Dovranno attestare la liceità
dell'accordo, in conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, nonchè
ricevuto l'atto provvedere, ai fini dell'opponibilità ai terzi, a trasmetterne
copia (entro i successivi 10 giorni) al comune di residenza dei conviventi per
l'iscrizione all'anagrafe. Con la nuova
legge l’iscrizione anagrafica delle convivenze (che non è una registrazione di
stato civile) assolve soltanto a funzioni di attestazione e di prova
dell’inizio e della durata della convivenza. Dal contratto di
convivenza nascono dei veri e propri obblighi giuridici a carico delle parti
che lo hanno sottoscritto. Pertanto la violazione di taluno degli obblighi
assunti con il contratto di convivenza legittima l'altra parte a rivolgersi al
giudice per ottenere quanto le spetta. La durata "naturale" del
contratto di convivenza coincide con la durata del rapporto di convivenza. E'
logico quindi subordinare gli effetti del contratto alla permanenza del
rapporto di convivenza. Ciò non toglie che vi siano alcuni accordi destinati a
produrre i loro effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di
convivenza: si pensi a tutti gli accordi che fissano le modalità per la
definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della
convivenza. Se nel contratto sono contenuti anche accordi di questo tipo, alla
cessazione del rapporto di convivenza, il contratto continuerà a trovare
applicazione proprio per disciplinare la fase di definizione dei rapporti
patrimoniali e la divisione dei beni comuni.
domenica 29 maggio 2016
Caffellatte: la convivenza amorosa
domenica 22 maggio 2016
La guerra dei Roses
Nel momento dell’esaurimento del progetto comune
di vita la coppia affronta la delusione alimentata da quel rancore irrazionale
difficile da controllare rivolto allo spasmodico tentativo di ripristinare dal
punto di vista economico la situazione precedente al negozio giuridico
matrimoniale. Infatti, nel momento iniziale della scelta matrimoniale le coppie
compiono una serie di scelte sconsiderate relativa all’intestazione dei beni
materiali della “famiglia” sia per le ragioni del cuore che per sfuggire al
fisco; per non parlare delle madri che lasciano il lavoro per accudire i figli.
Tutto questo senza tutelarsi con alcun atto scritto che attesti almeno la
scelta comune e condivisa. E’ pacifico che fuori dalle dinamiche degli affetti
familiari nessuno mai pregiudicherebbe in questo modo la propria autonomia.
Quindi finito l’amore ed il progetto di vita in comune diviene inaccettabile
ciò che appariva valido ed inizia, così, la madre di tutte le guerre per
ricostruire una nuova vita personale e patrimoniale. Il primo passo è il
ricorso introduttivo per la separazione. All’udienza presidenziale l’ingrato
compito del magistrato sarà quello di stabilire la capacità reddituale dei
coniugi e quindi, se richiesto, stabilire, in via provvisoria ed urgente, un
assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente più debole; a meno
che non ravvisi la necessità di assumere ulteriori informazioni, non essendo
chiaro il quadro fornito dai coniugi mediante l’allegazione della
documentazione attestante i rispettivi redditi.
Gli accertamenti che il
Presidente può disporre, pertanto, sono volti, essenzialmente, alla
determinazione dell’effettivo reddito dei coniugi rispetto alle dichiarazioni
allegate dalle parti, rapportato al tenore di vita dalle stesse rappresentato.
Le informazioni che il Presidente può assumere in proposito, ai sensi dell’art.738 c.p.c., sono le più svariate: dalle richieste alla Pubblica
Amministrazione, ad organi della polizia giudiziaria o anche a privati
sui redditi di lavoro e sulla consistenza del patrimonio. Le notizie di cronaca
relative alla “pressione fiscale” in continuo aumento, quelle relative alla
crisi del mercato del lavoro, rendono sempre più “frontale” il
confronto tra chi sia costretto a “pagare” e chi invece “attende”
quel pagamento. Oggi, l’analisi delle singole capacità reddituali dei
membri della coppia richiede l’individuazione di strumenti adeguati per
consentire al magistrato di leggere ben al di là dei modelli reddituali messi a
disposizione per l’udienza che permettono esclusivamente di calcolare la base
di reddito sulla quale calcolare l’imposizione fiscale ma inevitabilmente
tacciono in merito all’effettivo spessore reddituale familiare. Infatti, i
suddetti modelli, non indicano molte spese familiari che non essendo deducibili
fiscalmente non compaiono nella dichiarazione dei redditi.
Per sollevare il
velo della realtà economica in alcuni tribunali italiani sono stati approvati
protocolli che invitato i coniugi al deposito di una dichiarazione giurata
nella quale indicare tutte le proprietà immobiliari, i conti correnti bancari o
postali, le carte di credito e gli investimenti in uso alle parti. La grande
innovazione, però, è stata che ha consentito ex art. 155 – quinquies disp att. C.p.c.e legge 162/14 l’accesso all’Anagrafe Tributaria
con estensione alla parte privata processuale di adire il Giudice Amministrativoper superare il “silenzio rifiuto” frapposto dall’Amministrazione finanziaria.
