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lunedì 22 febbraio 2016

Stat sua cuique dies

"A ciascuno è dato il suo giorno" è un frammento delle parole di Giove a Ercole, nel X libro dell' Eneide di Virgilio. Ercole, l'Alcide, piange per l'approssimarsi della morte di Pallante per mano di Turno, e il padre degli dèi lo consola con queste parole. Esistono dei casi in cui la legge prevede che sui documenti venga apposta una data certa. Ed il pensiero corre al testamento. La data certa, di fatto, consiste nella prova della formazione di un documento in un determinato arco temporale o, comunque, nella prova della sua esistenza anteriormente ad uno specifico evento o una specifica data. In mancanza di tali elementi, la legge riconosce alle parti la possibilità di dedurre e dimostrare con ogni mezzo di prova il momento in cui essa è stata formata. Questo perché la data è un elemento spontaneamente posto dai firmatari del documento e nulla garantisce che gli stessi non abbiano indicato un giorno diverso da quello effettivo (per esempio, ricorrendo alla retrodatazione). Così, per esempio, si potrebbe dimostrare di aver firmato un contratto o una quietanza in un determinato giorno e occasione grazie ad eventuali testimoni, presenti sul posto. 
La prova testimoniale, però, a differenza di quella documentale, è liberamente valutabile dal giudice e non sempre garantisce margini di certezza Tuttavia, in alcuni casi, anche in assenza della data, l’elemento temporale di formazione e firma è comunque ricavabile da altri elementi esterni (si pensi al caso della raccomandata ove fa fede il timbro postale che certamente supera l’indicazione delle parti; si pensi anche al telegramma o al fax o alla posta elettronica certificata dove l’attestazione inviata del gestore della PEC garantisce la certezza della data di spedizione e di consegna). L’argomento si collega alla disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, a quanto previsto dagli artt. 2703 e 2704 c.c., dai quali si desumono gli strumenti tipicamente utilizzabili, appunto, per l’attribuzione di una data certa ai documenti. Oltre alla redazione di un atto pubblico, all’autenticazione di un notaio o altro pubblico ufficiale ed alla registrazione dell’atto presso un ufficio pubblico, la legge prevede che possa conferire data certa anche ogni altro fatto che stabilisca in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento (art. 2704 c.c., 3 comma). 
Per conferire data certa a un documento si ricorre di norma alla registrazione del documento, attraverso pagamento della relativa imposta di registro. Nel caso in cui la registrazione non sia possibile, come nel caso di morte o sopravvenuta impossibilità fisica del sottoscrittore, si ricorre alla riproduzione della scrittura in un atto pubblico. Ci sono diversi modi per applicare la data certa sui documenti, ma il più semplice è quello di ricorrere ad un ufficio postale che provvederà all’apposizione di un timbro. Prima di recarsi all’ufficio postale, è bene assicurarsi che il documento presenti dei determinati requisiti: deve formare un corpo unico (ovvero deve essere stampato e rilegato in un modo che non permetta l’aggiunta o la rimozione di pagine) e sulla prima pagina deve essere presente la dicitura “si richiede l’apposizione del timbro per la data certa”, seguita da data e firma. I giudici di merito, però, nella nota sentenza della Suprema Corte n. 13912/2007 si sono ritenuti contrari a questa modalità perché di regola il timbro non è apposto nello stesso foglio in cui è riportata la scrittura, per cui si afferma che il timbro apposto sulla busta non attribuisce certezza giuridica al contenuto in essa racchiuso. Molto semplicemente, basterà recarsi all’ufficio postale e richiedere il servizio di data certa. Sul primo foglio del documento va apposta l’affrancatura con i francobolli, che verrà annullata con l’apposizione del timbro da parte dell’ufficio postale (in pratica come se dovessimo spedire il documento). Il timbro va apposto sulla prima pagina, dove viene anche indicato il numero delle pagine e la dicitura “a corpo unico”. È onere di chi contesta la certezza della data provare che è stato apposto il timbro su un foglio bianco, che solo successivamente è stato riempito (Trib. Mantova sent. del 13.06.2003). Il timbro apposto in un pubblico ufficio equivale a un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel giorno in cui essa è stata apposta come conferma la Cassazione nella sent. n. 8438/2012. 
Il Codice dell’Amministrazione Digitale ha introdotto una serie di semplificazioni legate all’utilizzo delle procedure informatiche che si applicano anche ai privati; in particolare, ai fini della data certa il decreto prevede all’articolo 20 comma 3 che “la data e l’ora del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale”, tra queste l’apposizione della cosiddetta marca temporale sui documenti informatici: il sistema basa la propria modalità di certificazione della marca temporale su un procedimento informatico regolamentato dalla legge, che permette di attribuire ad un oggetto digitale o documento informatico una data ed un orario in modo certo ed opponibile a terzi. La marca temporale può essere anche associata alla firma digitale su documento sia informatico con la conseguenza che, in caso di documenti cartacei, contratti, fax, etc, prima di tutto occorrerà effettuare una scansione, per poi apporre al documento informatico così ottenuto la data certa. E così s’è fatto tardi molto presto, direbbe il Dr. Seuss.

