraio 2017

Tutti cantano Sanremo



Stasera è iniziato Sanremo, come ogni anno a febbraio, va in onda il Festival della canzone italiana e tra note e melodie, sgargianti sorrisi ed aspettative, tutti noi ci sentiamo dotati di orecchio assoluto alla ricerca della canzone più bella ma anche tra autori famosi o sconosciuti alla ricerca dell’assonanza con canzoni già note o, magari, più fiduciosi convinti di riconoscere nuove soronità. Nonostante sia un periodo ricco di impegni e preparativi, i cantanti in gara guardano al futuro e svelano le date di uscita dei rispettivi lavori discografici. C’è chi sceglie i social per pubblicare l’immagine di copertina accompagnata dalla tracklist, chi aspetta il termine della kermesse per condividere ulteriori dettagli sul disco in uscita. Ognuno di questi prodotto dalle più famose etichette discografiche delle edizioni musicali, tra le altre, la SONY MUSIC ENTERTAINMENTITALY, la UNIVERSAL MUSIC ITALIA. 
Queste società sono legate agli artisti attraverso  il contratto di edizione musicale attraverso il quale l’autore cede tutti i diritti di utilizzazione della sua opera musicale, in particolare l’esecuzione, la rappresentazione, la riproduzione su dischi e nastri, la diffusione attraverso la radio e la televisione. Data la particolare natura dell’opera musicale, la stampa degli spartiti riveste un’importanza relativa, e l’interesse economico del contratto è rivolto invece alla acquisizione di tutti gli altri diritti di sfruttamento economico dell’opera. Essendo regolato da accordi, non espressamente disciplinati dalla legge sul diritto d’autore ma dai principi generali del diritto si può definire questo contratto come un contratto di cessione dei diritti di utilizzazione economica di opera musicale. Ne consegue che il contratto di edizione musicale è un contratto a carattere globale: comprende tutti i diritti di utilizzazione, oltre eventualmente anche il diritto di arrangiare il testo musicale e di adattare il testo letterario non solo traducendolo in altra lingua, ma modificandone anche il contenuto e il titolo.
Per quanto riguarda i
compensi sono in genere stabiliti nelle seguenti modalità:
a) per le somme derivanti dal diritto di pubblica esecuzione, generalmente 8/24simi al compositore della musica e 4/24simi all’autore del testo;
b) per il diritto di sfruttamento fonomeccanico, non meno del trenta per cento sulle somme totali per il compositore della musica e del quindici per cento all’autore del testo;
c) per il diritto di riproduzione a mezzo stampa, una percentuale variabile attorno al cinque per cento al compositore della musica e attorno al due virgola cinque per cento all’autore del testo letterario, da calcolarsi sul prezzo di copertina delle copie vendute. Forte è il legame tra case editrici e case discografiche ed a tal proposito è interessante ricordare la storia della Decca Records Ltd. 
