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mercoledì 1 febbraio 2017

L'assassino più innocente del mondo


Così Bill Murray definì O. J. Simpson. Infatti, nessuno dubitava, in quell’autunno del 1995, che O. J. Simspon sarebbe stato giudicato colpevole dell’assassinio dell’ex moglie Nicole Brown Simpson e del suo amico Ronald Goldman. Come finì quella storia lo ricorda chiunque: l’ex star del football, poi riciclatosi nelle commedie di Leslie Nielsen, dopo una fuga ad alto tasso spettacolare (seguita in tv da 95 milioni di spettatori), che chiunque interpretò come un’ammissione di colpa, fu arrestato. Seguì un processo, il primo della lunga serie dei processi ad uso e consumo dei media. O. J. Simpson, che l’ex moglie aveva denunciato per violenze, fu dichiarato non colpevole. Il successo fu dovuto al dream team di avvocati e a un senso di colpa collettivo nell’America bianca che non aveva ancora smaltito la vergogna per lo sconvolgente pestaggio di Rodney King e la follia che ne seguì. Tutti ricordiamo il momento in cui O.J.Simpson mostra alla giuria come i guanti non calzino le sue mani e come sul luogo del delitto fossero presenti varie tracce del DNA del giocatore di football. 
In questi giorni alla tv è andata in onda la prima puntata di una serie televisiva denominata American Crime Story che in dieci puntate circa racconterà il processo. Noi di quel momento ricordiamo entusiasti l’arringa conclusiva dello straordinario avvocato Johnny Cochran che così concluse: “if it doesn’t fit, you must acquit” (se non calzano, dovete assolverlo!). Oggi ventanni dopo, la domanda che viene spontaneo porsi è quella relativa alla prova scientifica, da considerarsi sempre la prova delle prove. E’ indubbio che la prova scientifica – e massimamente quella inerente l’accertamento ed il confronto del DNA di un sospettato con quello estratto da una traccia biologica – rappresenta oggi una delle maggiori e più efficaci risorse per l’accertamento processuale della responsabilità penale dell’imputato. L’accertamento del DNA  è, invero, al centro di tanto attuali quanto tristi casi di cronaca (da quello di Yara Gambirasio, al delitto di Perugia a quello di Garlasco solo per citare i più famosi) ancora irrisolti e, più in generale, da esso dipendono spesso gli esiti dei processi indiziari. Come è noto, l’individuazione di un soggetto è certa pressoché al 100% (nemmeno i gemelli omozigoti hanno lo stesso DNA) sebbene il DNA umano sia uguale al 99% per tutti gli individui e la percentuale di differenza sia dello 0,1% per ognuno di noi. Oggi la corrispondenza (o meno) di un profilo di DNA rispetto ad un modello di confronto è controllata dagli esperti meccanicamente (non più visivamente dall’addetto) e si riferisce al controllo di 13/15 marcatori che permettono – come detto – una certezza dell’individuazione (positiva o negativa che sia) pari 99,9% periodico. Si tratta di una traccia certa che si rivela determinante in oltre il 35% dei casi di omicidio ed è un classico caso del principio diLocard secondo il quale l’agente commettendo il reato lascia sempre sulla scena del crimine qualcosa di sé e porta su di sé sempre qualcosa della scena o della vittima. 
