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domenica 9 ottobre 2016

L'erba sempre più avvelenata del vicino di casa




Lo “stressometro” condominiale è l’unità di misura che regola i rapporti di buon vicinato, infatti oltre che sul luogo di lavoro, passiamo infatti la maggior parte del nostro tempo a casa e se non siamo così fortunati i vicini sono persone maleducate e ignoranti che si comportano male e con cui non è possibile dialogare. Le liti anche violente e il disturbo sono frequenti. Ma si possono fermare. Il termine stalking viene spesso associato a comportamenti che attengono alla sfera affettiva. Tuttavia, se è vero che le vittime sono quasi sempre partner e soprattutto ex, in particolar modo donne, oggetto di attenzioni morbose se non addirittura violente da parte dell’ex compagno o marito, è anche vero che il delitto in esame ben può configurarsi al di fuori di una relazione sentimentale. È infatti sufficiente il compimento di più atti molesti o minatori che ledano l’altrui sfera psico-affettiva o inducano la vittima a mutare stile di vita perché ci si trovi di fronte agli atti persecutori puniti dalla norma in oggetto, indipendentemente dai rapporti affettivi o parentali. In quest’ottica si colloca il cosiddetto “stalking condominiale”
In questi ambienti “domestici” le ipotesi di disturbo sono sempre più numerose. La casistica è infatti molto varia: si va dal pedinamento nei confronti di un condomino, dall’apertura della posta personale, al gettito sul suo balcone di polvere, di cicche di sigarette, di molliche, con l’intenzione di farlo sempre nell’ambito di un disegno persecutorio unitario e premeditato. Con la sentenza n. 26878 del 30 giugno 2016 la Suprema Corte consacra il reato di stalking condominiale nel caso del comportamento di un condomino divenuto talmente esasperante da cagionare il perdurante e grave stato d’ansia e il cambiamento delle abitudini di vita del vicino. Nel caso di specie, in particolare, gli Ermellini hanno confermato le accuse di stalking contro l’imputato, anche se fondate sulle dichiarazioni della persona offesa, in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa “possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto”. Dal racconto sono emersi vari comportamenti che hanno configurato, infatti, dei veri e propri atti persecutori nei confronti del vicino esasperato dalle continue vessazioni. Di conseguenza l’estensione del delitto di stalking all’ambito condominiale è condizionato agli effetti reali che detti comportamenti hanno sulla vittima e che possono essere così riasunti:

· grave e perdurante stato di ansia o di paura tale da comprometterne il normale svolgimento di azioni quotidiane

· un fondato timore per l’incolumità propria o di un proprio parente o congiunto

· un cambiamento delle proprie abitudini di vita.

Del tutto irrilevante è il numero di condotte poste in essere, ciò che rileva è la gravità del comportamento che deve essere tale da costringere il vicino a cambiare radicalmente ed irreversibilmente le sue abitudini di vita. Anche due soli episodi bastano se lo stalker si pone in una posizione di immotivata e ingiustificata predominanza tale da voler danneggiare la vittima esasperandola in modo grave, fino a cagionarle un danno. Lo stalking condominiale può scattare anche quando non c’è reiterazione, ma sistematicità, essendo necessario quindi la presenza di un intento persecutorio che si concretizza in un disturbo. Le possibili soluzioni per far cessare il comportamento persecutorio e molesto dello stalker che possono consistere nella segnalazione al Questore cui segue un'ammonizione, una normale denuncia presso i Carabinieri o la Procura della Repubblica. Qesta nuova previsione di reato si esplica nell’ambito ormai diffuso e necessario della tolleranza zero, intesa come la volontà mediante provvedimenti di legge di reprimere senza pratiche indultive reati minori o comportamenti che alterino l'ordinata vita sociale o individuale. La tolleranza, invece, dovrebbe essere la prima legge naturale degli uomini, il principio a fondamento dei diritti umani.

martedì 14 giugno 2016

Giro giro tondo DASPO al mondo.......