domenica 15 novembre 2015

La tenuità del fat(T)o



Il 2 aprile 2015 è entrato in vigore il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 che introduce nel nostro ordinamento penale un nuovo istituto giuridico: la non punibilità per particolare tenuità dell’offesa. Si tratta di un complesso apparato per cui saranno i Giudici i protagonisti della depenalizzazione potendo stabilire quali fatti non punire e quali, invece, meritano di essere perseguiti. Difatto, introducendo l’art. 131 bis nel codice di procedura penale, il legislatore consente il proscioglimento per reati (anche d’impatto sociale) puniti fino a cinque anni di reclusione, nei casi in cui il P.M. od il Giudice ravvisino la lieve entità del fatto. La prima conseguenza è che la pena prevista è talmente alta che comprende un numero eccezionale di reati, fra i quali, soltanto per citarne alcuni: la corruzione impropria, l’abuso e l’omissione di atti d’ufficio, molte ipotesi di falso, alcuni reati tributari (la dichiarazione infedele, l’omessa dichiarazione, l’omesso versamento dell’IVA e della ritenuta d’acconto) il falso in bilancio. Chiaramente non possono godere della non punibilità: i recidivi; i delinquenti abituali, professionali o per tendenza; chi abbia commesso più reati della stessa specie; le condotte plurime abituali o ripetute. Nemmeno, certamente, chi abbia agito per motivi abietti e futili adoperato sevizie, o profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche minorenne. L’uso di sevizie difficilmente avrebbe potuto essere considerato suscettivo di positiva valutazione!! Vi è di più, la lieve tenuità non può mai riguardare il reato di lesioni gravissime (si tratta di quelle che abbiano comportato la perdita di un senso o di un organo; tuttavia che è implicitamente consentita la non punibilità delle lesioni gravi (in cui si presenta l’indebolimento permanente di un senso o di un organo). Non è tutto: il giudizio di lieve entità si iscrive sul casellario giudiziale (la fedina penale) e nei procedimenti correlati (civile ed amministrativo) alla stregua di una condanna. La diffusione di elenchi cui si applicherebbe ha causato l’erroneo convincimento che il decreto legislativo comporti la loro depenalizzazione. La differenza è palese: con la depenalizzazione, tutti i reati, a prescindere dalle modalità con le quali in concreto si sono consumati, vengono meno; con la lieve entità , non sono punibili i reati, sanzionati in astratto nel massimo con la pena di cinque anni di reclusione o con la pena pecuniaria, solo qualora siano in concreto scarsamente offensivi. Nel primo caso, il legislatore stabilisce a priori le condotte che non costituiscono più reato; nel secondo caso, il legislatore attribuisce al giudice il potere di verificare. Per questo motivo, il decreto prevede che avverso la richiesta di archiviazione presentata dal P.M. l’indagato possa presentare opposizione ed ottenere un’udienza camerale davanti al Gip nella quale persuaderlo della sua innocenza invece che del modesto rilievo del suo comportamento illecito. Tecnicamente, il PM, verificata la ricorrenza delle condizioni volute dalla legge, deve chiedere l’archiviazione. Della richiesta deve essere dato avviso sia all’imputato che alla parte offesa, anche se quest’ultima, con la denuncia o querela, non abbia chiesto di essere avvisata in caso di richiesta di archiviazione. Resta salva la facoltà per il Giudice di rigettare la richiesta di archiviazione e provvedere ai sensi dell’art. 409 c.p.p.
Concludendo sembra evidente che una seria verifica della sussistenza dei presupposti, dell’effettiva offensività del fatto e della personalità del reo sono incompatibili con il dichiarato scopo deflattivo dell’istituto; riducendo l’obiettivo della riforma, alla scomparsa dei fascicoli bagatellari che affollano i nostri uffici penali; cosicchè le esigenze di economia processuale prevalgano su quelle di legalità ed obbligatorietà dell’azione penale. La particolare tenuità del fatto deve sperimentare la giustizia penale riparativa e riconciliativa, diffondendo protocolli secondo i quali la non punibilità è riconosciuta qualora l’imputato abbia, spontaneamente e prima del processo, provveduto ad eliminare le conseguenze dannose del reato od a riconciliarsi con la vittima. Diversamente, il principio di offensività venga strumentalizzato per “snellire” i ruoli penali.

lunedì 28 settembre 2015

Io PECco!



Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra o invii una pec!

