domenica 24 settembre 2017

Famolo strano!



Ed eccoci qui,  dalle cause di separazione basate sul “difetto di verginità” alle opposte circostanze in cui sono le donne che citano in giudizio gli uomini chiedendo risarcimenti da capogiro per il mancato adempimento dei doveri coniugali (al Tribunale di Bologna pende una causa promossa da una signora che pretende dal marito, dopo un fidanzamento “normale” sotto il profilo fisico, un ragguardevole risarcimento da “inadeguatezza sessuale” durante i successivi cinque anni di matrimonio). In realtà  tra gli obblighi che derivano dal matrimonio e dai quali dipendono diritti e doveri vicendevoli, non emerge nulla di specifico in tema di rapporti sessuali il secondo comma dellart. 143 c.c. che prevede come “…Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia, ed alla coabitazione”.
Il concetto di fedeltà è esteso non solo alla presenza di relazioni sessuali extraconiugali, ma anche ai casi c.d. di "infedeltà apparente", "relazione platonica", "tentativo di tradimento", quali comportamenti in grado di ledere la sensibilità e la dignità del coniuge.  
È da diverso tempo che le problematiche inerenti la sfera più intima della vita di coppia hanno fatto il loro ingresso in giurisprudenza. I giudici hanno affrontato molte volte la questione dei c.d. "matrimoni bianchi", affermando che se la "sedatio concupiscentiae" non è l'unico scopo del matrimonio, in capo ai coniugi sussiste un vero e proprio diritto-dovere per ciò che concerne i rapporti sessuali, equiparabile agli altri diritti e doveri discendenti dal contratto matrimoniale.

Il rifiuto della sessualità infatti, senza alcuna giustificazione, dà luogo all’offesa della dignità della persona, comportante con la reiterazione di tale rifiuto anche un pregiudizio sul piano personale e psicologico ed una lesione del diritto costituzionalmente garantito alla salute psichica. Rientra nella casistica anche il caso in cui il coniuge si rifiuti per ritorsione o punizione.
Una famosa sentenza della Cassazione, sotto tale profilo, condannava un uomo che per lunghi anni aveva rifiutato di intrattenere rapporti sessuali con la moglie, giustificando egli tale rifiuto quale punizione di un mancato adempimento economico e contrattuale da parte del fratello del coniuge nei suoi confronti.
In numerose occasioni, i giudici hanno considerato legittimo il rifiuto allorché la pretesa (in genere dell’uomo) sia eccessivamente continuativa o ripetitiva, senza alcun rispetto della sensibilità e delle esigenze dell’altro coniuge.

E’ interessante notare sotto questo profilo come, in più occasioni, la Corte di Cassazione abbia precisato che, seppure determinati tipi di rapporti o costumi sessuali particolarmente aperti, fino a giungere ad incontri con altri partner o a scambi di coppia e simili, non costituiscano alcun illecito, se vengono accettati o richiesti anche dall’altro coniuge. Dalle sentenze emergono le situazioni più disparate: dai rapporti sessuali in ascensore (Cassazione 10060/2001) alle galanterie di un idralulico che si vantava di intrattenere sessualmente entrambe le sorelle, al sesso di gruppo,  fino all’utilizzo di animali nei rapporti sessuali per finire con pratiche sadomaso di gruppo (Corte Europea 17/02/2005).
Queste decisioni sono unite da un unico filo conduttore che stabilisce  il diritto di ciascun individuo di esercitare le pratiche sessuali che ritiene nel modo più libero possibile nel rispetto dell’altra persona e fino a quando questa non si tiri indietro.
Quindi non si  censurava la particolarità dei “giochi sessuali” (ove venivano usate secondo la dizione della sentenza, fruste, aghi, pinze, cera bollente, scosse elettriche, et similia), ma l’imposizione del “gioco” quanto ad un certo punto era mancato il consenso del coniuge, pur se inizialmente consenziente.
Tutt’altro è il discorso se i rapporti fisici vengono imposti, oltrepassandosi facilmente i limiti del Codice Civile e finendo nelle previsioni del Codice Penale per maltrattamento o peggio configurandosi il reato di stupro. La Corte Suprema infatti, relativamente ai reati contro la libertà sessuale, ritiene che integri la violazione dell’art. 609 bis Codice Penale qualsiasi forma di costringimento psichico o fisico, idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l’esistenza di una rapporto di coppia coniugale o paraconiugale fra le parti
Ciò in quanto non esiste all’interno di tale rapporto un diritto all’amplesso, nè conseguentemente il potere di esigere una prestazione sessuale, né ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, ma li subisca, quando si provi che l’autore delle violenze e minacce poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la piena consapevolezza del rifiuto della stessa agli atti sessuali.
Alla fine di tutto, tenuta in considerazione la particolare intimità della questione, com’è possibile  dimostrare “l'astinenza” per colpa di un coniuge? Sussiste un unico strumento processuale: la confessione del coniuge che non ha intenzione di fare sesso!





martedì 19 settembre 2017

Data don't breach!