.....e tutti giù per terra!
I recenti fatti violenti che hanno riguardato la sproporzionata reazione dei tifosi russi dopo la partita Inghilterra – Russia agli Europei 2016 richiede una necessaria riflessione sulla violenza nei campi sportivi e sulle forme giuridiche di sanzione e repressione. La UEFA, per quel potere sanzionatorio che le compete secondo i dettami della Federazione ha aperto ufficialmente un procedimento disciplinare nei confronti della Russia. In Italia, il potere sanzionatorio spetta alla FGC che lo esercita erogando sanzioni disciplinari in materia sportiva ma senza sostituirsi all’ordinamento nazionale che espone il proprio arsenale repressivo. Grazie, infatti, ad alcune delle misure adottate negli ultimi anni, gli episodi di violenza all'interno degli impianti sportivi sono in forte diminuzione.
La legislazione in materia, introdotta con decretazione d'urgenza dopo i tragici eventi degli anni 2005 ("Decreto Pisanu") e 2007 ("Decreto Amato"), ha ampliato il contesto logistico e temporale dei reati da stadio, fino a integrare la punibilità di fatti (quali di lancio, uso e possesso di oggetti pericolosi ) che siano consumati non solo nei luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive, ma anche «in quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate vicinanze di essi» e fino a 24 ore prima o dopo la partita.
Per di più, oltre che estesa anche alla violazione del Daspo nelle sue varie ipotesi, la facoltà di arresto è ora consentita «entro quarantotto ore» dal fatto (cosiddetta flagranza differita), anche mediante un'efficace utilizzazione degli strumenti di accertamento e di indagine offerti dalle nuove disposizioni in materia di videosorveglianza (facoltà di recente prorogata su iniziativa del ministro dell'Interno Angelino Alfano fino al mese di giugno del 2016).
È stata anche introdotta una nuova figura di reato aggravato (articolo 583-quater del Cp: «lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive»), in forza della quale sono punibili con la reclusione da 4 a 10 anni le lesioni gravi e da 8 a 16 anni le lesioni gravissime (tale norma è ora applicabile anche qualora vittima del reato sia uno steward), mentre è ora considerata circostanza aggravante del reato di cui all'articolo 338 del Cp (violenza e minaccia a pubblico ufficiale), ai sensi dell'articolo 339 del Cp, anche «la violenza o la minaccia (...) commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti a offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone».
Dunque, la legislazione vigente consente amplissimi margini di intervento repressivo ma la violenza dentro e, soprattutto, fuori dagli stadi è ben lungi dal potersi considerare debellata.
La violenza si è spostata tragicamente al di fuori degli stadi, nelle vie d'accesso e perfino in luoghi certo non prossimi all'impianto sportivo. Con alcuni interventi “chirurgici” il parlamento si è adoperato per rendere ora più precise ora più maneggevoli per gli operatori le norme che consentono di sanzionare chi si rende protagonista di condotte illegali durante le competizioni sportive; e in più ha introdotto qualche novità che obbliga le società calcistiche a farsi carico almeno in parte delle spese che lo Stato deve affrontare per garantire l'ordine pubblico negli stadi.
In questa sede ci soffermiamo sul Daspo, misura di prevenzione che vieta al soggetto ritenuto pericoloso di accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive. Il provvedimento viene emesso dal questore e la sua durata va da uno a cinque anni, in base alle modifiche del cosiddetto Decreto Pisanu varato nel febbraio 2007 dopo gli scontri di Catania, che hanno causato la morte dell'Ispettore di Polizia Filippo Raciti.
Può essere accompagnato dall'obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia in concomitanza temporale delle manifestazioni vietate. Esso viene sempre notificato all'interessato ma, nel caso in cui ad esso si affianchi anche la prescrizione della firma, esso è comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente. Entro 48 ore dalla notifica, ne deve seguire la convalida da parte del G.i.p. presso il medesimo Tribunale, solo ed unicamente per la parte attenente la firma. il Questore può autorizzare l'interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi possa recarsi per apporre le firme d'obbligo in concomitanza delle manifestazioni sportive. il questore può aumentare la durata del Daspo già in corso di esecuzione, se violato, fino a otto anni senza quindi sanzionare la violazione del divieto  con l'applicazione di un altro divieto ma con l'aumento di durata dello stesso provvedimento. Deve ritenersi tuttavia che, anche in assenza di esplicita indicazione, tale ampliamento del divieto con prescrizione debba - al pari del provvedimento nuovo - essere sottoposto alla convalida del Gip. In arrivo il testo sulla sicurezza, multe e daspo , formato da una ventina di articoli, concordato tra Viminale e Anci. Ai sindaci il potere di firmare ordinanze permanenti, stretta sulle manifestazioni. E contempla la possibilità di “ordinanze stabili”, cioè che non possono essere impugnate di fronte ai tribunali amministrativi, che ovviamente non trovano d'accordo i giuristi.







