mercoledì 1 ottobre 2014

Danny Crane!!



Giro sul web come giro per la mia città in bicicletta, di fretta ma curiosa ed è così che trovo pagine e pagine di consigli per scegliere un buon avvocato per la vostra causa. Sull’argomento ne scrivono giudici, clienti, ex clienti ed opinionisti: gli avvocati, stranamente, tacciono; meglio non risultare antipatici o supponenti. Secondo i più, giudici esclusi, in giro è pieno di bravi avvocati, tranne poi fermarsi al bar e sparlare della categoria,  ma quali sono le migliori caratteristiche che i malcapitati dovrebbero avere per guadagnarsi il titolo vero e proprio di “Ottimo Avvocato”? La prima dote che deve avere, secondo il web, un buon avvocato per farsi strada è la conoscenza di tutte le leggi o di una buona parte di esse, perché questo gli permetterà di capire subito il problema che gli viene posto dal cliente. Un buon avvocato deve avere una buona dialettica per esporre  la sua tesi in maniera convincente e persuasiva, tanto da farla apparire l’unica verità al cospetto degli altri. Tra i cinque talenti biblici deve possedere l’intuito, utilissimo in una causa per prevenire le mosse dell’avversario e per capire, sempre, se si è di fronte alla menzogna oppure alla più scontata delle verità. Un buon avvocato deve essere sempre disponibile e rispettare i clienti, ascoltarli e indicargli la giusta strada da seguire. In pratica dire la cosa giusta al momento giusto e quello che il cliente si vuole sentir dire. Questo piccolo rotocalco non tiene conto della nostra arguzia, del nostro coraggio, della nostra professionalita’, della nostra compassione né della nostra passione
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la nostra professione l’essere esercenti di un pubblico servizio. Innanzitutto il lavoro di un avvocato comporta una responsabilità d’immagine di tipo etico e morale che si traduce nella sua professionalità, intesa come preparazione formativa ma allo stesso tempo nella sua capacità d’improvvisare; una caratteristica un po’ teatrale. Non è la” tuttologia” un po’ remissiva compiacente ed un po’ sudicia sopradescritta che caratterizza la nostra professione. No! Più di tutte è la passione, sì la passione insieme alla dedizione ed alla costanza. La passione quella descritta da La Rochefoucauld: l'unico oratore che spesso persuade. Inoltre, non è l’intuito che sa risponderci e predirci se il cliente dice la verità, non è chiromanzia la nostra professione. Cerchiamo di  affermare una verità processuale non assoluta. L’avvocato è  un partigiano. Chi vive veramente la professione di avvocato non può non parteggiare. L'indifferenza è la fatalità; su cui non si può contare che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti. Serve l’abilità di vedere  chiaro nelle cose, di prospettare soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. L’importante è che queste soluzioni siano animate da una luce morale;
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti un po’ come, ugualmente ma diversamente, affermava Antonio Gramsci

mercoledì 24 settembre 2014

Quanti anni hai, stasera?!



Le recenti riforme stanno agitando le burrascose acque del processo penale. La richiesta sempre più pressante e motivata da parte dell’opinione pubblica  ha portato all’introduzione della legge n. 10 del 2014, sulle misure urgenti per l’adeguamento del sistema sanzionatorio alle indicazioni della Corte europea dei diritti umani tracciate nella sentenza pilota Torreggiani contro Italia.
Sulla scia persistente di questa ondata che richiede certezza della pena, inasprimento delle pene per la maggior sicurezza di tutti, non si scordi infatti l’acceso dibattito sull’introduzione dell’ omicidio stradale, su questa scia dicevo si incardina una decisione della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, la sentenza 13 giugno 2014, n. 25443,dalla quale emerge che in caso di somministrazione di alcolici a un minorenne anche il barista risponde della contravvenzione ex art. 689 c.p.

Il caso vedeva un barista somministrare alcolici ad un infrasedicenne all'interno di uno stabilimento balneare. Secondo la difesa dell'imputato, il reato di cui all'art. 689 c.p. doveva comportare la responsabilità solo dell'esercente, mentre il barista era un semplice dipendente. Tale soluzione deriverebbe dalla previsione della pena accessoria della sospensione dell'esercizio, la quale non potrebbe ricadere su un soggetto diverso dal titolare. Di diversa opinione gli ermellini, secondo i quali, nella previsione normativa de qua "non rientra solo il titolare della licenza di esercizio di osteria od altro pubblico spaccio, ma anche chi gestisce per lui, legittimamente o abusivamente. Lo stesso dipendente può essere chiamato a rispondere dell'illecito, in concorso col titolare della licenza ovvero, se abbia agito di sua esclusiva iniziativa, come rappresentante di fatto dell'esercente, acquistando la qualità di costui" .