Il nome Decca è derivato da un grammofono portatile chiamato "Decca Dulcephone"; il nome Decca fu coniato da Wilfred S. Samuel sostituendo l'iniziale della parola "Mecca" con l'iniziale del logo dell'azienda, "Dulcet", o con quello del grammofono "Dulcephone". Con la pubblicazione di numerose incisioni sia di musica classica che di musica leggera, in pochi anni la Decca Records Ltd. divenne la seconda casa discografica mondiale, autonominandosi "The Supreme Record Company".Il maggior successo di tutti i tempi della Decca americana è stato White Christmas, inciso da Bing Crosby una prima volta nel 1940, successivamente nel 1947. Nel 1946 la casa inglese cominciò ad utilizzare una nuova tecnica di registrazione sonora, denominata full frequency range recording e contraddistinta sulle etichette dei dischi dalla sigla ffrr. Fino alla fine del conflitto mondiale, questa tecnica era stata usata solo a scopi bellici in quanto in grado di riconoscere l'avvicinarsi dei sommergibili individuandone le vibrazioni del motore. È rimasto celebre il rifiuto di un funzionario della Decca di mettere sotto contratto nel 1962 gli allora sconosciuti Beatles. Tra i numerosi artisti che incisero per la Decca si ricordano The Rolling Stones, su consiglio dello stesso Harrison, Ten YearsAfter, Cat Stevens, i Them capitanati da Van Morrison, John Mayall, The SmallFaces, The Moody Blues, i Genesis e The Animals. A proposito dei Rolling Stones e del loro stralunato rapporto con il manager Allen Klein ci “diverte” raccontarvi la storia di “Bittersweet Symphony”. E' il  1997, quando i “The Verve” negoziano la licenza d’uso di un campione di cinque note, estratto da una cover orchestrale di uno dei successi minori dei Rolling Stones, “The Last Time”, concesso senza problemi dalla Decca Records. Il fatto che la cover somigliasse  alla sigla di FUTURAMA poi, non destò alcun allarme e anzi, forti della legittimazione da parte dell’ex-manager degli Stones e della Decca, i Verve, rinchiusi in studio, invece di quel pugno di secondi con cinque note ne usarono qualcuno in più. 
Il risultato fu “Bittersweet Symphony” che, una volta lanciata, divenne immediatamente un successo, e non passò molto tempo prima che il telefono di Ashcroft e soci suonasse.  Dall’altro capo del filo c’era un ex manager dei Rolling Stones, Allen Klein, che possedeva il copyright su tutte le canzoni pre–1970 della band, e citava in giudizio i “The Verve” per violazione dei diritti d’autore in quanto il loro pezzo era un evidente plagio della canzone dei Rolling Stones intitolato “The Last Time”.  I Verve provarono a opporsi sostenendo di detenere i diritti sulla cover campionata, ma il giudice riconobbe il plagio della canzone originale, attribuendone la paternità a “Jagger/Richard”.
Il gruppo provò a cercare un accordo con gli Stones i quali, prima accettarono il 50 % dei possibili proventi derivanti dal brano e, successivamente, quando si resero conto dell’inaspettato successo della canzone, pretesero il 100%, minacciando di far ritirare il singolo dai negozi.
 

Quando “Bittersweet Symphony” fu nominata per un Grammy nella categoria Best Songwriters, la candidatura andò a “Mick Jagger e Keith Richards.” Ashcroft cercò di scherzarci sopra dicendo che “Bittersweet Symphony” era «la miglior canzone che Jagger e Richards avevano mai scritto in vent’anni.» Ma la verità era che la vicenda gli causò un bell’esaurimento nervoso che alla fine lo portò a lasciare il gruppo.
T
uttora, quando Ashcroft la suona dal vivo, usa dedicarla a Jagger e Richards, sostenendo di essere felice di pagare i loro conti…in medicine.