Con la sentenza n. 29/16 del TAR Sicilia, infatti, si è definitivamente
superato il suddetto ostacolo ordinando all’Agenzia delle Entrate di “esibire e
rilasciare alla parte richiedente copia della documentazione richiesta nel
termine di 30 giorni riconoscendo quindi il diritto di accesso ai documenti
amministrativi a chiunque abbia interesse diretto concreto ed attuale
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso. Il risultato così, infatti, non sarà
più un “vuoto per pieno” che costringe l’onerato ad un “minimo di
sopravvivenza” che non gli consente di far fronte agli obblighi impostigli ma
consentirà ad ambo le parti la possibilità di ricercare, ma anche dimostrare,
il reale “tenore di vita”.
giovedì 5 maggio 2016
La calunnia è un venticello
Sufficienti non vi sono fieno e
paglia a tappar la bocca alla canaglia. La calunnia è il fatto di colui che
scientemente, con denuncia o querela diretta all'autorità giudiziaria, incolpa
di un reato taluno che egli sa essere innocente. Il codice penale italiano
comprende la calunnia tra i delitti contro l'amministrazione della giustizia e
lo disciplina all’art. 368 c.p. Si parla comunemente di calunnia formale e
calunnia materiale per distinguere le due diverse ipotesi previste dalla norma
(presentazione di denuncia ovvero simulazione di un reato). La calunnia era
punita presso gli Ebrei e gli Egizi con la stessa pena che si sarebbe dovuta
applicare o si era applicata all'ingiustamente accusato. Apprendiamo da
Plutarco che, in Grecia, i calunniatori di Focione furono tutti condannati a
morte. In Roma la falsa accusa fu elevata a reato speciale della lex Remmia.
Oggi la pena edittale prevista dal codice è compresa tra un minimo di due anni
e un massimo di sei anni, quindi con una pena notevolmente inferiore agli anni
passati quasi a voler calmierare l’onore (la già depenalizzata ingiuria ne sa qualcosa!). Il delitto di calunnia ha natura plurioffensiva, nel senso che
oltre a ledere l'interesse dello Stato alla corretta amministrazione della
giustizia, offende anche l'onore dell'incolpato, il quale è conseguentemente
legittimato all'opposizione alla richiesta di archiviazione del relativo
procedimento.
Ai fini della configurabilità del reato di calunnia - che è di
pericolo - non è richiesto l'inizio di un procedimento penale a carico del
calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli
elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale nei
confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile. Vi sono
“concrete incongruenze” nel sistema penale che possono rendere di fatto poco
efficace la perseguibilità di chi si macchia di un reato di calunnia, ove si
procrastini l’esercizio dell’azione al proscioglimento irrevocabile del
calunniato. In particolare, il decorrere della prescrizione per questo reato
durante la celebrazione dei diversi gradi del processo alla vittima di una
accusa infondata può ben portare alla non punibilità del calunniatore perché il
suo reato è prescritto. Un reato difficile da perseguire che però trova maggior
forza davanti ad una pronuncia di archiviazione che, emessa nei prodromi
processuali, scansa abilmente il pericolo della prescrizione rendendo, forse,
giustizia al calunniato. Certo, perché nell’epoca in cui stiamo vivendo un
momento di grande crisi economica, sociale e dell'uomo stesso ci torna alla
memoria il dipinto del Botticelli che rappresenta, appunto,l’Allegoria della Calunnia.
L’opera ci racconta il dramma allusivo che nasce con l’uomo verso
l’ingiustizia. Nella riproduzione artistica vediamo il Re Mida che si riconosce
perché ha le orecchie d’asino, (vediamo nel particolare sopra). Il re sta
seduto su un grande trono e si fa consigliare da due personaggi negativi,
pessimi che gli bisbigliano frasi e parole alle orecchie. Questi due personaggi
rappresentano sia l’Ignoranza che il Sospetto. Davanti al re vediamo il Livore
cioè il rancore che l'artista rappresenta vestito di nero come uno straccione
col cappuccio mentre ha una mano alzata a simbolo di grande solennità e che
indica il re. Questo strano personaggio tiene ben stretto per un braccio un
personaggio femminile, la Calunnia rappresentata da una bella e vanitosa donna
che si fa acconciare i suoi bei capelli da altre due donne che raffigurano
Insidia e Invidia. La Calunnia tiene in una mano un torcia che però non fa luce
a simbolo di una falsa conoscenza e tira per i capelli con l’altra mano
l’Innocente, cioè lo sfortunato calunniato raffigurato quasi nudo mentre tiene
le mani unite come in supplica. Quest'ultimo viene portato quasi a forza
davanti al re Mida. Sulla sinistra del dipinto vediamo ancora altri due
personaggi che rappresentano uno il Rimorso, raffigurato come una vecchia
incappucciata che quasi stordita dai fatti guarda la Nuda Verità che alza gli
occhi e che indica come unica e vera giustizia quella Divina, del cielo. Ci
auguriamo, invece, che la Verità abbia il coraggio di vendicare i torti subiti.
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