Preme ricordare le principali norme di riferimento e comportamento cui è buona norma attenersi.

Vendita per il consumo sul posto
La somministrazione di bevande alcoliche può essere effettuata dagli esercizi in possesso delle seguenti autorizzazioni: autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande prevista dalla legge statale 25 agosto 1991, n. 287 o dalle specifiche leggi regionali sulla somministrazione (permanenti, stagionali o temporanee); autorizzazione per attività ricettive (alberghi, campeggi, ecc.) prevista dalla legge statale 29 marzo 2001 n. 135 e dalle specifiche leggi regionali limitatamente alle persone alloggiate, ai loro ospiti ed a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di manifestazioni e convegni organizzati; autorizzazione per l’esercizio di attività agrituristica prevista dalla legge statale 29 febbraio 2006, n. 96 e dalle specifiche leggi regionali; cantine ed enoteche  presenti sulle strade del vino limitatamente alla presentazione, degustazione e mescita  di prodotti vitivinicoli (art. 1 legge 27 luglio 1999, n. 268). 

Cessione per  asporto
La vendita di bevande alcoliche può essere effettuata dagli esercizi in possesso delle seguenti autorizzazioni: autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande prevista dalla legge statale 25 agosto 1991, n. 287 o dalle specifiche leggi regionali sulla somministrazione (permanenti, stagionali o temporanee vedasi); autorizzazione per la vendita al minuto previste dagli articoli 7, 8 e 9 (esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita) del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114; vendite effettuate da produttori agricoli di generi di propria prevalente produzione  (decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228); vendite di alcolici di propria produzione  (es. infusi e distillati) effettuata da artigiani nei locali dell’azienda (legge quadro sull’artigianato); dichiarazione del produttore di vino prevista dall’articolo 191 del regolamento di esecuzione del TULPS. Parimenti deve ritenersi vietata la vendita e la somministrazione con distributori automatici di alcolici.
 

Divieti e limitazioni
il già richiamato art. 689 del codice penale sulla somministrazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente vieta la vendita per asporto e la somministrazione di  bevande alcoliche a minori di anni 16; persona che appaia affetta da malattia di mente; persona che si trovi in condizioni di manifesta deficienza psichica  a causa di altra infermità. Il ministero dell’Interno, con una recente nota, ha chiarito, nel solco della dottrina, che il divieto non riguarda la sola somministrazione, ma anche la vendita per asporto e pertanto  le bevande alcoliche non possono essere consegnate nemmeno in confezione a chi ha meno di 16 anni. In ordine all’accertamento dell’età del cliente la Corte di Cassazione con una recente sentenza, ha ritenuto che in caso di incertezza sull’età del ragazzo sia necessario richiedere un documento, non essendo sufficiente basarsi sulle dichiarazioni dell’interessato e pertanto commette il reato previsto dal medesimo articolo l’esercente che serve o vende alcolici ad un minore di anni 16 anche se questi, o chi lo accompagna o ne ha  la patria potestà,  dichiari di avere una età superiore. La condanna importa, nel caso di pubblici esercizi, la perdita dei requisiti di onorabilità (art. 92 TULPS) in capo al reo alla quale segue la revoca delle licenza se trattasi del titolare, nonché la sospensione dell’esercizio fino ad un massimo di due anni anche se il reato è commesso da un dipendente, mentre  se trattasi di cessioni effettuate dalle altre categorie commerciali la pena accessoria è la sospensione dell’esercizio  fino a due anni. Trattandosi di responsabilità personale  per configurarsi il reato  è necessario che sia l’esercente a consegnare la bevanda alcolica al minore  non ritenendosi che il servire una bottiglia di vino ad un tavolo occupato da maggiorenni e minorenni possa configurare una fattispecie delittuosa.  Diverso il caso in cui al medesimo tavolo  si ordini un numero di consumazioni alcoliche pari a quello delle persone presenti. In tal caso scatta il divieto di servire chi non dimostra (o con l’aspetto o con i documenti) di avere più di 16 anni.