domenica 14 febbraio 2016

Nota breve sul plagio musicale




La polemica montata dopo l'intervento di Vittorio Cosma, che in questa edizione del Dopofestival, ha avuto l'ingrato compito di analizzare i brani, dal punto di vista strettamente musicale, e individuarne eventuali somiglianze con altre canzoni alla sola ricerca di assonanze melodiche, ha riportato alla ribalta la normativa sul plagio, dopo aver segnalato la somiglianza tra il brano di Dolcenera “Ora o mai più” e “You make me feel like a natural woman” di Aretha Franklin. Per onore di cronaca ci piace segnalare che sono 69 i titoli identici a quello della canzone interpretata da Dolcenera: il precedente che ha fatto storia nella musica pop è targato Mina, 1965. Per la legge n. 633 del 22 aprile 1941 sul diritto d’autore il plagio consiste nella riproduzione dell’opera altrui spacciandola per propria, sia essa già pubblicata o inedita. Non vi è invece plagio se l’opera viene riprodotta per uso privato. Quando, invece, una persona si appropria di elementi di un'opera per introdurli in un'altra opera sotto il proprio nome, ci troviamo in presenza di una contraffazione, ossia di una riproduzione abusiva di un'opera altrui e non di un’attribuzione di paternità. Tuttavia, per legge, l'opera simile all'originale, per essere realmente definita plagio, deve suscitare nell'ascoltatore le stesse emozioni dell'originale. Liberiamo il campo dalle false convinzioni: non esiste un criterio prestabilito per stabilire quando si commette plagio. A tutt'oggi, la giurisprudenza è incerta se siano sufficienti 4 o 8 battute per definire un plagio. Così, non trovano corrispondenza nella legge, le voci secondo cui il plagio scatterebbe solo dopo aver copiato almeno sette note consecutive o otto battute.Un tale rigido sistema  sarebbe fallace perché non terrebbe in considerazione l’enorme varietà dei brani: sette note consecutive sono una parte insignificante di una composizione orchestrale, ma possono rappresentare l’intero cuore di un brano semplice di musica pop. Proprio per tale ragione, la giurisprudenza non ha dettato criteri “matematici” per potersi parlare di plagio, ma ritiene che si debba valutare caso per caso, dando particolare rilievo alla linea melodica. Spesso, infatti, per classificare come plagio una canzone, basta che nell'ascoltatore essa susciti il riconoscimento di un pezzo antecedente al brano ipotizzato essere un plagio. A nulla, peraltro, rilevando l’originalità del brano stesso. In una nota sentenza, la Corte di Appello di Milano (sent. 24.11.1999), ha infatti stabilito che non è tutelabile dal diritto d’autore il brano di musica leggera che, per la semplicità della melodia, simile a numerosi precedenti, sia carente del requisito dell’originalità. Soprattutto però è importante saper riconoscere il "plagio" da una "somiglianza" oppure da una "cover". Il plagio di una composizione musicale può riguardare anche una parte della composizione stessa. Anche un motivo non del tutto banale presente nel ritornello di una canzone può formare oggetto di plagio quando sia stato ripreso con particolare insistenza e risalto.
Accadde nel 1960 per la canzone “Romantica”, scritta e interpretata da Renato Rascel. “Ci fu una denuncia per plagio: il dottor Nicola Festa, veterinario e musicista per diletto, accusò Renato di aver copiato “Romantica” da un suo brano intitolato “Angiulella” – racconta Giuditta Saltarini, vedova di Rascel – In tribunale il querelante si presentò con Ildebrando Pizzetti, il padre riformatore del melodramma italiano, in veste di perito di parte. Renato volle rispondere con un colpo di teatro altrettanto clamoroso e schierò a difesa della sua composizione quell’autentica superstar del neoclassicismo che era e sarà sempre considerato Igor Stravinsky”. Il quale fu evidentemente più convincente del collega visto che il giudice riabilitò totalmente “Romantica” mandando assolto il popolare artista romano. Con riferimento alla musica leggera, si ritiene che essa sia priva di complessità e originalità perché normalmente composta da strofe e ritornelli; l’armonia è di ambito tonale non elevato; la timbrica fa ricorso a strumenti elettronici con effetti di colore; la melodia è di facile intonazione e memorizzazione. Dunque, nella musica leggera vi sono semplici e ricorrenti elementi che consentono ampi margini di analogie solo occasionali. Per cui, nel giudicare un’ipotesi di plagio nel campo della musica “non impegnata”, si deve essere più tolleranti, fermo restando che si possono accertare elementi di originalità e di difformità anche in un contesto ricco di banalità e di interferenze. In altre parole, quanto minore è l’originalità dell’opera, tanto più rigorosi devono essere i criteri di accertamento. Per verificare se sussistano plagi nella musica leggera, si guarda più al ritornello che alla strofa.  La  sentenza  n. 9854 del 15 giugno 2012 della cassazione ha individuato alcune condizioni affinché il ritornello di una composizione possa definirsi un plagio: 
1. i due ritornelli devono presentare una successione di note del tutto somigliante
2. il nucleo centrale delle due composizioni deve ruotare intorno alla stessa successione di note del ritornello, cioè quella combinazione di note maggiormente idonea a contraddistinguere il brano e ad imprimersi nella memoria degli ascoltatori; 
3. la sola diversità ritmica dei due ritornelli non è sufficiente a conferire al ritornello il carattere della creatività, devono infatti concorrere anche i due elementi della melodia e della armonia.