Interessante esperimento quello che negli USA ha portato a creare un database contenente informazioni relative ad un centinaio di consumatori inserendo dati inventati: nome, residenza, e-mail, telefono. Un’anagrafica fittizia ma studiata con attenzione affinché risultasse credibile anche ad un occhio più attento: nomi ricorrenti negli USA, indirizzi e-mail sensati rispetto al nome, numeri di telefono che corrispondono alla zona di residenza, e così via. Inoltre, i tecnici della FTC hanno inserito, per ciascuna stringa individuale, dati relativi ad uno tra tre tipici strumenti di pagamento elettronico: carta di credito, portafoglio bitcoin, ed un online payment service non meglio specificato (potrebbe trattarsi di Paypal o provider simile).Ci sono voluti solo 9 minuti prima che i malfattori che frequentano la rete provassero ad impiegare per fini illegali le identità altrui. In totale, sono stati effettuati 1.200 tentativi di utilizzo illecito dei dati. La Polizia Postale italiana dice che i furti d’identità spesso non vengono scoperti, o magari lo sono solo dopo 12-18 mesi. Perché spesso non ce ne accorgiamo nemmeno: entrano nel nostro pc, nel nostro profilo social e non lo vediamo. Una versione evoluta di ricerca credenziali è il vishing, in cui la mail ti chiede, per fregarti meglio, di chiamare un finto call center, che ti chiederà a voce quei dati. I criminali selezionano le vittime e ne osservano le abitudini, imparano chi sono e cosa fanno tramite tutte le informazioni che lasciano sui social network. Così, quando mandano la mail, sono più credibili. Come il trashing (sì, potrebbero frugare nella carta che butti al riciclo e trovare tutti i tuoi dati bancari su quell’estratto conto che hai soltanto appallottolato…). Il fenomeno del c.d. “identity theft”, ovvero del furto di identità in rete è per lo più riconducibile a due principali fattori: la errata custodia delle credenziali di autenticazione e la creazione di un account falso da parte di un terzo (c.d. "fake").
Il problema sta nel fatto che il social network, al momento della registrazione, non fornisce all'utente alcuno strumento in grado di potergli consentire una immediata capacità di individuazione dell'illecito, e quando ne viene a conoscenza, è spesso ormai troppo tardi.
 Pur non corrispondendo “materialmente” ad una sostituzione della persona, in mancanza di una fattispecie incriminatrice specifica, il furto di identità in rete viene ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità nell'ambito del reato di cui all'art. 494 c.p., relativo alla “sostituzione di persona Sul punto, la Cassazione si è pronunciata più volte ritenendo che la condotta di chi crea ed utilizzi account o caselle di posta elettronica servendosi dei dati anagrafici di un terzo soggetto, inconsapevole, è in grado di indurre in errore, non il fornitore del servizio, bensì l'intera platea di utenti, i quali, convinti di interloquire con un soggetto, si troveranno ad interagire, invece, con una persona diversa da quella che a loro viene fatta credere, integrando così la fattispecie di reato prevista dalla norma (Cass. Pen. n. 46674/2007). L'applicabilità dell'art. 494 c.p. ricorre altresì laddove viene creato un preciso profilo al quale è associata una reale immagine della persona offesa. A tal proposito, gli Ermellini hanno ritenuto integrata la figura di reato in esame nella condotta del soggetto che realizzi e si avvalga di un determinato profilo su un social network che riproduca la foto della vittima (persona offesa) ascrivendo alla stessa una descrizione degradante e, attraverso tale identità, utilizzi il sito comunicando con gli altri iscritti e condividendone i contenuti (Cass. Pen. n. 25774/2014).Giova osservare, da ultimo, che il legislatore, con d.l. n. 93/2014 (convertito dallal. n. 119/2014) ha introdotto, per la prima volta, nel codice penale, il concetto di “identità digitale”.  Infatti, l'art. 9 del citato decreto, rubricato  Frode informatica commessa con sostituzione di identità digitale” ha modificato l'art. 640-ter c.p., con l'inserimento di un terzo comma, ove il legislatore ha previsto la pena della reclusione da due e sei anni e la multa da 600,00 euro a 3.000,00 euro nel caso in cui il fatto sia commesso mediante furto o indebito utilizzo dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti; trattasi di un delitto per il quale è prevista la querela della persona offesa salvo che ricorra l'ipotesi di cui al 2° o 3° comma dell'art. 640-ter ovvero altra circostanza aggravante.
Emblematica in tal senso è stata la vicenda che aveva coinvolto una donna di Trieste che, subito dopo essere stata licenziata dalla sua datrice di lavoro, ha inteso vendicarsi inserendo le iniziali del nome ed il numero di telefono della stessa in una chat per incontri a sfondo sessuale, facendole così ricevere, anche in ore notturne, molteplici chiamate e messaggi provenienti da vari utenti della chat interessati ad incontri o a conversazioni di tipo erotico. Condannata per il reato di sostituzione di persona, l'autrice del "furto" giungeva fino in Cassazione, ma i Giudici del Palazzaccio rigettavano il ricorso in quanto "l'inserimento in una chat telematica di incontri personali, del numero di utenza cellulare di altra persona associato ad un nickname pure a costei riferibile, al fine di danneggiarla facendola apparire sessualmente disponibile, integra il reato di cui all'art. 494 c.p., nella modalità dell'attribuzione di un falso nome". Nelle motivazioni della sentenza in esame, il Giudice evidenzia una riflessione in merito alla natura dalla norma applicata. La tutela fornita dall'art. 494 del Codice Penale, infatti, dovendo intervenire in presenza di "inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi reali", potendo questi per la loro collocazione in Rete evidentemente oltrepassare la ristretta cerchia di uno specifico destinatario, non è rivolta in modo esclusivo alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome, ma ha ad oggetto in linea più ampia la pubblica fede. Ora lo sai.