Somministrazione di alcol a persone in stato di manifesta ubriachezza
L’articolo 691 del Codice pensale punisce chiunque somministra (o comunque fornisce) bevande alcoliche  ad una persona in stato di manifesta ubriachezza.  Se il colpevole è un esercente la condanna comporta la sospensione dell’esercizio fino a 2 anni, la perdita dei requisiti di onorabilità alla quale segue la revoca della licenza. Per aversi la ubriachezza manifesta, il comportamento in pubblico del soggetto attivo deve denunciare inequivocabilmente l’ubriachezza in modo che questa sia percepita da chiunque, con sintomi del tipo: alito fortemente alcolico, andatura barcollante, pronuncia incerta o balbettante. Da tenere presente che l’articolo 187 del regolamento di esecuzione del TULPS , che impone agli esercenti di non rifiutare le proprie prestazioni a chi si offra di pagarne il prezzo, prevede in modo esplicito che tale obbligo non vale per i casi disciplinati dagli illustrati articoli del Codice Penale.







venerdì 19 settembre 2014

Filo di Scozia



La Scozia ha deciso di restare nel Regno Unito e milioni di inglesi che temevano la dissoluzione della Gran Bretagna hanno tirato un enorme sospiro di sollievo. I “No” hanno vinto il referendum sull'indipendenza con il 55% e il “Sì” di conseguenza si è fermato al 45%: dieci punti percentuali di distacco, 2.001.926 voti contro 1.617.989. Poco meno di quattrocentomila elettori - la differenza tra i due schieramenti - hanno stabilito che l'Inghilterra rimarrà una nazione unita e senza “mutilazioni”. A Glasgow, la città più popolosa, i separatisti hanno vinto. Ma Edimburgo, le Highlands, le Isole Ebridi, il Galloway, l'Abeerdeenshire - la Scozia rurale, silenziosa e vagamente “magica” che vive tra la brughiera e il Mare del Nord - ha pensato che fosse più saggio mantenere il matrimonio plurisecolare con Londra.
Il referendum sull’indipendenza ha generato un acceso dibattito anche su facebook, twitter, in Italia, però soltanto a poche ore dal voto, 20 mila i messaggi pubblicati.
Tra coloro che hanno preso posizione, la grande maggioranza (60,7%) esprime un atteggiamento simpatetico per il referendum. Le ragioni dietro a questo sentimento positivo sono le più variegate: c’è chi loda la devolution, chi sottolinea la libertà di autodeterminazione, e chi mostra semplicemente un forte apprezzamento per il popolo scozzese. Guardano con favore al referendum anche quegli italiani un po’ euro-scettici secondo cui la vittoria del “Sì” sarebbe una sconfitta per l’Europa dei burocrati, mentre l’idea di una Scozia indipendente piace anche a sinistra, a coloro che la immaginano come una paladina nella difesa del welfare. Un po’ a sorpresa sembra proprio che la possibile indipendenza della Scozia sia riuscita, per una volta, a unire gli italiani, dalle Alpi alla Sicilia. Il pensiero corre veloce a quello che sono stati i più importanti passaggi storici del nostro paese, a que referendum istituzionale che nel 1946 ha sancito la nascita della Repubblica Italiana. A seguito dei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno, indetto per determinare la forma di stato dopo il termine della seconda guerra mondiale.
Il 10 giugno 1946 la Corte suprema di cassazione proclamò i risultati del referendum, mentre il 18 giugno integrò i dati delle sezioni mancanti ed emise il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e i reclami concernenti le operazioni referendarie
·         Repubblica: 12 717 923 voti (54,3%)
·         Monarchia: 10 719 284 voti (45,7%)
·         Nulli: 1 498 136 voti
La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato repubblicano. L'ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946 Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani (comprese le donne, che votavano per la prima volta in una consultazione politica nazionale) elessero anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale, risultarono votanti: 12.998.131 donne e 11.949.056 uomini. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell'Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale ed un periodo della storia nazionale assai ricco di eventi. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea Costituente elesse a Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, De Nicola assunse per primo le funzioni di Presidente della Repubblica Italiana il 1º gennaio 1948.
Dal referendum istituzionale, l’excusrus ai referendum abrogativi che hanno cambiato il passo del nostro paese è d’obbligo e quindi di seguito un breve riepilogo storico:

DIVORZIO - Poco dopo l'approvazione (1970) della legge di attuazione del referendum, comincia la raccolta delle firme per abrogare la legge sul divorzio. Per il primo scioglimento anticipato di ambedue le Camere, il voto slitta al 12 maggio 1974. Vincono i "no", con il 59,3 per cento.