E quindi? Come è stato possibile questo esito favorevole nonostante le concordanti tracce ritrovate che colocavano Simpson sul luogo del cremine? Nel processo penale un punto saliente è costituito dal momento dell'acqusizione della prova scientifica, ovvero la considerazione dell'impatto, determinato dall'attività investigativa svolta su basi scientifiche e tecnologiche. Il problema posto dall'acquisizione della prova scientifica consiste nella necessità di integrazione della stessa con il materiale già a disposizione del giudice. Proviamo a concretizzare quanto detto fin'ora. Il processo a O. J. Simpson costituisce il leading case americano sul tema. Nel 1995, dopo 253 giorni di processo e l'escussione di 126 testi, la giuria dichiara il celebre giocatore di football Simpson non colpevole dell'omicidio della moglie Nicole e dell'amante di lei Ronald Goldman, nonostante vi fossero prove schiaccianti nel senso della sua colpevolezza. Il famoso penalista Dershowitz, insieme ai difensori di Simpson, riuscì a smontare l'accusa fondata sull'argomento che i maltrattamenti in famiglia portarono all'omicidio. Dershowitz asserì che in un processo per omicidio non possono essere portati come prove i maltrattamenti e le percosse in famiglia. 
A sostegno della sua tesi il penalista argomentò che ogni anno in America 4 milioni di donne vengono picchiate da mariti e conviventi; di queste però solo 1500 vengono successivamente uccise. Dividendo il numero delle donne assassinate per il numero delle donne picchiate si ottiene una percentuale infinitesima (0.04%) di donne picchiate che vengono successivamente uccise. Ma questo calcolo è corretto? No, si considera solo la classe delle 'donne picchiate' e si omette il dato cruciale costituito dalle 'donne picchiate dai compagni e successivamente uccise'. Consultando i dati annuali della criminalità statunitese, su 100 mila donne picchiate dal marito, 40 vengono uccise dallo stesso e 5 da qualcun'altro. Da ciò deriva che su 45 omicidi, la percentuale di donne uccise dal marito è del 90%! 
Questo è un tipico esempio di 'fallacia dell'accusatore', quell'errore costituito dall'identificare la probabilità di concordanza causale con la probabilità di non colpevolezza dell'imputato. Questa locuzione risale a due astuti avvocati (Thompson e Schumann) che smontarono le accuse di uno statisticamente ignorante vice-pubblico ministero che si rivolse così alla giuria: “supponiamo che l’imputato abbia lo stesso gruppo sanguigno del colpevole e che il 10% della popolazione rientri in questo gruppo. Se l’imputato fosse innocente avrebbe il 10% di probabilità di appartenere al gruppo e quindi, se vi appartiene, la probabilità che sia colpevole è del 90%”. L’incredibile errore nasce proprio dal fatto che l’accusatore confonde la probabilità della concordanza con quella della non colpevolezza in caso di concordanza. Ragionando in termini di frequenze naturali il calcolo dvrebbe essere il seguente:ogni dieci persone una presenta il gruppo sanguigno del colpevole, quindi ci sono (se la popolazione potenzialmente coinvolta nel delitto è di un milione di persone) 100.000 persone che potrebbero essere colpevoli!