venerdì 1 settembre 2017

Quanto mi costi?!



Torniamo dalla sospensione feriale pronti a correre veloci  verso nuovi adempimenti; primo tra tutti quello di redigere immediatamente un preventivo opportunamente concorrenziale. Speriamo non diventi l’ennesima corsa al ribasso!
Venendo alle novità da subito in vigore per gli avvocati si aprono le porte delle società professionali (anche spa) con soci avvocati ma anche di altre professioni per una quota di almeno i due terzi della compagine. La concorrenza incoraggia l’innovazione, fatti salvi i rischi di azzardo morale e asimmetria informativa per cui va comunque garantito l’intervento del regolatore. Di tali dinamiche traggono beneficio i consumatori, che per i servizi professionali sono spesso le imprese che operano sui mercati internazionali, ma anche i professionisti più capaci. Analizzando gli indicatori Ocse sulle professioni liberali (architetti, avvocati, ingegneri e revisori), è incoraggiante notare che l’Italia ha fatto dei passi in avanti importanti nell’apertura tra il 2008 e il 2013, passando dal penultimo al secondo posto tra i G7 (esclusi gli Usa per cui non ci sono standard federali e quindi l’indice nazionale non viene calcolato). Rimangono, insomma, sacche importanti di regole che ostacolano la concorrenza, senza che la loro introduzione e/o conferma vengano giustificate in maniera rigorosa e trasparente. Anzi, dal punto di vista della produttività le professioni stanno vivendo in Italia una stagione disastrosa: in termini reali, il valore aggiunto per addetto è diminuito del 30% dal 2000 (nel commercio, difficilmente un paradigma di virtù, si è contratto “solo” del 5% - Imf 2016). Nel campo della “liberalizzazione” delle professioni intellettuali il rapporto tra tutela della concorrenza e dei diritti fondamentali alla luce della giurisprudenza della Corte GUE e delle Corti nazionali appare assai problematico. Già l’atteggiamento della disciplina legislativa italiana è profondamente diverso rispetto a quello dell’Unione europea. 
In Italia il professionista intellettuale gode di una disciplina ad hoc (artt. 2229 c.c. ss.) - ben distinta da quella dell’imprenditore (artt. 2082 c.c. ss.) - basata sul principio della personalità della prestazione, sulla sua non fallibilità, sull’assenza di un obbligo di iscrizione del registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili, su di una giurisprudenza che addossa l’onere della prova della non diligenza sul cliente. Eppure non vi è una differenza “ontologica” fra l’attività dell’imprenditore in senso stretto e quella del professionista intellettuale. Fatta questa premessa, la parola “liberalizzazione” nel nostro ordinamento va intesa, come si è visto, non come una semplice e brutale abolizione di norme (c.d. “deregulation”) - che significherebbe disconoscere il limite dell’utilità sociale – ma come una razionalizzazione, un miglioramento della disciplina precedente. Le liberalizzazioni nel campo delle professioni intellettuali consentono altresì di permettere l’esercizio di una diritto, quello dell’individuo di esplicare la propria personalità mediante l’esercizio di un’attività lavorativa (cfr. artt. 1, 2, 4 e 35 Cost.), che, a differenza di quello alla libertà del diritto di iniziativa economica – che presuppone l’interferenza dell’attività economica con altri valori costituzionali e che quindi è suscettibile di limitazioni anche significative – non può che essere considerato fondamentale. Tale diritto, nel quadro della nostra Costituzione, non può però che essere bilanciato, con quello della collettività ad avere a che fare con professionisti preparati, principio a sua volta il più delle volte posto a protezione di diritti fondamentali (così, ad esempio, nel caso dell’avvocato a tutela del diritto di difesa).