domenica 29 maggio 2016

Caffellatte: la convivenza amorosa



La composizione è un procedimento morfologico che permette di formare parole nuove combinando insieme due (o più) parole autonome, come per caffellatte: è nota, infatti, la pacifica convivenza del latte con il caffè. Mutuando questo gioco di parole dalla semantica della lingua italiana vogliamo oggi parlare dei contratti di convivenza. Si tratta di accordi con cui la coppia definisce le regole della propria convivenza, attraverso la regolamentazione dei rapporti patrimoniali della stessa ed alcuni limitati aspetti dei rapporti personali. Possono essere stipulati da tutte le persone che, legate da vincolo affettivo, decidono di vivere insieme stabilmente (c.d. convivenza more uxorio). Più precisamente, ci si riferisce all’unione di vita stabile tra due persone legate da affetto che decidono di vivere insieme al di fuori del legame matrimoniale o perché è loro preclusa la possibilità di sposarsi (ad esempio, due conviventi dello stesso sesso) o perché è loro precisa volontà quella di non soggiacere al vincolo matrimoniale. La figura giuridica dei contratti di convivenza è una delle novità più rilevanti della legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, la L. 20 maggio 2016 n.76nota come “legge Cirinnà”, che entrerà in vigore il prossimo 5 giugno. Su questo fronte  nasce la nuova competenza in capo ai professionisti legali che, insieme ai notai, saranno chiamati ad autenticare la sottoscrizione dell'atto (pubblico o scrittura privata), nonché le sue modifiche e la sua risoluzione
Dovranno attestare la liceità dell'accordo, in conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, nonchè ricevuto l'atto provvedere, ai fini dell'opponibilità ai terzi, a trasmetterne copia (entro i successivi 10 giorni) al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe. Con la nuova legge l’iscrizione anagrafica delle convivenze (che non è una registrazione di stato civile) assolve soltanto a funzioni di attestazione e di prova dell’inizio e della durata della convivenza. Dal contratto di convivenza nascono dei veri e propri obblighi giuridici a carico delle parti che lo hanno sottoscritto. Pertanto la violazione di taluno degli obblighi assunti con il contratto di convivenza legittima l'altra parte a rivolgersi al giudice per ottenere quanto le spetta. La durata "naturale" del contratto di convivenza coincide con la durata del rapporto di convivenza. E' logico quindi subordinare gli effetti del contratto alla permanenza del rapporto di convivenza. Ciò non toglie che vi siano alcuni accordi destinati a produrre i loro effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di convivenza: si pensi a tutti gli accordi che fissano le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza. Se nel contratto sono contenuti anche accordi di questo tipo, alla cessazione del rapporto di convivenza, il contratto continuerà a trovare applicazione proprio per disciplinare la fase di definizione dei rapporti patrimoniali e la divisione dei beni comuni. 
In questa prospettiva resta fondamentale la differenza tra contratti di convivenza” - che sono quelli con efficacia nei confronti dei terzi cui fa riferimento la nuova legge – e “contratti tra conviventi” con efficacia limitata ai rapporti tra le parti che appartengono da tempo alla prassi di regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali nella convivenza di fatto. Il contratto di convivenza «non può essere sottoposto a termine o condizione» cioè non tollera di avere una scadenza (ad esempio: «restiamo in regime di comunione dei beni per cinque anni») né di essere subordinato a eventi futuri («Tizio si obbliga a versare un contributo economico doppio alla vita familiare se venderà la propria casa»). In questi casi, è però prescritto che la condizione e il termine non infettano il contratto: esso rimane valido, mentre condizione e termine vanno considerati come non esistenti. Comunque, se la convivenza registrata cessa, qualora uno degli ex conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, il giudice stabilisce il diritto di costui di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, i quali devono essere assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. Si apre un nuovo capitolo per il diritto di famiglia, dunque, che si allarga non solo alle unioni civili ma anche a questa nuova forma di convivenza, regolata e tutelata dall’ordinamento. Le nuove prerogative degli avvocati, invece, si inseriscono nel quadro più ampio di un percorso legislativo, che colloca il professionista non più solo nelle aule dei tribunali ma che lo rende soggetto attivo nella giurisdizione forense.