“Questa volta la giuria ha considerato l’evidenza e ha deciso che l’accusa non aveva provato il suo caso. Spero che da questo venga fuori qualcosa di positivo. Spero che sistemino i loro laboratori, che si mettano a usare detective che fanno un lavoro migliore” (Jhonny Cochran)




sabato 7 gennaio 2017

Il pianista della parola




"Un avvocato? È un pianista della parola", scriveva Pierre Véron giornalista francese nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Per Gandhi, colui che ha la funzione di unire parti lacerate a pezzi. Un qualcosa che simbolicamente ha più a che fare con la "manualità", con il maneggiare con perizia uno strumento, che non con la conoscenza astratta di una teoria. Nella realtà, ogni avvocato ha un suo "metodo" per gestire una lite e per convincere delle sue ragioni: un "metodo" personale e non scambiabile Questo perché ogni uomo ha un suo modo di vedere le cose, una visione del mondo, una "weltanschauung" a cui non può e non deve rinunciare. E' l'esperienza - intesa come modo di esperire e di sentire le cose - che forma il proessionista, non la teoria. 
Quest'ultima fornisce soltanto gli strumenti, di certo indispensabili, ma come usarli lo si impara sulla propria pelle. Nel rapporto con il cliente si deve imparare a calibrare l’empatia, per instaurare un vero rapporto di fiducia per meglio comprendere le ragioni del cliente, con il distacco, per vedere le cose e di agire con lucidità e senza quell'animosità che potrebbe impedirci una reale e obiettiva comprensione dei fatti. E’ un "mestiere al negativo", a cui la gente ricorre per risolvere i problemi. Al riguardo Martin Seligman, coniatore del «concetto» della psicologia positiva, psicologia che non si occupa solo di patologie, ma di incrementare il benessere delle persone senza particolari problemi, riportando di seguito parte di un articolo di Silvia deSantis apparso sull’Huffington post:Come mai gli avvocati hanno il 3,6% di probabilità in più di cadere in depressione o divorziare rispetto alla norma? 
Martin Seligman, psicologo e saggista statunitense spiega che ciò dipende dal fatto che, per lavoro, hanno abituato la propria mente a pensare in negativo. Gli avvocati migliori, infatti, sono i più pessimisti. Il pessimismo è visto come un “plus” tra i legali, perché vedere problemi ovunque è un tipico atteggiamento della prudenza, fondamentale per chi svolge questa professione. Essere previdente permette a un avvocato di considerare tutte le trappole e le situazioni negative in cui può incorrere il proprio assistito. La capacità di calcolare in anticipo una serie di conseguenze, difficili da immaginare per chi è digiuno di legge, consente all’avvocato di costruire al meglio la difesa”. Oltre questa analisi psicologico-strategica è inevitabile, prima di concludere, prendere in considerazione anche l’aspetto sociologico per rendersi conto che l’avvocato deve anche essere multidimensionale: sviluppare nuove capacità di ascolto, di identificazione degli interessi, di inquadramento e investigazione dei problemi, e di elaborazione di sistemi di soluzioni che possano offrire vantaggi reciproci. 
L’avvocato deve aspirare ad essere un vero e proprio consigliere piuttosto che un mero esperto del diritto. Inoltre, l’avvocato multidimensionale dovrebbe essere in grado di comprendere i peculiari contesti nei quali i clienti possono trovarsi, contesti in cui il senso comune e l’istinto potrebbero fallir. I professionisti del diritto posseggono d'altra parte un grande potenziale per incentivare atteggiamenti riflessivi nei loro clienti. Nelle loro conversazioni coi clienti, gli avvocati dovrebbero cercare di fornire a questi ultimi la possibilità di giocare un ruolo nella risoluzione dei loro stessi problemi. Inoltre, dovrebbero facilitare la comprensione degli aspetti legali della questione da parte dell’interessato, attraverso informazioni accessibili. Dovrebbero altresì sforzarsi di responsabilizzare il cliente affinchè, attraverso una più ampia comunicazione con i soggetti coinvolti, il diritto possa reclamare il ruolo di guida morale per la nostra civiltà.

domenica 26 giugno 2016

“Leave” and let die



                                   Prima d'iniziare la lettura fate partire la quantomai opportuna colonna sonora cliccando qui
Nel pieno della scelta democratica oltre 33 milioni di britannici sono andati alle urne e un’affluenza del 72,2 per cento ha decretato con percentuale del 51,09 % che la Gran Bretagnadeve lasciare (leave) l’Unione Europa. Cosa significava fare parte dell’Unione? l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza tra i paesi che riduce i rischi di conflitti. Solo per darci alcuni spunti di riflessione è importante ricordarsi che  l'Unione ha competenza esclusiva sull’unione doganale, sulle regole di concorrenza (regolazione dei mercati), la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca e non ultima la politica commerciale con gli Stati Internazionali. Detto questo il dibattito sulla brexit e le proiezioni nonché report sugli effetti di questo cd. divorzio consensuale fa temere che le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee. Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. 
Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna. Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza. Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così. Quindi? 
A noi sembra ci sia poco da esultare. Questo è il risultato di un uso irresponsabile del voto. Il referendum è stato convocato per ragioni di politica interna. Si è chiesto il pronunciamento diretto dell’elettorato per sopravvivere agli attacchi interni degli euroscettici di Nigel Farage. L’unico a non capire che per far cadere Cameron era necessario schierarsi all’opposizione, è stato proprio David Cameron.  Ma l’uso del voto è stato irresponsabile anche da parte degli elettori che hanno rinunciato al senso critico. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati e per l’impero. Sembra, inoltre, che sia del tutto assente un piano dopo-Brexit ( se escludiamo il milione di firme raccolte per rientrare nell’UE). Purtroppo o per fortuna è la democrazia rappresentativa a garantire competenza e mediazione in alcune materie. Quando il tema è complicato, per sua stessa natura, sarebbe meglio dedicare maggior tempo allo studio per prendere decisioni informate e consapevoli, altrimenti diventa circonvenzione d’incapace. Facciamo un esempio: “Volete voi pagare le tasse?”