I PRIMI REFERENDUM RADICALI - L'11 giugno 1978 si vota sulla legge Reale (ordine pubblico) e sul finanziamento pubblico dei partiti. Vincono ancora i "no". La Consulta ne aveva respinti altri quattro e due erano saltati per la modifica delle leggi.

PRO E CONTRO L'ABORTO - Il 17 maggio 1981 i referendum sono cinque: due sull'aborto (uno radicale per l'allargamento, l'altro, del Movimento per la vita, per la restrizione). Gli altri tre vogliono abrogare la legge Cossiga sull'ordine pubblico, l'ergastolo e il porto d'armi. Ancora una volta vittoria dei "no".

IL PRIMO REFERENDUM ECONOMICO - Il 9 giugno 1985, si vota sulla proposta di abrogare il taglio dei punti di scala mobile, deciso dal governo Craxi. Le firme sono raccolte dal Pci. Anche in questo caso la vittoria andrà ai "no", con il 54,3 per cento.

NUCLEARE - L'8 novembre 1987 si vota per cinque referendum, tre dei quali sul nucleare (Cernobyl è del 1986). Gli altri due su responsabilità civile dei giudici e commissione inquirente. Per la prima volta vincono i "sì", in tutti e 5 i casi.

FALLIMENTO PER I REFERENDUM AMBIENTALISTI - Il 3 giugno 1990, si vota su tre referendum di iniziativa ecologista, due sulla caccia e uno sui pesticidi. I "sì" sono più del 90%, ma il numero dei votanti non raggiunge il 50%, il quorum necessario affinché la consultazione sia valida.

IL PRIMO REFERENDUM SU LEGGI ELETTORALI - Il 9 giugno 1991 si vota per abrogare le preferenze elettorali. Respinte dalla Consulta altre due richieste (sistema elettorale di Senato e Comuni), presentate da Segni. I "sì" sono il 95,6%, i votanti il 62,2%, fallisce quindi l'invito di Craxi ad «andare al mare».

"PICCONATE" AL SISTEMA ELETTORALE - Il 18 aprile 1993 si vota su otto referendum. Gli elettori rispondono con otto "sì". Il voto più importante è quello che modifica in senso maggioritario la legge elettorale del Senato. Aboliti tre ministeri (Agricoltura, Turismo e Partecipazioni statali), il finanziamento pubblico dei partiti, le nomine politiche nelle Casse di Risparmio.

I REFERENDUM SULLA TV - L'11 giugno 1995 si vota per 12 referendum. Il "no" vince sui tre quesiti più importanti che riguardano la legge Mammì, e sulla richiesta di modificare il sistema elettorale per i comuni.
STAVOLTA TUTTI AL MARE - Il 15 giugno 1997 niente quorum per i sette referendum superstiti (dei 30 iniziali). Si vota su Ordine dei giornalisti, "golden share", carriera e incarichi extragiudiziari dei magistrati e altri argomenti minori.

FALLITO PER POCO IL REFERENDUM SUL PROPORZIONALE - Il 18 aprile 1999 il referendum per l'abolizione della quota proporzionale nel sistema elettorale per la Camera fallisce per pochissimo. Votano solo il 49,6%. Tra i votanti il "sì" ottiene il 91,5%. Errore di previsione dell'Abacus, le cui prime proiezioni danno per raggiunto il quorum.

NEL 2000 QUORUM LONTANISSIMO: si vota per sette referendum abrogativi. Nessuno di loro raggiunge il quorum. La percentuale dei votanti oscilla tra il 31,9 e il 32,5%. Il "sì" ha comunque la maggioranza nei referendum per l'elezione del Csm, gli incarichi extragiudiziali dei magistrati, la separazione delle carriere, i rimborsi elettorali, le trattenute sindacali e l'abolizione della quota proporzionale. Sono invece di più i "no" nel referendum sui licenziamenti.

QUORUM PER TUTTI I QUESITI: il 12 e 13 giugno 2011 si vota per quattro quesiti referendari. Tutti hanno raggiunto il quorum. Secondo il dato definitivo diffuso dal Viminale, al totale dei seggi scrutinati negli 8.092 Comuni italiani, l'affluenza alle urne è stata circa del 57%. Il quesito che ha incontrato maggior partecipazione è il secondo, quello sulla "determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito abrogazione parziale di norma", per cui ha votato il 57,03% degli elettori. Dato sceso al 54,8% considerando i voti degli italiani all'estero.

mercoledì 17 settembre 2014

Questioni di lana caprina: separazione e divorzio fai da te




"Fare questioni di questo genere, significa cavillare, esaminare con eccessiva pignoleria, insistere pedantemente su cose prive di vera importanza”.

