Questo articolo ha la presunzione di autodedicarsi a due amici Daniela Rossi e Alessandro Coppola che con la parola, la prima, e con le illustrazioni, il secondo, danno voce forte alla comunicazione. Questo a dimostrazione, opposta e contraria a quanto i giudici fanno ultimamente, che con la passione, la buona volontà e qualcosa da manifestare e rivelare; si dialoga.
La motivazione della sentenza, sebbene si tratti
del provvedimento “a contenuto decisorio costante, nel percorso estremo di “semplificazione” degli
atti processuali civili è spesso
“succinta”, quasi fosse un’ordinanza. In parallelo – però – norme, prassi,
orientamenti anche della Cassazione spingono verso una sempre più complessa
strutturazione degli atti di parte. Gli avvocati scrivono sempre più fin dal
primo grado e specie in fase di impugnazione divengono tutti vittima d’una
super-scrittura fobica, temendo, come infatti sempre più spesso fondatamente
temono, di incappare nelle tagliole dell’inammissibilità, del difetto di
specificità, della carenza argomentativa sul singolo motivo. Ripetere il già
detto sembra il prezzo da pagare per non rischiare di sottacere l’essenziale. Assistiamo
così a una forte divaricazione tra atti e provvedimenti: mentre all’avvocato è
richiesto un impegno di scrittura addirittura ossessivo, per il giudice le cose
stanno ormai molto diversamente.
Un piccolo omaggio ad un nuovo amico |
A lui si chiede di decidere di più e di farlo
senza inutili formalismi entro un “termine ragionevole”; la somministrazione
delle ragioni della decisione è questione decisamente passata in secondo piano.
L’art. 111 Cost. stabilisce che «tutti i
provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati». In ossequio a tale
prescrizione il codice di procedura civile esige che la sentenza
contenga la concisa esposizione «dei motivi in fatto e in diritto della
decisione» L’obbligo della motivazione assolve alla funzione di
assicurare in concreto il perseguimento di diversi principi costituzionali in
tema di giurisdizione, quali il diritto di difesa, l’indipendenza del giudice e
la sua soggezione alla legge, nonché il principio di legalità. Ai sensi
dell’art. 118, co. 1°, disposizioni di attuazione del c.p.c., la motivazione
della sentenza consiste nella concisa esposizione dei fatti rilevanti della
causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a
precedenti conformi. In essa debbono essere esposte concisamente e in ordine le
questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i
principi di diritto applicati. La violazione dell’obbligo di motivazione
determina l’invalidità del provvedimento giurisdizionale e può essere fatta
valere attraverso il sistema delle impugnazioni).
Per quanto riguarda il ricorso
per cassazione, in particolare, l’art. 360 prevede quale motivo di
impugnazione l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio. Anche se quella di scrivere a
mano la sentenza è una prassi ancora frequente nell'epoca della
digitalizzazione del processo e conformemente al percorso dell’eccessiva
semplificazione (per non dire pigrizia), se la sentenza è manoscritta e la
grafia dell’estensore illeggibile, si rende necessario l'annullamento, non
della sola sentenza-documento, ma dell'intero giudizio, che dovrà essere svolto
ad opera di diverso magistrato. Così ha deciso la Suprema Corte nella sentenza 7 novembre 2014, n. 46124. Nella fattispecie, un uomo,
riconosciuto in primo e secondo grado colpevole del delitto di ingiuria,
proponeva ricorso in cassazione deducendo nullità della sentenza e la
violazione del diritto di difesa per la indecifrabilità della grafia
dell'estensore. La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, ha precisato che,
a causa della grafia del giudice (che, verosimilmente, per la scarsa
dimestichezza con il pc, ha preferito manoscrivere la sentenza), non è
possibile comprendere compiutamente quale sia la trama argomentativa della
sentenza.
L'importanza della scrittura e della sua capacità rivelatrice |
Come chiarito dalle SS. UU. nella sentenza n. 42363/2006, l'indecifrabilità della sentenza, quando non sia limitata ad
alcune parole e non dia luogo a una difficoltà di lettura agevolmente
superabile, è causa di nullità d'ordine generale a regime intermedio. Invero,
infatti, la sentenza non è un “atto privato” del giudicante, ma costituisce un
decisum (e un documento) rivolto a terzi (alle parti e, eventualmente, al
giudice del gravame) e, pertanto, deve essere comprensibile. Vengono in mente
le parole che Kafka, nel Processo, mette in bocca al sacerdote che nel
Duomo parla al suo unico, sgomento spettatore K.: la sentenza non viene «così
all’improvviso», ma è il processo stesso che lentamente, inesorabilmente si
trasforma in sentenza. Nell’intuizione del grande scrittore boemo possono
riconoscersi vari fenomeni processuali: dalla formazione progressiva del
giudicato al thema decidendum frutto di preclusioni e decadenze; fino
al setaccio degli elementi che, al termine del processo, il giudice potrà
considerare ai fini del decidere. Il giudice è chiamato ad affermare il diritto
e non condivide con nessuno tale responsabilità.