“Leave” and let die



                                   Prima d'iniziare la lettura fate partire la quantomai opportuna colonna sonora cliccando qui
Nel pieno della scelta democratica oltre 33 milioni di britannici sono andati alle urne e un’affluenza del 72,2 per cento ha decretato con percentuale del 51,09 % che la Gran Bretagnadeve lasciare (leave) l’Unione Europa. Cosa significava fare parte dell’Unione? l’obiettivo di promuovere innanzitutto la cooperazione economica partendo dal principio che il commercio produce un’interdipendenza tra i paesi che riduce i rischi di conflitti. Solo per darci alcuni spunti di riflessione è importante ricordarsi che  l'Unione ha competenza esclusiva sull’unione doganale, sulle regole di concorrenza (regolazione dei mercati), la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca e non ultima la politica commerciale con gli Stati Internazionali. Detto questo il dibattito sulla brexit e le proiezioni nonché report sugli effetti di questo cd. divorzio consensuale fa temere che le aliquote basse sui redditi delle società, ora al 20%, potrebbero non bastare più a rendere conveniente il fisco britannico. L'uscita dall'Ue del Regno Unito pone il Paese fuori dalle regole europee, che prevedono meccanismi di semplificazione burocratica sull'Iva e, per le multinazionali, un alleggerimento del prelievo per le royalties e per i dividendi. Il Regno Unito è un Paese che, pur non essendo certamente paragonabile ad un paradiso fiscale, applica comunque una fiscalità privilegiata, in particolare per le grandi multinazionali e per la finanza. Ma fino ad oggi il Paese, rientrando nell'Ue, applica le direttive europee. Il caso più vistoso è la normativa sulle società ''madri-figlie'' che ora prevede l'esenzione delle società madri e consente, in sostanza, di non pagare la ritenuta fiscale se la società figlia distribuisce il dividendo nel Regno Unito. 
Lo stesso vale per l'esenzione da ritenuta su interessi e royalties. Presto potrebbe invece scattare una trattenuta di almeno il 5% sui dividendi, all'8% sulle royalties e al 10% sugli interessi così come previsto dalla convenzione tra Italia e la Gran Bretagna. Ma non basta. Perdono il regime di ''neutralità'' le operazioni di riorganizzazione aziendale, come le fusioni. Chiaro che sarà necessario riavviare un confronto per una nuova convenzione fiscale tra i due Paesi, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Nel frattempo l'impatto c'è anche sul fronte degli adempimenti, ad esempio in campo Iva, che è l'imposta comunitaria per eccellenza. Oggi esportazioni e importazioni seguono regole europee, con l' autofatturazione prevista per gli acquisti intracomunitari e la tassazione al consumo come se non ci fossero confini. In futuro le merci dovranno essere dichiarate in bolletta doganale, come se fosse una cessione extra-Ue. L'impatto c'e' anche per le tasse sul fronte della finanza. Il prestito da parte di una banca inglese, ad esempio, fino ad oggi non paga la ritenuta prevista per legge (il 12,5%). Ma è un privilegio riservato solo agli stati dell'Ue e - dopo la scelta del referendum - è chiaro che non sarà più così. Quindi? 
A noi sembra ci sia poco da esultare. Questo è il risultato di un uso irresponsabile del voto. Il referendum è stato convocato per ragioni di politica interna. Si è chiesto il pronunciamento diretto dell’elettorato per sopravvivere agli attacchi interni degli euroscettici di Nigel Farage. L’unico a non capire che per far cadere Cameron era necessario schierarsi all’opposizione, è stato proprio David Cameron.  Ma l’uso del voto è stato irresponsabile anche da parte degli elettori che hanno rinunciato al senso critico. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati e per l’impero. Sembra, inoltre, che sia del tutto assente un piano dopo-Brexit ( se escludiamo il milione di firme raccolte per rientrare nell’UE). Purtroppo o per fortuna è la democrazia rappresentativa a garantire competenza e mediazione in alcune materie. Quando il tema è complicato, per sua stessa natura, sarebbe meglio dedicare maggior tempo allo studio per prendere decisioni informate e consapevoli, altrimenti diventa circonvenzione d’incapace. Facciamo un esempio: “Volete voi pagare le tasse?”