Altra bella definizione enciclopedica: "De lana caprina (Di lana caprina)  locuzione latina utilizzata in riferimento a qualcosa di cui si parla, per evidenziare l'inanità o la superfluità del discorrerne. Il significato è quindi parlare di qualcosa di inutile, privo d'importanza o di attinenza all'argomento della discussione.

Il decreto legge in materia di Giustizia approvato più di due settimane fa dal Consiglio dei Ministri, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e, per alcune parti, è già operativo. Una di queste, prevede la semplificazione delle procedure di separazione e divorzio, grazie al ricorso a quella che è stata definita “negoziazione assistita”.

In sostanza, la coppia che decide di separarsi o divorziare consensualmente, lo potrà fare senza alcuna necessità di rivolgersi al Tribunale, dato che sarà sufficiente sottoscrivere il relativo accordo, firmato anche  dall’avvocato, e poi trasmetterlo in copia autentica, nel termine di 10 giorni, all’ufficiale delle stato civile del comune dove è stato iscritto il matrimonio, oppure “trascritto” in caso di matrimonio concordatario. Sarà, anzi, possibile rivolgersi direttamente all’ufficiale dello stato civile, anche senza l’intervento del legale.

In pratica, la nuova normativa semplifica “quello che è già abbastanza facile”, perché le procedure consensuali godono già adesso di una corsia preferenziale in quasi tutti i tribunali del Paese. Mentre, invece, non cambia nulla quando manca il completo accordo dei coniugi, rendendo così indispensabile il ricorso alla separazione o al divorzio “giudiziale”, con conseguente allungamento dei tempi.

Non cambia nulla nemmeno in relazione ai tempi necessari per richiedere il divorzio (tre anni dalla separazione); almeno fino a quando il Senato non avrà approvato (sempre che lo faccia senza modifiche) il provvedimento già passato in prima lettura alla Camera dei Deputati. Una volta approvata in via definitiva, basteranno sei mesi dalla separazione consensuale ed un anno da quella giudiziale, per ottenere il divorzio.

Va peraltro sottolineato che questa semplificazione nelle procedure, già entrata in vigore con il decreto legge pubblicato venerdì 12 settembre sulla G.U., non riguarda i casi in cui ci siano figli minori; oppure anche maggiorenni, se affetti da gravi handicap o non autosufficienti economicamente.

Infatti, il c.d. “divorzio fai da te”, facilita, semplifica, velocizza e rende certamente più economica la separazione ed il divorzio; ma solo (sic) in caso di accordo consensuale dei coniugi ed in assenza di figli minori o anche per i maggiorenni, nei casi specifici  appena citati.

Pertanto, all’entusiasmo di chi applaude a tale riforma presentandolo come un “testo rivoluzionario” “un atto di civiltà, grande segno di riforma liberale” (Cit. On. Concia), rimangono pur sempre dubbi e forti perplessità.
In primis la riduzione dei tempi di decorrenza per l’ottenimento dl divorzio non semplifica la procedura, né  la macchina del contenzioso legale che al contrario avrebbe potuto conoscere un reale cambiamento nell’unificazione della separazione e divorzio in un unico atto di certo applicabile in tutti i casi di coppie in accordo a divorziare o sprovviste di figli minori.
A conferma di ciò,  la circostanza che nel 98% dei casi ogni separazione si trasforma in divorzio sia in Italia, che a Malta, in  Irlanda del Nord e Polonia, dove la separazione legale è ancora obbligatoria e necessaria per la proposizione della domanda di divorzio.

Costituisce poi una reale problematica anche  l’attuale proposta che distingue  tra figli minorenni e maggiorenni. Tale innovazione, folle e controproducente cosi come definita dall’Avv. Alessandro Gerardi, Tesoriere della Lega Italiana del divorzio breve, costituisce presupposto di ulteriore conflitto per i genitori di minorenni che , al contrario, dovrebbero vedere semplificata, più degli altri, la procedura di divorzio al fine di accelerare quello sgancio che facilita i rapporti genitoriali nell’interesse dei minori, utilizzati strumentalizzati proprio dal vincolo che la coppia continua ad avere fino al divorzio stesso.

La società italiana, nei profondi cambiamenti socio-culturali negli ultimi quaranta anni, ormai da troppo tempo chiede un intervento rapido ed efficace del legislatore al fine di ottenere un’amministrazione della giustizia meno dispendiosa, lenta e farraginosa.