Il 2 aprile 2015 è entrato in
vigore il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 che introduce nel nostro ordinamento
penale un nuovo istituto giuridico: la non punibilità per particolare tenuità
dell’offesa. Si tratta di un complesso apparato per cui saranno i Giudici i
protagonisti della depenalizzazione potendo stabilire quali fatti non punire e
quali, invece, meritano di essere perseguiti. Difatto, introducendo l’art. 131
bis nel codice di procedura penale, il legislatore consente il proscioglimento
per reati (anche d’impatto sociale) puniti fino a cinque anni di reclusione,
nei casi in cui il P.M. od il Giudice ravvisino la lieve entità del fatto. La
prima conseguenza è che la pena prevista è talmente alta che comprende un
numero eccezionale di reati, fra i quali, soltanto per citarne alcuni: la
corruzione impropria, l’abuso e l’omissione di atti d’ufficio, molte ipotesi di
falso, alcuni reati tributari (la dichiarazione infedele, l’omessa
dichiarazione, l’omesso versamento dell’IVA e della ritenuta d’acconto) il falso
in bilancio. Chiaramente non possono godere della non punibilità: i recidivi; i
delinquenti abituali, professionali o per tendenza; chi abbia commesso più
reati della stessa specie; le condotte plurime abituali o ripetute. Nemmeno,
certamente, chi abbia agito per motivi abietti e futili adoperato sevizie, o
profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche minorenne.
L’uso di sevizie difficilmente avrebbe potuto essere considerato suscettivo di
positiva valutazione!! Vi è di più, la lieve tenuità non può mai riguardare il
reato di lesioni gravissime (si tratta di quelle che abbiano comportato la
perdita di un senso o di un organo; tuttavia che è implicitamente consentita la
non punibilità delle lesioni gravi (in cui si presenta l’indebolimento
permanente di un senso o di un organo). Non è tutto: il giudizio di lieve
entità si iscrive sul casellario giudiziale (la fedina penale) e nei
procedimenti correlati (civile ed amministrativo) alla stregua di una condanna.
La diffusione di elenchi cui si applicherebbe ha causato l’erroneo
convincimento che il decreto legislativo comporti la loro depenalizzazione. La
differenza è palese: con la depenalizzazione, tutti i reati, a prescindere
dalle modalità con le quali in concreto si sono consumati, vengono meno; con la
lieve entità , non sono punibili i reati, sanzionati in astratto nel massimo
con la pena di cinque anni di reclusione o con la pena pecuniaria, solo qualora
siano in concreto scarsamente offensivi. Nel primo caso, il legislatore stabilisce
a priori le condotte che non costituiscono più reato; nel secondo caso, il
legislatore attribuisce al giudice il potere di verificare. Per questo motivo,
il decreto prevede che avverso la richiesta di archiviazione presentata dal
P.M. l’indagato possa presentare opposizione ed ottenere un’udienza camerale
davanti al Gip nella quale persuaderlo della sua innocenza invece che del
modesto rilievo del suo comportamento illecito. Tecnicamente, il PM, verificata
la ricorrenza delle condizioni volute dalla legge, deve chiedere
l’archiviazione. Della richiesta deve essere dato avviso sia all’imputato che
alla parte offesa, anche se quest’ultima, con la denuncia o querela, non abbia
chiesto di essere avvisata in caso di richiesta di archiviazione. Resta salva
la facoltà per il Giudice di rigettare la richiesta di archiviazione e
provvedere ai sensi dell’art. 409 c.p.p.
Concludendo sembra evidente che una seria
verifica della sussistenza dei presupposti, dell’effettiva offensività del
fatto e della personalità del reo sono incompatibili con il dichiarato scopo
deflattivo dell’istituto; riducendo l’obiettivo della riforma, alla scomparsa
dei fascicoli bagatellari che affollano i nostri uffici penali; cosicchè le
esigenze di economia processuale prevalgano su quelle di legalità ed
obbligatorietà dell’azione penale. La particolare tenuità del fatto deve
sperimentare la giustizia penale riparativa e riconciliativa, diffondendo
protocolli secondo i quali la non punibilità è riconosciuta qualora l’imputato
abbia, spontaneamente e prima del processo, provveduto ad eliminare le
conseguenze dannose del reato od a riconciliarsi con la vittima. Diversamente,
il principio di offensività venga strumentalizzato per “snellire” i ruoli
penali.