La Posta Elettronica Certificata (PEC) è il mezzo informatico che consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, come stabilito dalla vigente normativa (DPR 11 Febbraio 2005 n.68). Attualmente la PEC non è uno standard internazionale ma, un insieme di regole e norme italiane. Inoltre esistono altre tecniche di firma digitale e di tracciamento della consegna analoghe alla PEC ma già da anni disponibili per le e-mails tradizionali ed utilizzate per lo scambio di documenti a livello internazionale previo accordo tra mittente e destinatario (come ad esempio il sistema RFC 3798).Il 19 gennaio 2009, infatti, l'art. 16 del D.L. n. 185 del 2008 ha subito, in fase di conversione in legge, modifiche rilevanti che rendono non più obbligatoria la PEC per cittadini, liberi professionisti e aziende, qualora essi abbiano a disposizione un analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell'invio e della ricezione delle comunicazioni ed integrità del contenuto delle stesse, garantendo l'interoperabilità con analoghi sistemi internazionali.
La PEC, dunque, pare nata già vecchia e comunque estranea al circuito internazionale: l’ennesimo intervento novellistico del legislatore se ne è finalmente accorto. Inoltre, per quel che più conta ai fini dell’amministrazione della giustizia la PEC ha la sua veridicità nel documentare in modo certo ed inequivocabile la spedizione/invio, con il riscontro, ricevuta/consegna. La PEC si perfeziona solo se sono presenti tutti i requisiti e le modalità esposte nelle grafiche rappresentate. Se c’è una discrepanza, la stessa non ha più validità legale.I maggiori problemi sono la sincronizzazione degli orari, la gestione delle ricevute invio/ricezione e l’appaiamento in orario consequenziale di tutte le ricevute (e quindi non solo di quelle invio/ricezione) come da codifica.

Per gli Avvocati, avere un indirizzo PEC è un obbligo sancito dall’art. 16 comma 7 della L. 2/2009; tale indirizzo deve poi essere anche comunicato al proprio Consiglio dell’Ordine, il quale, a sua volta, provvede a comunicarlo al Ministero della Giustizia attestandolo come unico indirizzo utilizzabile per le comunicazioni da e verso i Tribunali. Il Ministero della Giustizia provvede a sua volta ad inserire tale indirizzo PEC in un registro informatico, consultabile telematicamente chiamato RegInde. L’indirizzo PEC che risulterà comunicato all’Ordine, diventerà dunque l’unico domicilio elettronico di riferimento per l’avvocato nel Processo Telematico (ricezione dei biglietti di cancelleria telematici e deposito degli atti telematici).
L’avvocato sprovvisto di PEC dovrà recarsi in Tribunale presso la/e Cancelleria/e per verificare l’eventuale presenza di comunicazioni a lui indirizzate e relative ai procedimenti nei quali risulti costituito quale difensore di parte.
In materia penale, dalla lettura di tali testi normativi emerge la scelta del mezzo telematico come strumento "normale" per la notifica di atti inerenti a procedimenti penali nei confronti di persona diversa dall'imputato, ivi compreso il suo difensore. Tuttavia, come risulta dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 51, l'impiego di questa specifica modalità veniva ad essere subordinata all'emanazione, ad opera del Ministro della Giustizia, di un decreto ministeriale, chiamato ad individuare gli Uffici giudiziari dotati di adeguati servizi di comunicazione. In attuazione di quest'ultima previsione era stato emanato, in data 12 settembre 2012, apposito decreto del Ministero della Giustizia. Tale quadro normativo è profondamente mutato per effetto del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 19 ottobre 2012, n. 45, e in vigore dal successivo 20 ottobre, convertito con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221. Con tale previsione si torna a disporre che, per quanto concerne i procedimenti penali, le notifiche a soggetti diversi dall'imputato sono effettuate via P.E.C. dagli Uffici giudiziari individuati da un apposito decreto del Ministro della Giustizia.Tuttavia, contrariamente a quanto accaduto per i procedimenti civili, non è stata inserita alcuna norma transitoria specificamente dedicata a quegli Uffici per i quali il suddetto decreto era già stato emanato sotto la vigenza del D.L. n. 112 del 2008.Infine è intervenuto l'art. 1, comma 19, punto 1, lett. a) e b), della L. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha inserito nell’art. 16, comma 9, del D.L. n. 221 una nuova lett. c-bis), che prevede che le disposizioni che qui interessano (commi da 4 a 8) “acquistano efficacia a decorrere dal 15 dicembre 2014”.La questione giunge pertanto davanti alle SS.UU. che risolvono i dubbi riconoscendo validità legale alle notifiche via pec eseguite al difensore anche prima  del 15 dicembre 2014; qualora gli Uffici fossero già stati autorizzati con decreto ministeriale.
In ambito civilistico, l’obbligo di indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata esonera l'avvocato dall’elezione di domicilio quando si trova a dover patrocinare una causa fuori dalla circoscrizione del tribunale cui è assegnato .Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 20 giugno 2012, n. 10143. La Suprema Corte precisato che, stante il mutato contesto normativo che prevede ora in generale l'obbligo per il difensore di indicare, negli atti di parte, l'indirizzo di posta elettronica certificata, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio si applicherà soltanto se il difensore, non adempiendo all'obbligo prescritto dall'art. 125 c.p.c., non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine. Ovviamente, questo bellagio, fino alla prima richiesta copie dal fascicolo di causa dove ci troveremo davanti al bivio tra l’intraprendere un viaggio per nuovi lidi o (meglio) eleggere domicilio presso l’amico devoto domiciliatario.