Ma cosa ne sa un giudice di musica pop, vi potreste chiedere. Il giudice provvede alla nomina di un CTU (consulente tecnico d'ufficio) per redigere una perizia giurata, ed al quale viene proposto l'ascolto dei due brani (l'originale e l'eventuale plagio). Se il giudice riconosce le ragioni dell'attore (colui che intraprende l'azione legale), l'autore del plagio rischia il ritiro del pezzo dal mercato con sanzioni salatissime, oppure che gli introiti vengano devoluti all'autore originale Spesso anche gli stessi CTU sono tutt’altro che univoci nelle loro indagini.
Per esempio, nel citato caso giudiziario tra Al Bano Carrisi e Michael Jackson, prima di arrivare a un giudizio di colpevolezza nei confronti di quest’ultimo, ci sono volute tre diverse perizie e l’accertamento che ben 37 note sulle 40 che componevano la melodia dei due brani erano identiche. Tra i plagi più evidenti della storia della musica, ricordo come “I giardini di marzo” di Battisti abbia qualcosa in comune a Mr. Soul” di Neil Young; “La donna chevorrei” di Gigi D’Alessio sia simile in modo imbarazzante a “Babe, I’m gonnaleave you” dei Led Zeppelin; o ancora come Ballo Ballo” di Raffaella Carrà sia strettamente imparentata con “Eleanor Rigby” dei Beatles. Un evidentissimo caso di plagio è quello che ha visto Eric Carmen, autore della pluricoverizzata “All By My Self” (nota la versione di Mariah Carey), trascrivere le note del compositore russo Rachmaninov nel suo “Concerto per piano e orchestra op. 2”, terzo movimento (Adagio sostenuto). In verità, non si tratta di vero e proprio plagio, posto che l’opera di Rachmaninov è diventata ormai di pubblico dominio e non è più protetta dal diritto d’autore. Era il 1996 quando il cantautore Francesco De Gregori, nel suo album “Prendere e lasciare”, inserì la canzone “Prendi questa mano, zingara”, il cui titolo e il primo verso riprendevano una nota canzone (“Zingara”) scritta nel 1969 da Enrico Riccardi e Luigi Albertelli. Nonostante ci fosse una parola differente (il testo originale recita «Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che destino avrò» mentre De Gregori cantava «Prendi questa mano, zingara, dimmi pure che futuro avrò»), gli autori ritenevano che la loro canzone fosse stata plagiata. Il giudice di prime cure inibì la diffusione del brano. Il risultato si ribaltò in sede d’appello poichè la corte territoriale considerata la totale diversità del resto del testo della canzone, ritenne l’incipit una semplice citazione.
Misero fine alla discussione lasciando libera la musica i i giudici della Suprema Corte che con la sentenza n. 3340/2015 hanno affermato che «In tema di plagio di un’opera musicale un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in un’altra non costituisce di per sè plagio, dovendosi accertare da parte del giudice di merito, se il frammento innestato nel nuovo testo poetico-letterario abbia o meno conservato una identità di significato poetico-letterario ovvero abbia evidenziato, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto a quello che ha avuto nell’opera anteriore». Sappiamo benissimo che abbiamo sette note nel pentagramma e considerandole da sole, e cioè senza le loro variazioni, è difficile non risultare ripetitivi o scarsi nel lavorare con la fantasia, perchè non bisogna dimenticare che la musica si basa anche sulla matematica e che il numero di combinazioni di queste sette note non è infinito, per questo prima di lanciare l’allarme di plagio è bene tener d'occhio il tema, l’atmosfera e l'elaborazione di un brano.