Quello di cui oggi parliamo è un provvedimento da tempo sollecitato dall'Antitrust e sul quale il Parlamento nazionale ha accumulato un notevole ritardo. Nei vari passaggi parlamentari, sono state sempre confermati nuovi obblighi di comunicazione e trasparenza per tutte le professioni regolamentate.
Obblighi di comunicazione scritta o digitale al cliente, il professionista dovrà:
-rendere noto "obbligatoriamente, in forma scritta o digitale" al cliente il grado di complessita' dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresi' indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attivita' professionale.
- rendere nota al cliente, previamente, la misura del compenso "obbligatoriamente, in forma scritta o digitale" con un  preventivo di massima; la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.
Obbligo di trasparenza su titoli e specializzazioni-  Il provvedimento impone di "assicurare la trasparenza delle informazioni nei confronti dell'utenza", pertanto "i professionisti iscritti ad ordini e collegi sono tenuti ad indicare e comunicare i titoli posseduti e le eventuali specializzazioni".
Obbligo di stipula di idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attivita' professionale, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilita' professionale e il relativo massimale. Fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative "prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura".
L’acquisto della piena consapevolezza dell’esistenza di un diritto fondamentale in capo agli operatori economici a poter svolgere liberamente l’attività che più si desidera non può che contribuire ad innescare un processo circolare virtuoso per cui l’affermazione di tale diritto stimola le liberalizzazioni e queste ultime, contribuendo a creare ricchezza, consentono di destinare maggiori risorse a tutela dei diritti fondamentali. Ecco dunque che il perseguimento delle liberalizzazioni delle professioni intellettuali non va necessariamente a scapito dell’utilità sociale ma al contrario, come era nell’idea del Costituente, la rafforza; e il perseguimento dell’utilità sociale, a sua volta, fornisce nuovo vigore ad una politica di liberalizzazioni, da intendersi appunto, non come brutale abrogazione di norme preesistenti ma come razionalizzazione della regolazione tesa all’eliminazione di tutte e solo quelle norme che impediscano un pieno sviluppo della concorrenza e che non siano poste a presidio di diritti fondamentali. Le liberalizzazioni costituiscono l’occasione per bonificare i mercati da ogni forma di protezionismo e di privilegio e riconsegnare all’individuo nuove opportunità di ingresso nei mercati, reali forme di competizione civile e sicure garanzie per una allocazione virtuosa dei beni e dei meriti personali: una allocazione non distorta che non può non transitare attraverso i percorsi liberali di una uguaglianza sostanziale.

domenica 26 febbraio 2017

Non c'è via di scampo!



Mi chiamo Sebastian Rudd - direbbe J. Grisham - e, anche se sono un noto avvocato di strada, non vedrete mai il mio nome strillarvi in faccia dalle pagine gialle, né lo vedrete sui cartelloni pubblicitari o sulle panchine alle fermate degli autobus. Non pago per andare in televisione, anche se ci finisco spesso. Non compaio sull’elenco telefonico. Non ho uno studio tradizionale. Vado in giro con una pistola, legalmente, perché il mio nome e la mia faccia tendono ad attirare l’attenzione del tipo di gente che a sua volta se ne va in giro con una pistola e non ha problemi a usarla. Vivo solo, di solito dormo da solo e non ho né la pazienza né la comprensione necessarie per coltivare delle amicizie. La mia vita è la legge, sempre appassionante e ogni tanto appagante. Non la definirei un'”amante gelosa”, come disse una volta con una frase diventata famosa un personaggio ormai dimenticato. È più come una moglie dispotica che ha il controllo del libretto degli assegni. Non c’è via di scampo”. Il diritto sembra proprio esercitare una attrazione particolare tanto per le persone molto noiose come per quelle molto divertenti. Ciò del resto non dovrebbe stupire, in quanto vi è senza alcun dubbio una buona dose di stranezza nello scegliere di passare la propria vita a contatto con concetti come quello della “surroga ipotecaria del creditore perdente” o quello del “reato aberrante”: per lasciarvi la curiosità, non vi spiego di cosa si tratta.

Perciò non si contano i libri che – tra il serio ed il faceto – raccontano le amenità e gli aneddoti della legge. Pastori condannati per abbandono di ovini, avvocati che fanno causa perchè stressati dalle troppe denunce. Persino "sradicatori" di rose e di viti. Come dimostrano le tante sentenze assai singolari su cui si è dovuta pronunciare la corte di Cassazione.
Ecco qualche esempio. Le sezioni unite di piazza Cavour sono state chiamate in causa per pronunciarsi su un regolamento di competenza sollevato da danni causati da "cinghiali selvatici". Poi c'è quel marito marchigiano, L.S., che nella causa di separazione dalla moglie M. C. rivendicava indietro l'anello di fidanzamento. Diceva di volerlo "donare alla figlia". Ma i giudici hanno deciso che il gioiello doveva rimanere alla ex consorte.
E non c'è zona d'Italia che si salvi da questo genere di ricorsi. A Mestre, per fare un esempio, c'è un avvocato di nome Luciano che, dovendo rispondere ad un'accusa di diffamazione, ha sostenuto che era "stressato dalle eccessive denunce" piovutegli addosso. Ovviamente gli ermellini della Quinta sezione penale hanno dichiarato inammissibile il suo ricorso, con tanto di condanna alle spese processuali per avere fatto perdere tempo alla giustizia con il suo presunto stress.
Nella serie "ricorsi strani" si deve collocare anche il caso di due giovani di Spoleto, Mauro F. e Pierpaolo F., ladri di "coppi", tegole asportate nottetempo da una casa colonica del perugino. Nonostante siano stati colti con le mani nel sacco, i due hanno tentato di difendersi sostenendo che si trattava di un rudere che cadeva a pezzi. E che, dunque, non potevano essere accusati di furto. 
La Quarta sezione penale, ovviamente, li ha condannati "per il metodo di demolizione e appropriazione, nonchè per la sinergia tra i due". E ancora. Sorpreso da una "abbondante nevicata", Guido F., pastore settantenne siciliano, aveva lasciato i suoi 40 ovini liberi di pascolare nel fondo del collega Augusto C.. Ne è scaturita una denuncia ai carabinieri che per giorni e giorni, ricostruisce la sentenza della Seconda sezione penale della Cassazione, hanno cercato il pastore Guido affinchè portasse vie le 40 pecore che pascolavano da abusive nel fondo di Augusto. Alla fine, Guido è stato condannato a 1500 euro di multa per abbandono di ovini nel fondo altrui. Nella motivazione, i giudici di Cassazione hanno scritto che il delitto punito dall'articolo 636 del codice penale "può essere consumato non solo con l'introduzione diretta degli animali nei fondi vicini ma anche con il loro abbandono in libertà, nella consapevolezza che essi", cioè gli ovini, "vi si introdurranno guidati dall'istinto". Non vorrei tuttavia illudervi, non ci si diverte sempre. Come è stato efficacemente scritto, “le Corti offrono gratuitamente a coloro che sono avidi, esibizionisti, aspiranti santi o semplicemente insopportabili una piattaforma sulla quale mostrarsi ”. Per non parlare della pletora di personaggi “folli di diritto”, che non affollano soltanto i capolavori della letteratura , ma anche le aule dei nostri Tribunali. Anche queste persone saranno, nel mondo della Legge, vostri interlocutori: dovrete presto imparare a metterle in riga.